Quando risponde al telefono da Londra – dove si trova attualmente, tra una tappa e l'altra del suo tour – Tamino parla con una calma che sembra appartenere ad un altro secolo, lontana dalla velocità vorticosa degli Anni 10. Nel rispondere, fa lunghe pause, come se si prendesse il tempo di ponderare, riflettere, per poi fornire con gentilezza spiegazioni sempre di molto distanti dalla banalità. Sarà per questa sua affascinante propensione alla riflessività, intimista come le sue canzoni, che il 23enne ha conquistato platee e colleghi ben più rodati, uno su tutti Colin Greenwood, bassista di una band che è oggetto di culto, i Radiohead. Sentito Tamino, Greenwood ha infatti voluto suonare diversi brani del suo primo album e produrre con lui Indigo night, mormorio dell'animo messo in musica, e che fonde le due identità del musicista: da una parte melodie che guardano ad Oriente, dall'altra i testi e la composizione musicale molto più europea. E in effetti, se da una voce si potesse dedurre una storia, un passato, quella di Tamino racconterebbe, senza mentire, di natali e avi in Egitto, di un secondo nome, Amir, che dà il titolo al suo primo album – di cui da poco è disponibile una versione deluxe, eseguita con la Nagham Zikrayat Orchestra – e che in arabo significa "principe". Cresciuto in Belgio, alto, dal fisico asciutto e dalla carnagione ambrata, la somiglianza con il nonno – Muharram Fouad, celebre attore e musicista in Egitto, scoperto da bambino, quando fu scelto dalla sua scuola per cantare di fronte al Re Farouk – è forse in quello sguardo profondo, con gli occhi allungati.

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Louis-Philippe Beauduin
Tamino, che sarà in tour in Italia il 9 e il 10 dicembre a Milano e Roma

La propensione per la musica è nel tuo dna, viene da pensare...

Beh, se credi all'evoluzionismo, dovrebbe essere così (ride). Mi piace pensarlo, anche perché sono sempre stato attratto dalla musica, sin da bambino. E con il nome che mi ha dato mia madre (Tamino come il protagonista de Il flauto magico di Mozart), forse non poteva andare diversamente.

Qual è la prima canzone che ti ricordi di aver ascoltato, quella che ha fatto "scattare" la magia?

Avevo 8 anni, e la canzone era Imagine di John Lennon. Merito di mia madre, che mi bombardava di stimoli musicali, di generi diversi. Quando l'ho visto nel video, seduto al pianoforte, però, è stata la prima volta nella quale sono andato oltre la canzone. Volevo capire chi fosse l'artista dietro. Da lì ho cominciato anche io a suonare il pianoforte.

Tuo nonno però, è morto quando tu avevi solo 5 anni.

Vero, non si può dire che me lo ricordi chiaramente. Però ricordo che la prima volta che ho preso un microfono e ho iniziato a cantare, è stato nel suo studio di registrazione. Di lui oggi mi porto la chitarra, che suono. Era una chitarra resofonica creata da un artigiano amico di mio nonno, un pezzo unico, dal valore affettivo inestimabile. Per lui, e anche per me.

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E poi, però, ti ha notato Colin Greenwood dei Radiodhead e Lana Del Rey... Come è successo?

Con Colin è stata una casualità, ed è ovviamente un onore per me che un musicista della sua reputazione abbia amato quello che faccio. Mi ha dato molti consigli, è un grandissimo appassionato musicale. Lana Del Rey aveva sentito Persephone, mi aveva scritto su Instagram facendomi i complimenti, poi il suo management mi ha contattato chiedendomi se volessi aprire il suo concerto a Dublino. Di fronte a 20 mila persone: un'esperienza indimenticabile.

Madre belga e papà egiziano, come convivono queste due anime in te?

Sono andato a vivere ad Amsterdam a 17 anni per studiare, prima abitavo in un paesino del Belgio. Non mi sono mai sentito particolarmente egiziano, o belga. Non parlo arabo, però qualche anno fa, ho cominciato ad appassionarmi di strumenti musicali orientali, come l'oud (un liuto a manico corto, ndr) e a inserire certe melodie dal sapore mediorientale nelle mie canzoni. Non c'è stato mai nulla di forzato, però: è successo in maniera naturale.

L'orchestra con la quale hai però inciso la nuova versione del tuo album d'esordio, è la Nagham Zikrayat, costituita principalmente da rifugiati. Un tema di scottante attualità...

Credo che un artista non faccia musica spinto da motivazioni politiche, ma se con quello che faccio posso aiutare a creare consapevolezza su questo dramma, mi sembra già abbastanza. Mi rattrista molto però pensare che, quando sei costretto a fuggire da casa tua, e assumi lo status di rifugiato, non sei null'altro. Non sono riuscito a portare a Londra con me, uno di loro, solo perché è siriano e c'era bisogno di un'infinita burocrazia e test e tempi infiniti.

Un essere umano è qualcosa di molto più complesso di una semplice provenienza geografica
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Louis-Philippe Beauduin
Tamino, nome che arriva da Il flauto magico di Mozart, opera amata dalla madre

Voce calda, profonda, testi intimisti: qual è l'atmosfera perfetta nella quale trovare l'ispirazione?

La risposta è molto poco romantica: c'è solo bisogno di concentrazione, sedersi con gli strumenti, e iniziare. L'ispirazione non è qualcosa che puoi gestire, o di cui puoi avere il controllo, purtroppo.

Sei stato protagonista della campagna della primavera/estate 2019 di Missoni con Gisele Caroline Bündchen. La moda ti ha già notato. Ma qual è il tuo rapporto con il guardaroba?

Comincio a farci più attenzione, anche se di base cerco di vestirmi con abiti che mi facciano sentire a mio agio. E, anche se magari sono a casa a scrivere, non rimango mai in pigiama, ma mi vesto come se dovessi uscire. Mi sembrerebbe strano il contrario.

Sarai a Milano e Roma il 9 e il 10 dicembre: come è andata la scorsa volta e cosa ti aspetti?

Ho amato il pubblico italiano perché è molto coinvolto, appassionato, ma nello stesso tempo è molto rispettoso dell'atmosfera un po' magica che si crea durante il concerto. Le aspettative sono alte.

Hai solo 23 anni, ma appari molto più maturo della tua età: non sembri uno che ha bisogno di consigli ma quali sono stati i migliori che ti hanno dato fino ad ora?

Quello di non provare a essere qualcosa di diverso da me stesso. E la lezione, importantissima, che

i miei punti di debolezza non sono necessariamente dei difetti.

I tuoi testi sono tendenzialmente malinconici. Credi che la malinconia sia sottovalutata?

No, però credo che sia parte della vita, così come la felicità. Sui social tendiamo a mostrare, magari mentendo, un'immagine di noi perfetta, sempre felice. Gli attimi di malinconia, la tristezza, sono banditi dall'immagine che vogliamo dare di noi stessi. E invece entrambi gli stati d'animo sono strettamente correlati. Credo che in molti siano convinti che l'obiettivo ultimo della nostra esistenza qui sia il raggiungimento della felicità. Non è vero. L'obiettivo finale è trovare un senso, una ragione. E poi perseguirlo, per tutto il tempo che ci resta.