Una come Hillary Clinton è arrivata più volte nella sua vita all’apice e poi è caduta, si è alzata per poi cadere di nuovo e più volte, ad esempio quando scoprì che il marito la tradì con la stagista o quando, quattro anni fa, da candidata alla presidenza degli Stati Uniti, perse le elezioni portando alla vittoria Donald Trump. Si è ritirata per un periodo necessario a vita privata, ha scritto la sua storia su quanto è successo realmente e quel che ne è venuto fuori è un libro, What Happened, che va ad aggiungersi agli altri giù usciti in Italia, da La mia vita, la mia storia a Scelte difficili. Una come lei, però - nonostante le cadute, gli scandali, le difficoltà di ogni genere, le frasi sessiste scatenate contro di lei da avversari che non sono né saranno mai alla sua altezza - la sua vita ha deciso di viverla fino in fondo. Ce lo ribadisce di persona anche al Festival del Cinema di Berlino 2020 dove, come solo durante un festival del cinema può accadere, ad un certo punto, tra Sigourney Weaver, Johnny Depp, i fratelli D’Innocenzo, Roberto Benigni, Matteo Garrone e un party di Bvlgari con uno show case di Myss Keta, è arrivata anche lei, l’ex “più importante avvocatessa d’America”, l’ex First Lady, l’ex moglie tradita con una grande propensione al perdono, l’ex Segretario di Stato e molto altro ancora. Alla 70esima Berlinale non c’è più spazio per la parola “ex” e cerca di farla dimenticare facendo pensare ad un “adesso” in cui bisogna più che mai ragionare per fare ancora - e ancora meglio - un domani che è sempre più vicino.

"Hillary" Photo Call - 70th Berlinale International Film Festivalpinterest
Thomas Niedermueller//Getty Images

Arriva all’incontro con la stampa con un tailleur bianco e nero più rassicurante del solito, un filo di perle arrotolate e lunghe al collo, un dito di trucco e il solito colore di capelli con la solita piega a cui siamo fin troppo abituati. Quando parla di “Hillary”, la docu serie prodotta da Hulu presentata nella sezione Berlinale Special, è tranquilla e rilassata, usa un tono di voce pacato e in alcuni momenti addirittura sorride. È molto soddisfatta del non facile lavoro fatto dalla regista Nanette Burstein che in quattro puntate da un’ora, attraverso interviste, filmati inediti della campagna elettorale e materiale di repertorio foto e video, è andata ad analizzare il suo percorso fatto negli ultimi anni - quello cioè di una donna determinata e propositiva - attraverso alcuni momenti significativi della sua vita. “La ragione per cui ho voluto fare questo documentario - spiega - è che adesso non sono in corsa per niente. Parlo molto e cerco di influenzare il Paese in una direzione che migliori il futuro. Ci sono stati momenti difficili in queste interviste, ma il punto era raccontare una vita a 360 gradi in modo tale che chi abbia voglia di guardarlo possa farsi un’idea invece che leggere dei pezzi sparsi qua e là”. “La verità – aggiunge - è che sono sempre stata molto popolare quando ero al servizio di altri. Quando ho lasciato la Segreteria di Stato sotto Obama, avevo un tasso d’approvazione del 79%, ero la figura pubblica più amata. So bene che quando parlo di lavoro per conto di un uomo, molte persone restano tranquille, ma quando invece faccio un passo avanti e comincio a fare campagna per il Senato a modo mio o quando faccio campagna per la presidenza a modo mio, la gente diventa suscettibile e iniziano a giudicarmi con metri di paragone diversi da quelli degli uomini”.

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Per il documentario, avvincente nonostante duri in totale quattro ore, la regista ha deciso di costruirlo con il flashback. Si va, pertanto, dall’organizzazione della fallita campagna presidenziale per poi tornare all'infanzia di Hillary - prima al Wellesley College e poi alla Yale Law School dove incontrò il futuro marito Bill Clinton – per poi passare al periodo in cui divenne la moglie del presidente con tutti i problemi annessi e connessi, dall’affaire Whitewater a quello Lewinsky. Infine, ecco la Hillary protagonista: senatrice di New York e poi nella sua corsa alla Casa Bianca in cui ha messo tutta se stessa come era solita fare nelle tante battaglie femministe da lei condotte nel corso degli anni. “Quando dissi a Ruth Bader Ginsburg, una delle persone più importanti in assoluto quando si parla di barriere legali abbattute, che negli anni ‘70 nonostante lavorassi come avvocato non riuscivo ad avere una carta di credito a nome mio, lei mi rispose che non dobbiamo mai e poi mai chiedere più diritti per noi, dobbiamo pretendere gli stessi degli uomini. Ci stiamo arrivando ma ad oggi il nostro problema è il pregiudizio inconscio, il fatto che un politico donna che si agita sia considerata isterica e un politico uomo che fa lo stesso, no”. É molto tempo, continua, le orchestre americane erano formate solo da uomini e i direttori dicevano che ai provini non trovavano donne sufficientemente pronte. Quando, molti anni dopo, hanno cominciato a fare provini al buio senza vedere chi stesse suonando, le orchestre si sono riempite di donne. Quella che combattiamo ora è una lotta non politica, ma culturale. Ci sono forze che vogliono tornare indietro su molti passi avanti fatti in questi anni e dicendo questo mi riferisco ad esempio ai diritti degli omosessuali, ai diritti per le donne e alle politiche sull’immigrazione. Gli unici politici che negli ultimi venti anni hanno vinto due elezioni (Bill Clinton e Barack Obama, ndr), l’hanno fatto puntando sulla speranza, perché volevano che la gente credesse di poter essere migliore e perché speravano, è il caso di dirlo, in un futuro più inclusivo e sicuro”.

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Durante l’incontro, Hillary Clinton ha detto la sua anche sul caso Weinstein e sulla neo condanna definitiva all’ex produttore hollywoodiano. “Credo che il verdetto della giuria parli da solo. L’opinione pubblica – spiega - ha seguito attentamente l’accaduto e ora è tempo di una resa dei conti. Per quanto riguarda invece il mio rapporto personale con lui – precisa ricorrendo al massimo della democrazia - non sono a un punto della mia vita in cui guardo al passato, ma solo al futuro. “Weinstein ha sovvenzionato ogni campagna elettorale dei Democratici, quelle campagne elettorali di Barack Obama, John Kerry, Al Gore… Non so perché questo dovrebbe far rabbrividire qualcuno all’idea di contribuire a campagne politiche in futuro, ma certamente dovrà porre fine al tipo di comportamenti per cui lui è stato condannato”. Cosa spera – le chiediamo – una come lei che in campagna elettorale ricevette attacchi sessisti da chiunque, a destra da Trump e a sinistra da Sanders? “Mi auguro davvero che ci possano essere più donne in politica e che questa possibilità diventi la normalità. I progressi fatti sono stati tanti, ma l'uguaglianza è ancora una strada lunga da percorrere. Stiamo andando avanti, ma il punto di arrivo è ancora lontano”. “C’è ancora tanto da fare e di cui parlare”, aggiunge. “Non penso ai rapporti personali, ma a come assicurare l'assistenza sanitaria, cosa fare per il cambiamento climatico, ma – soprattutto (e qui i toni diventano più forti, ma sempre accompagnati dal sorriso, ndr) - a come mandare in pensione Donald Trump". Eccola di nuovo la donna che ha lottato per cambiare la posizione di tutte le donne tramite il proprio atteggiamento e le proprie gesta. È tornata più forte che mai e non ha alcuna intenzione di andarsene. Mai un passo indietro però: sempre in prima.

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