Con le sue migliaia e migliaia di parole, un libro può aiutare ed emozionare ancora più di un film o di immagini in tv, perché quello che scatena è l’immaginazione in tutte le sue forme, generando nelle nostre menti una realtà tridimensionale mai piatta. Un libro può farti capire, può farti approfondire cose viste, sentite, non lette a sua volta o seguite solo in superficie, facendoti scoprire verità nascoste, segreti o scandali emozionandoti sempre, laddove per emozione non si intende per forza solo un qualcosa di positivo. Sì, perché un libro può anche farti nascere rabbia, ma di colpo, trasformarla in altro. Questo vale anche nella vita, dove un episodio negativo può essere l’input ad agire o a fare cose impensabili fino a quel momento. La rabbia può diventare energia che si cerca poi di convogliare in senso positivo e razionale. Lo ha fatto in questi ultimi dieci anni Ilaria Cucchi, “attivista italiana per i diritti umani”, si legge se si va a googlare il suo nome, colei che “ha fatto una campagna per indagare sulla morte in custodia della polizia di suo fratello Stefano Cucchi”. Un’ex amministratrice di condominio, classe 1974, che prima di essere tutto questo, è stata soprattutto sorella (e continua a esserlo anche oggi che quel fratello non c’è più) di un ragazzo “morto tra sofferenze disumane quando era in mano dello Stato e, soprattutto, per mano dello Stato”, dichiarò, “un ragazzo che voleva vivere ma che poi è morto, all’alba, tra l’indifferenza generale di tutti coloro che hanno avuto a che fare con lui in quei sei giorni del suo calvario”, scrisse sul suo profilo Facebook.

Da quel 22 ottobre 2009, quando per la famiglia Cucchi iniziò il buio con l’ultimo respiro di Stefano all’ospedale Sandro Pertini di Roma – dopo che era stato arrestato una settimana prima senza che nessuno potesse vederlo - Ilaria non si è data pace e fece una promessa. “Stefano – disse - ti giuro che non finisce qua”. E così è stato fino a due giorni fa, quando è stata emanata la sentenza che ha portato la condanna a dodici anni dei due carabinieri (D’Alessandro e Di Bernardo) accusati della morte del ragazzo. “Abbiamo affrontato tanti momenti difficili, siamo caduti e ci siamo rialzati, ma oggi – ha dichiarato quel giorno Ilaria – giustizia è stata fatta e Stefano, forse, potrà riposare in pace”. Poco prima, un carabiniere le aveva fatto il baciamano, “un gesto sicuramente non preparato”, ci ha spiegato quando l’abbiamo incontrata a Milano, durante Book City, “un gesto che rappresenta quello in cui ho sempre creduto, quello che ho sempre cercato di trasmettere. Rappresenta la parte buona di chi indossa una divisa, che è la stragrande maggioranza. La condanna di ieri è anche un atto di rispetto nei confronti di tutti coloro che indossano la divisa, che non devono essere paragonati a D’Alessandro e Di Bernardo”.

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Simona Granati - Corbis//Getty Images
Ilaria Cucchi al processo

In questi lunghi e dolorosi dieci anni, “la sorella di” è stata appoggiata dalla sua famiglia, da papà Giovanni, geometra come Stefano, e dalla madre Rita, insegnante in pensione, ma soprattutto dall’avvocato Fabio Anselmo, sin dall’inizio legale dei Cucchi, oggi suo compagno. Non si è mai arresa, ha pianto, si è disperata, ha pianto ancora, ma con il suo uomo è andata avanti cercando di arrivare a ottenere, come poi hanno fatto, giustizia per Stefano. Con l’avvocato Anselmo Ilaria ha deciso di scrivere Il coraggio e l’amore (Rizzoli), “un libro che è nato da Federico , ci spiega lei, il primo libro pubblicato da Fandango in cui Fabio raccontava la storia di Federico Aldrovandi”, un giovane studente ferrarese diciottenne morto di asfissia posturale in seguito ai colpi ricevuti durante un fermo di polizia, poi divenuto uno dei più importanti casi giudiziari degli ultimi anni che ha sconvolto l’opinione pubblica nazionale contribuendo, a sua volta, ad insinuare il dubbio che al nostro ordinamento mancasse qualcosa di fondamentale: il reato di tortura. “Prima ancora, questo libro nasce dall’idea di raccontare Fabio attraverso i suoi casi”, continua Ilaria, “perché dietro questi casi c’è un aspetto umano che ha una rilevanza molto forte nel suo lavoro. È importante raccontare quello che c’è dietro, la gente a casa non lo sa: i processi li viviamo dal trafiletto del giornale o dai titoli che leggiamo, ci sono molti luoghi comuni. Vivendo quei processi, ci si rende conto di quanto fa la differenza un avvocato, non solo per la bravura, ma soprattutto per l’aspetto umano. Ci vuole una forza incredibile per portarli avanti. Un lato umano che viene dal suo vissuto”. “In questo libro – continua questa ragazza/coraggio - c’è poi anche la nostra storia, la storia dei nostri dieci anni di battaglia e la nostra storia personale, un rapporto che ci ha dato la forza di andare avanti”. Non è un caso la scelta del titolo – “Il coraggio e l’amore” – che definisce entrambi e quello che davvero li lega. “Il coraggio di portare avanti la battaglia – continua Ilaria Cucchi - e poi l’amore verso Stefano, per la verità, per la giustizia e poi quello che diventa il

nostro amore che ci ha dato la forza di andare avanti, ci siamo alternati, sostenuti e cazziati

a vicenda. “Oggi siamo soddisfatti, contenti non è appropriato – aggiunge - perché siamo riusciti nonostante tutto ad arrivare fin qui anche se in tanti momenti era impossibile. Questo è solo l’inizio, non finisce qui. A dicembre inizierà un altro processo che è importante ancora di più di quello che si è concluso ieri, che è quello per i pestaggi. Un processo di pari importanza a quello che si è appena concluso”.

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Rosdiana Ciaravolo//Getty Images

“Questi ultimi dieci anni li abbiamo vissuti in maniera fortissima, sono successe tante cose. Scrivendo questo libro e tornando indietro, sembrava una cosa enorme, successa non si sa quanto tempo fa, ma lo abbiamo fatto soprattutto per il riconoscimento della verità, perché la negazione della verità equivale alla negazione del valore di quella vita e di tutti gli altri protagonisti di questa storia”. Solo una sorella può sapere, può capire e a lei che lo è stata, manca quella presenza “che non la faceva sentire mai sola”, scrive nel libro, un libro necessario, fondamentale per conoscere e per capire. “Mi manca quel tossico di mio fratello…mio fratello”, scrive ancora. In questi anni ha chiesto ad Anselmo la strada, “un aiuto per recuperare il tempo perduto”, e lui gliel’ha indicata. Insieme se la sono data ed è stata questa la loro forza. “Quel tempo perduto - conclude - continua inesorabilmente a scorrere senza tregua, senza scampo. “Un tempo nel quale Stefano continua a dominare la mia vita, le nostre vite”.