Tremate, tremate, le streghe son tornate. Era il canto ribelle delle donne che protestavano in corteo per i diritti civili negli anni 70 del Novecento, attingendo a pieno titolo (e con cognizione di causa) ad una figura archetipica parecchio bistrattata. La fattucchiera, la guaritrice, la sciamana: sinonimi e sfumature di senso per un concetto che, declinato al femminile, lasciava un retrogusto inquietante sulla lingua. La caccia alle streghe è uno dei punti più oscuri della storia mondiale: se quella statunitense, nell'eterna costruzione identitaria cui gli americani si dedicano con certosina passione da quando hanno sistematizzato l'industria cinematografica, ha comunque avuto la sua dimostrazione mediatica fino alle versioni pop delle serie tv Sabrina - Vita da Strega o delle streghe Disney, nel Vecchio Continente si è raramente amplificata la questione sul grande e piccolo schermo, preferendo tagli da pubblicazioni universitarie. Che pure hanno dimostrato, spiega lo storico Brian Levack in un suo saggio, come la caccia alle streghe in Europa sia stata per certi versi più cruenta, più capillare e prolungata nel tempo rispetto alla corrispettiva statunitense, allungandosi fino a coprire tre secoli.

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Una doverosa premessa per riconoscere il grande merito della nuova serie tv Netflix Luna Nera, prodotta da Fandango: raccontare una delle più grandi persecuzioni della storia ambientandola nell'Italia del 17esimo secolo. Terza serie tv dopo Suburra e Baby interamente prodotta in Italia, basata sul romanzo Le città perdute. Luna Nera di Tiziana Triana che ha contribuito alla sceneggiatura con Francesca Manieri, Laura Paolucci e Vanessa Picciarelli, Luna Nera dipana in sei episodi in streaming dal 31 gennaio la vita difficile di Ade (Antonia Fotaras), una levatrice di 16 anni che ha imparato il mestiere dalla nonna, esperta conoscitrice di erbe e medicamenti naturali. Con lei e con il fratellino minore Valente, ossessionato dal disegnare raggi di carbone nero attorno a lune piene inquietanti, Ade vive ai margini di un piccolo paesino del Lazio. Quando durante l'assistenza ad un parto il neonato muore, la ragazza e la nonna sono accusate di stregoneria. L'istinto di autoprotezione della protagonista, che sogna una vita normale ma si rende comunque conto di avere dei poteri inspiegabili a molti, si scontra con un destino ineluttabile e dicotomico. C'è l'amore, naturalmente: il ricco e studioso Pietro (Giorgio Belli) crede nella forza della scienza e non nelle paure instillate dall'ignoranza nella comunità, ma si innamora paradossalmente proprio della ragazza che incarna un concetto di magia a lui estraneo.

La protagonista Ade interpretata da Antonia Fotaraspinterest
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Il lavoro dipanato nella fiction di Luna Nera su Netflix si basa su allegorie che sanno molto di contemporaneo: la contrapposizione tra scienza e ignoranza (quest'ultima dettata da superstizioni e stereotipi), la discriminazione delle donne per il semplice fatto di essere donne in ogni epoca o società, la paura-paranoia del diverso e dell'estraneo marginalizzato. Il tutto osando quasi l'inosabile per l'industria fiction italiana: il cast di Luna Nera è composto prevalentemente da attori e attrici esordienti, e la trama si dipana in chiave fantasy. Uno dei generi meno esplorati dell'universo cinematografico nostrano, se si escludono gioiellini lontani nel tempo come il Pinocchio di Luigi Comencini o le favole formato famiglia della tv privata in onda negli anni 90 tipo Fantaghirò, diventa la chiave per affrontare un discorso più attuale che mai. La confezione è affidata a Francesca Comencini (già navigata delle serie tv dopo Gomorra - La Serie), Susanna Nicchiarelli (Nico) e Paola Randi (Into Paradiso), che si sono alternate dietro la macchina da presa e hanno apertamente ammesso di essersi divertite molto a misurarsi con un genere così poco frequentato dalla serialità italiana. Va riportata una questione che proprio in conferenza stampa di presentazione una delle sceneggiatrici, Francesca Manieri, ci ha tenuto a puntualizzare: sì, cast e maestranze (tra cui i costumi) sono prevalentemente donne. Ma perché non parlare del talento genderless, quando c'è, invece di vendere sistematicamente solo le quote rosa del mondo del cinema? Un applauso le dà ragione, il tema resta molto caldo.

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Di spunti di riflessione in Luna Nera ce ne sono molti, e non solo per le tematiche affrontate che miracolosamente, almeno nei primi due episodi, riescono a fare da sottotraccia alle storie dei singoli personaggi senza diventare puro slogan o risoluzione rapida dei nodi della sceneggiatura. Le linee narrative sono tante, restano collegate senza strafare e si intrecciano tra di loro in modo naturale: in questo aiuta molto la semplicità dei dialoghi, forse un filino teatrali in alcuni punti per sottolineare con maggiore enfasi i momenti clou. Fermo restando la parzialità di una recensione che si basa su 50+50 minuti di girato, forse è proprio questo il limite di Luna Nera su Netflix: nonostante tutti gli artifici messi in campo, manca un po' di quella tensione che potenzia la visione e genera suspense, passione, desiderio di proseguire. La caccia alle streghe è indubitabilmente un argomento interessante da raccontare, proprio per "ricollocare quelle donne", come ha detto l'autrice Tiziana Triana, e rispolverare una voce che sia la loro, diversa da quella largamente maschilista della storiografia. La forza della materia sovrasta purtroppo la messa in scena e la recitazione non è sempre efficace nel reggere l'intensità dei vari momenti: dopo i primi due episodi Luna Nera appare come un buon tentativo, a tratti troppo legato ad una vecchia concezione di fiction che punta ad accontentare invece di osare, a tratti miracolosamente libero. Nell'epoca di serie tv sempre più solide e importanti per come riscrivono temi scottanti in generi diversi, Luna Nera avrebbe beneficiato di un filino di coraggio in più. Ma ci riserviamo il binge watching dal 31 gennaio su Netflix per cambiare totalmente idea.

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P.S. In occasione del lancio della serie, Netflix presenta a Milano un’installazione interattiva che invita tutti in piazza a segnalare gli insulti rivolti sui social verso le donne, contrastando la violenza delle parole. Dove? In Piazza XXV Aprile, dal 30 gennaio al 5 febbraio 2020. Come un grande “rogo contemporaneo”, all'interno dell'installazione sono proiettati più di 7mila insulti, parole e le frasi d’odio, frutto della ricerca di un software sui principali social network. Un'esperienza per riflettere, concretamente.