C’era una volta l’exception culturelle française. Era una definizione che serviva a sintetizzare i finanziamenti che lo Stato francese dava alle arti (e a suscitare l’invidia del cinema italiano), ma la estendevamo volentieri all’atteggiamento blasé di quel Paese che sembrava non conformarsi mai. Andava di moda il MeToo e chiunque osasse fissarti troppo a lungo era un bieco molestatore? E le francesi scrivevano una lettera aperta per dire che a loro piaceva essere corteggiate. Gli americani si ricordavano con decenni di ritardo che Polanski era stato condannato per stupro e smettevano di distribuirne i film? I francesi candidavano J’accuse a dodici César (ne ha poi vinti tre). Poi è successo qualcosa. Diceva Mastroianni in un vecchio film: «Le epoche finiscono così, all’improvviso». L’eccezione francese è finita a gennaio, forse, quando è uscito il libro di Vanessa Springora.

Vanessa (nel libro: V.) è una signora quarantottenne che lavora nell’editoria. Il suo memoir, Le consentement, che in Italia è pubblicato con La nave di Teseo, potrebbe essere una qualunque delle autobiografie della mia generazione. Le donne che furono adolescenti negli anni Ottanta tendono a credere che qualunque danza intorno all’io sia interessante, e per le prime decine di pagine anche la formazione di V. è non troppo interessante, nonostante una certa qual tendenza dell’autrice a drammatizzare: il padre che diceva «puttana» alla madre, la volta che sentì la madre e il suo nuovo uomo fare l’amore, il trauma delle prime mestruazioni. Ma si va avanti a leggere perché subito, assieme all’uscita francese del libro, è arrivata la polemica, anzi lo scandalo: la storia è quella di lei, adolescente, sedotta da un adulto. Un adulto famoso. Un intellettuale. Ancor prima che entri in scena G. (lei e lui hanno solo iniziali, tutti gli altri personaggi hanno identità compiute), si capisce che la chiave scelta dall’autrice è quella della predestinazione. I segni dell’imminente tragedia sono ovunque. Nella bambina V. che viene trovata nel bagno dei maschi perché vuole aiutare un compagnuccio a fare pipì. Nell’adolescente V. che, alla cena d’intellettuali, porta con sé come sempre un libro, e quella sera è Balzac, Eugénie Grandet, che in francese ha un’assonanza con l’ingenua cresciuta, ingénue grandit. Nell’adolescente V. che corre in libreria a comprare un qualsiasi libro dell’affascinante G., e la libraia le consiglia un libro che comincia il giorno in cui lei è nata. Vede i segni, chissà se vede anche il proprio futuro memoir.

Lui le manda due lettere al giorno; la madre di lei non s’accorge di niente (finché la figlia non inizia a vantarle la relazione, ed è quella la prima volta in cui, dalla madre, sente la parola “pedofilo”). Lui ha cinquant’anni (la Vanessa divenuta quasi sua coetanea lo descrive come dotato di «sorriso carnivoro, occhi ridenti, mani lunghe e sottili da aristocratico»); lei ne ha appena compiuti quattordici. Lei a perdere la verginità soffre troppo («il mio corpo si rifiuta», segni ovunque, appunti per futuri memoir in ogni dove), quindi inizialmente optano per il sesso anale. Lui si chiama Gabriel Matzneff e già allora, e per i decenni a venire, la pedofilia è uno dei temi dei suoi scritti autobiografici. C’è un momento, dev’esserci, in cui il confine tra i sospiri invidiosi dell’eccezione culturale e il «ma siete scemi?» viene varcato, e non so quale momento sia più appropriato se non quello in cui un intellettuale racconta di portarsi a letto bambini di otto anni nei suoi viaggi nel Sud-est asiatico.

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Eric Fougere//Getty Images

L’intellettuale Gabriel Matzneff (classe ’36) in uno scatto del 2013, quando era ancora un autore acclamato e premiato.

Matzneff ne ha scritto per anni, nessuno ha mai obiettato. Fino a gennaio. Quando Vanessa Springora ha deciso di americanizzare la Francia, scrivendo di quando la polizia riceveva una lettera anonima che denunciava la relazione di G. con una tredicenne (lei in realtà ne aveva quattordici, ma in Francia l’età del consenso è fissata a quindici) firmata «un amico della madre», e quando la polizia andava a parlarne con G. lui era lì con lei, e la liquidava come una studentessa venuta a chiedergli consigli, e la polizia non s’insospettiva minimamente, e G. poi sgridava la madre di V., perché sicuramente la lettera l’aveva scritta qualche suo amico, magari quello che aveva suggerito a V. di diventare scrittrice. Paris Match ha fotografato Matzneff, rifugiatosi in Liguria, che faceva colazione nel bar d’un albergo. Guardatelo, non si nasconde. E perché dovrebbe? Ha 83 anni, metà dei quali trascorsi a non nascondere le proprie più impresentabili perversioni, e voi, stampa francese, non avete mai obiettato.

Bernard Pivot, il più noto giornalista culturale di Francia, ha condotto per quindici anni, fino al 1990, un programma intitolato Apostrophes. Springora ne cita un brandello, tra le cose che, trovate in rete, l’hanno convinta a scrivere di questa storia. Una puntata del 1990, Matzneff ospite assieme a una canadese che, in anticipo di trent’anni sul senno di poi dei francesi, si scandalizzava per questo scrittore presentato da Pivot come «professore di educazione sessuale» e «collezionista di ragazzine». Scoppiato lo scandalo di poi, l’ottantaquattrenne Pivot ha giustificato il sé di trent’anni prima spiegando che a quei tempi «la letteratura aveva la precedenza sulla morale». È straziante vedere ottuagenari che balbettano giustificazioni, in genere tutte riconducibili allo slogan «i tempi sono cambiati». Ma la verità è che i tempi non sono cambiati. Eravamo tutti vivi, sul finire del secolo scorso, e no, portarsi a letto i bambini non era considerato normale. (Per le adolescenti il discorso era già diverso: Manhattan, il film in cui Woody Allen ha una storia con una diciassettenne, all’epoca era una commedia lieve, oggi potrebbe essere girato solo come dramma il cui protagonista paga per la propria perversione).

Adèle Haenel, attrice vista in Ritratto della giovane in fiamme, ha denunciato un regista che vent’anni fa l’avrebbe molestata, dodicenne. Al New York Times ha detto qualcosa dell’eccezione francese: un conto è il libertinaggio, un conto la violenza. Non c’è un altro posto dell’Occidente civilizzato, tranne l’eccezione francese, in cui a fine Novecento un adulto potesse vantare d’avere rapporti sessuali con bambini e venire ricevuto dal capo di Stato (Matzneff girava tenendo nel portafoglio un articolo di lodi scritto da Mitterrand, convinto lo proteggesse da tutto) e stimato e premiato (è stato un premio assegnatogli nel 2013, scrive la Springora, ad averla esasperata e definitivamente convinta che G. andasse sputtanato). Non c’è però neanche mai stata un’epoca in cui ci si svegliasse con decenni di ritardo non per indagare crimini fino ad allora ignoti, ma per indignarsi di cose che si eran sempre sapute ma per le quali si era trascurato finora di scandalizzarsi.

La più evidente analogia del caso Matzneff con quello Polanski è questa. Una mattina ci siamo svegliati e abbiamo deciso che avremmo cambiato criteri di giudizio. La direzione dei César, che un attimo prima ricopriva Polanski di candidature, un attimo dopo era costretta a dimettersi per le polemiche. Gallimard, l’editore di Matzneff, viene perquisito dalla polizia per libri che sono in vendita da anni ma che improvvisamente i tribunali francesi si sono accorti siano apologia d’un crimine. Per l’eccezione francese come per il resto, aveva evidentemente ragione quel film: le epoche finiscono così, all’improvviso.

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Courtesy Grasset

In Le Consentement (Grasset, € 18) Vanessa Springora racconta di come, da ragazzina, sia stata sedotta dallo scrittore Gabriel Matzneff e di come questo abbia influenzato la sua vita. Il memoir è diventato un caso editoriale e ha dato il via a un’inchiesta della procura.