Adesso tocca a lei. Gestire un budget annuo da 84,1 milioni di euro non è da tutti. Quindi Daniela Fatarella, nuovo direttore generale di Save The Children Italia, dev’essere davvero tosta. Lavora nella onlus da 15 anni e la nomina è «un grande privilegio e una responsabilità». In Italia sono attivi da vent’anni e investono 13,8 milioni di euro l’anno: Daniela è determinata a continuare il percorso di trasparenza che Save The Children ha iniziato parecchio tempo fa, ancor prima che diventasse un obbligo. Da poco Save The Children ha inaugurato l'ultimo Punto Luce per i ragazzi e le ragazze di Ostia in collaborazione con Bulgari, che da dieci anni li sostiene attivamente. Ma Daniela guarda già avanti.

È significativo per lei essere la prima donna a capo di Save The Children Italia?
Devo dire che negli altri Paesi sono già in tante! Però mi piace pensare che la nomina sia arrivata a cento anni dalla nostra fondazione. Siamo nati grazie a Eglantyne Jebb, una straordinaria donna inglese che voleva aiutare i bambini tedeschi e austriaci, i figli del “nemico”, alla fame dopo la Grande Guerra.

C’è un punto di svolta nella sua carriera?
Ho sempre voluto inserirmi nel terzo settore ma è stato il primo viaggio di lavoro, in Uganda, ad aprirmi gli occhi sul ruolo da svolgere: non tutti devono lavorare sul campo, ognuno deve mettere a frutto le migliori competenze. Nel mio caso la capacità di raccontare e coinvolgere le persone. Ogni persona è parte di un ingranaggio che deve funzionare bene e il suo contributo è fondamentale. Non mi sono mai pentita di aver scelto questo lavoro perché l'orizzonte va oltre la scrivania, vedi e percepisci l'impatto che contribuisci a creare.

Molti giovani guardano al terzo settore come un ambito dove vorrebbero lavorare anche per avere un impatto positivo sul mondo, quali competenze servono?
La parola chiave è professionalità, perché bisogna essere efficaci e competenti come in un'azienda, anzi forse di più per certi versi. Alla base serve una formazione ampia, la voglia e la capacità di vedere la diversità come un valore aggiunto, tanta curiosità e la capacità di imparare dai contesti in cui si viene inseriti. Nel lavoro sul campo servono esperti di logistica, psicologi, avvocati... Ma, proprio come è successo a me, potreste essere utili con altre qualità: le competenze informatiche e digitali, la comunicazione, la raccolta fondi, la capacità di coinvolgere i donatori...

Punto Luce Ostiapinterest
Save The Children/Matteo Carassale
Lo spazio Save The Children inaugurato a Ostia insieme a Bulgari.

Che impatto hanno avuto gli scandali dei recenti anni e la crescente sfiducia verso le ong?
Ci hanno insegnato molto. Abbiamo imparato a gestire il dubbio dei nostri sostenitori, a volte espresso in modo forte e provocatorio. E la soluzione è stata rendere ancora più trasparenti e accessibili i dati delle donazioni e delle attività. In questi casi è fondamentale dialogare. La campagna mediatica, però, è stata certamente dura e servirà tempo all'intero settore per riconquistare completamente la fiducia delle persone. Sarebbe bello raccontare più storie positive, di chi lavora veramente bene.

C'è qualche organizzazione che ammira e che vorrebbe in qualche modo imitare?
Charity Water. Sono bravissimi a rendere trasparente ciascuna donazione e l'impatto che produce. Il loro modo di coinvolgere il pubblico è qualcosa che ammiro.

Punto Luce Ostiapinterest
Save The Children/Matteo Carassale
Il Punto Luce di Ostia.

In Italia investite il 20 per cento circa della raccolta fondi, come è cambiata la vostra attività negli ultimi 20 anni, cioè da quando siete presenti?
Storicamente abbiamo sempre lavorato con minori stranieri non accompagnati, sull'integrazione e l'accoglienza. Ma dal 2008 abbiamo dato grande impulso agli interventi contro la povertà educativa: in Italia un bambino su 10 vive in povertà assoluta. I ragazzi non hanno possibilità di svolgere attività extra scolastiche e non sviluppano competenze e potenzialità che permetterebbero loro di diventare adulti più preparati e anche competitivi nel mondo del lavoro. Facciamo questo nei 24 Punti Luce attivi in Italia.

Perché è speciale il nuovo Punto Luce di Ostia?
Intercetta le fragilità degli adolescenti e li stimola a crescere con corsi e laboratori di design thinking, cinema, fotografia. Non solo per esprimere il talento puro ma per acquisire capacità come l’intelligenza emotiva, la collaborazione. Chi abita in determinati contesti non ha accesso a una serie di opportunità e spesso ha l’impressione che nessuno creda in lui: la bassa autostima porta a non investire sul futuro e a cercare soluzioni facili. Invece vogliamo stimolare la fiducia in loro stessi, anche per accedere alle opportunità fuori dal quartiere, che sembrano precluse ma in realtà non lo sono affatto.

Da cosa nasce l’idea?
È l’evoluzione del percorso fatto finora con Bulgari, nostro grande partner. Ha sostenuto la creazione da zero del Punto Luce, ristrutturando un’ex scuola e contribuendo all’ideazione dei laboratori. Da piccoli siamo stati tutti spronati ad andare avanti e a migliorarci. Ecco, pensiamo che anche questi ragazzi meritino un simile incoraggiamento.