Una storia che vi è nota. Durante la festa del vostro bambino vi ritrovate una fauna di altri genitori che fanno pascolare i figli tra un palloncino e una pizzetta. Inevitabilmente si attacca bottone e il confronto, nascosto dai sorrisi, serpeggia: sarò più mamma io o lei? Chi è il più padre del reame? Anna Foglietta si cala fino al collo dentro quest’atmosfera in Genitori quasi perfetti diretto da Laura Chiossone (in sala dal 29 agosto) dove, nel ruolo di Simona, organizza con ansia da prestazione la festa di compleanno per il piccolo Filippo, e l’evento si trasforma in un’arena piena di genitori-gladiatori.

L’attrice, che a 40 anni ha già nel cassetto due Nastri d’argento (per Perfetti sconosciuti e Un giorno all’improvviso) e quattro candidature al David di Donatello, di figli ne ha addirittura tre (Lorenzo di 8 anni, Nora di 6 e Giulio di 4, avuti con il promoter finanziario Paolo Sopranzetti). Su questo e altri temi ha da dire parecchio, staccando un momento dalle riprese del nuovo film di Carlo Verdone, Si vive una volta sola, di cui è protagonista. Parla di un fiato, tenendo in asse testa e cuore in un ribollio di energia napoletana.

Insomma, che genitori siamo?
È come se avessimo perso la spontaneità che ci dovrebbe rendere un po’ animaleschi nei confronti dei nostri figli. Magari sarebbe meglio occuparsene meno, ma in maniera più istintiva.

Per esempio?
Mia madre non ha letto il libro sull’autosvezzamento di Lucio Piermarini, ma sono cresciuta non bene, benissimo. I miei si sono fatti meno domande, però dicevano una volta che i piedi sul sedile non si mettevano, e bastava per sempre.
Io continuo a ripeterlo e la macchina è sempre lercia. È frustrante quando senti di non esercitare l’autorevolezza necessaria. Ci sono situazioni in cui vedo intorno a me dei bambini completamente privi di regole, sembrano folletti, furetti, ed è come
se avessero bisogno che qualcuno dica «oh, fermati, questo proprio non si deve fare».

Ma cosa ci è successo?
Di base c’è una nostra insicurezza, non ci sentiamo autorevoli. Come se i nostri figli ci sfuggissero di mano, quindi facciamo di tutto per conquistarli. Ma in realtà non dobbiamo conquistarli, sono già i nostri figli! Sono il risultato del nostro amore: più nostri di così. Chissà di cosa abbiamo paura.

In cosa siamo bravi, invece?
A trasmettere certi valori. Tutta la battaglia per l’ambiente anche se è appena iniziata avrà in loro alleati forti e più illuminati di noi. E non parlo solo della plastica e della raccolta differenziata, ma di un ritorno alla necessità di non pensare solo al proprio benessere ma anche a quello di tutta la comunità. E questo razzismo che sento aleggiare, per i nostri figli è un falso problema. Sono andati all’asilo con bambini di ogni colore, molte famiglie coltivano questa naturalezza e stanno creando un tessuto sociale più preparato alle sfide del futuro.

E una sfida su cui si dovrebbe lavorare nel presente?
Si dovrebbe smettere di pensare al proprio figlio criticando quelli degli altri. Al parco accade continuamente, un bambino spinge il nostro e ci viene da accusarlo, anche perché così accusiamo sua madre o suo padre e la loro incapacità... Ma un genitore dovrebbe sentire la spinta a prendersi cura di tutti i bambini, non solo dei suoi. Every child is my child, no? Prima di riflettere su maternità e paternità, dovremmo chiederci che esseri umani vogliamo essere. Poi dobbiamo smettere di voler sembrare perfetti, tanto non lo siamo.

Parrebbe proprio di no.
Appunto. Ma penso ai genitori separati che ho intorno. Nessuno che riconosca che separarsi è un trauma per i propri figli. «No, ma la nostra è una separazione esemplare, il ragazzino sta benissimo, è sanissimo, bravissimo...».

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Anna Foglietta con Marina Rocco e Paolo Calabresi in una scena di Genitori quasi perfetti di Laura Chiossotto.

Che ipocrisia epocale. Certo che non dovete stare insieme se non vi amate più, però ammettetelo che questo avrà una ricaduta, è un atto di responsabilità nei confronti del bambino ed è la cosa che vi fa stare davvero dalla sua parte. Perché se dici che va tutto bene, non ti stai occupando di tuo figlio, ti stai lavando la coscienza, e ti stai mentendo. Come canta Brunori, il dolore serve come serve la felicità. Serve tutto nella vita. Anche quello che accade per i nostri errori.

E lei che errori ha fatto?
Ho riempito, riempito, riempito la valigia e poi è scoppiata.

Fuor di metafora?
Mentre partorivo ogni due anni, ho lavorato sempre. E nel frattempo ho cresciuto i miei figli cercando di dar loro il più possibile. Mi sono privata veramente tanto di attenzioni verso me stessa. Non parlo solo di tempo, ma di pensieri. Ho dato tutto e ho capito che così non potevo più continuare. Non volevo che i miei figli, un domani, vivessero una forma di ricatto. Sono cresciuta con una madre che mi ha sempre detto: io non ho più lavorato perché dovevo crescere voi. Da ragazza questa cosa che rinfacciava ha iniziato ad andarmi stretta. Le ho detto «ma mamma, tu non hai lavorato perché non riuscivi a fare le due cose insieme, non per crescere noi. Ma si può fare, è pieno di donne che riescono». Ai miei figli voglio poter dire che tutto quel che ho fatto per loro l’ho scelto perché li amo.

Come si fa a liberarsi da questo errore tipico della mamma italiana, di rinfacciare ai figli i suoi sacrifici?
Personalmente, mi sono presa uno psicoterapeuta e ho intrapreso un mio percorso di elaborazione. È stato il più grande regalo che ho fatto ai miei figli ed è quello più grande della maternità, a parte i bambini: riprendere davvero in mano la propria esistenza. Ho capito che procurare del bene a me stessa vuol dire farne ricascare il doppio, il triplo su chi amo. Che avrà davanti un modello di madre serena, felice, e realizzata.

Come fa durante le riprese, come ora col nuovo film di Carlo Verdone?
Per la parte che abbiamo girato nel Salento ho preso una grande casa a Otranto e me li sono portati. Sono stati con me tre settimane ed è venuta fuori anche una bella vacanza, alla fine. C’erano la tata e la nonna, e io quando potevo scappavo dal set e andavo al mare da loro. Poi quando si è trattato di girare come una trottola sono tornati a Roma. Prendo aerei a orari folli per andarli a trovare. Loro un po’ sono abituati, un po’ gli dispiace, un po’ io piango... Però che dobbiamo fare? È la vita. Cerco di fargli capire che magari per un po’ è così, ma poi succede che sto due mesi interamente a casa, non è un lusso da poco.

Quanto si sente privilegiata?
Tanto. Esiste un mondo che si alza alle sei e mezza e torna a casa alle otto di sera per mille euro al mese e che continua a crescere i figli come si faceva una volta, quando papà entrava dalla porta e diceva «zitti che sono stanco». C’è tutta un’Italia che vive così e su cui non si punta nessun riflettore, ed è il mio grande dolore da cittadina e soprattutto da figlia di operai. Bisognerebbe interpretare anche quei bisogni e quelle frustrazioni. Mentre siamo qui a disquisire su Genitori quasi perfetti e su come siamo o non siamo noi genitori, molti non si possono permettere neanche di andare a guardarlo al cinema, questo film.

Però hanno sicuramente anche loro il problema di gestire la tecnologia, che i genitori di una volta non avevano. Lei come si regola?
Non faccio usare né cellulare né iPad. Zero. Possono vedere la televisione la sera per mezz’ora, quaranta minuti, poi se c’è una partita, un evento, come strappo alla regola. Non transigo per una ragione semplice: lo vedo su di me, mi rimbambisco. Mi fa male il nervo ottico, i bambini stanno diventando sempre più miopi e presbiti, mi dice l’oculista, a causa dell’uso smodato e inconsapevole del cellulare. Io mi innervosisco quando inizio a maneggiarlo per più tempo del solito, e allora dico basta. Ma i bambini, se non sanno com’è stare senza, non sapranno nemmeno mai riconoscere il momento di dire basta.

Come cambia la maternità tra primo, secondo e terzo figlio?
Il primo è vittima di quell’insicurezza di cui parlavamo. Metti in discussione un milione di cose per cui non sei istintivo. Con il secondo lo sei un po’ di più. Con il terzo capisci definitivamente che non per forza a una certa azione corrisponde una determinata reazione. Diventa tutto più libero ed è una conquista che resetta anche il rapporto coi primi due. Però loro sono molto educati, Giulio... Simpatico, carismatico eh! Ma è un selvaggio. Ogni tanto io e mio marito ci guardiamo e ci chiediamo: da dove viene questo?

Un momento importante per lei e i suoi bambini?
Quello della sera. Ai piccoli racconto una storia, canto una ninna nanna, li annuso. Col grande c’è il rito della confessione. Ci diciamo la cosa più bella che abbiamo fatto nella giornata e gli chiedo sempre se è felice, una domanda che non può essere data per scontata. I bambini hanno i loro momenti di tristezza e coglierli è importante per fargli capire che siamo sempre dalla loro parte.

E come va con suo marito?
Abbiamo una vita insieme, è il nostro progetto. Ci crediamo tanto. Andiamo nella stessa direzione. I nostri figli sono lì, al centro, ma c’è un centro prima, che siamo noi due. Mi sono commossa l’altro giorno, hanno ritrasmesso un’intervista a Camilleri in cui dice che il matrimonio è stato il suo giorno più felice, perché è da quel momento che è nato tutto. Lo dico sempre anche a Paolo, anche quando si presenta una difficoltà, un ostacolo. C’è voluta una forza enorme per far muovere tutto questo e in nome di una frustrazione, di una stanchezza, di una debolezza non posso, non voglio mollare mai.