34 pagine di motivazioni per riassumere 20 anni di soprusi, intimidazioni, minacce, probabili torture ai danni delle sue stesse figlie, comportamenti inaccettabili secondo le leggi internazionali. La sentenza dell'Alta Corte di giustizia inglese, divisione tribunale delle famiglie capeggiata dal giudice Sir Andrew McFarlane, è il sigillo ufficiale: l'emiro di Dubai Mohammed bin Rashid al Maktoum è colpevole del rapimento delle figlie principesse Latifa e Shamsa, e della campagna di intimidazione internazionale ai danni della sesta moglie, la principessa Haya bit Hussein, fuggita dagli Emirati Arabi nell'estate del 2019 assieme ai due figli. I risvolti diplomatici sono molto delicati, dato che gli Emirati sono un alleato della Gran Bretagna dove, passando prima dalla Germania, la principessa Haya ha trovato rifugio e attualmente vive.

Esposto allo scorno internazionale, l'emiro di Dubai si era rivolto all'Alta Corte di giustizia inglese per ottenere la custodia dei due figli Jalila e Zayed. Ma i giudici della Regina Elisabetta non si sono limitati ad ascoltare le sue richieste. Hanno acquisito documenti e testimonianze per ricostruire gli ultimi due decenni di storia famigliare dell'emiro, annodando fili sparsi che hanno evidenziato situazioni più che inquietanti. Le decisioni piratesco/rocambolesche attuate per riportare a casa la principessa Shamsa, scappata da una delle tenute di famiglia nel Surrey nel 2000 e trovata a Cambridge due mesi dopo per essere ricondotta nell'emirato, e la principessa Latifa, la cui fuga è stata interrotta da un'operazione via mare nell'Oceano Indiano nel 2018 per costringerla con tutti i mezzi a ritornare a Dubai, sono state interpretate dalla Corte inglese come "un comportamento che va contro le leggi penali dell'Inghilterra e del Galles, le leggi internazionali, le leggi marittime internazionali, e le norme dei diritti umani internazionalmente accettati". La principessa Latifa ha raccontato anche di essere stata sottoposta a torture, rinchiusa al buio e picchiata; non sono state trovate prove, ma i giudici inglesi hanno dato credibilità alle sue rivelazioni.

Durante i dibattimenti in tribunale Mohammed bin Rashid al Maktoum non si è mai visto pubblicamente, preferendo lasciare tutto in mano ai suoi legali. Al contrario, la principessa Haya non ha mancato un appuntamento, affiancata dall'avvocata Fiona Shackelton, nota per aver rappresentato il principe Carlo d'Inghilterra nel divorzio da Lady Diana. Qualcosa nel loro matrimonio si sarebbe rotto tra il 2017 e il 2018, e non perché Haya bin Hussein avesse una relazione extraconiugale con la guardia del corpo Russell Flowers, ex soldato britannico passato alla sicurezza privata, ma perché all'inizio del 2019 la principessa avrebbe iniziato a indagare personalmente sulle figliastre e il loro misterioso destino, scoprendo che suo marito era implicato direttamente nella loro sparizione. Cosa che all'eminente primo ministro non è piaciuta affatto. Secondo la corte inglese l'emiro avrebbe tentato di rapire Haya in elicottero, le avrebbe fatto trovare armi nella sua camera da letto, l'ha insultata e minacciata per la sua relazione extramatrimoniale, avrebbe divorziato da lei senza dirglielo, l'avrebbe minacciata di sequestrarle i bambini e avrebbe pubblicato online delle poesie che indirettamente la prendevano di mira.

I giudici hanno accolto tutte le accuse, sottolineando un punto cruciale: l'emiro di Dubai non ha mai esitato nell'usare tutti i poteri a sua disposizione per ottenere ciò che voleva, qualunque cosa fosse, ed è questo sentirsi al di sopra di ogni legge e diritto umano che la Corte inglese ha voluto evidenziare. Mohammed bin Rashid al Maktoum non si è fatto alcuno scrupolo nel muovere (probabilmente) anche i servizi segreti per ottenere il silenzio delle due figlie, che avevano parlato della loro situazione: stando ai documenti presentati in tribunale, riporta il Guardian, all'epoca il Foreign Office britannico avrebbe bloccato un'indagine della polizia sulla sparizione di Shamsa da Cambridge, ma si sarebbe rifiutato di fornire informazioni in merito durante il processo attuale.

L'emiro di Dubai ha negato tutte le accuse in una comunicazione ufficiale inviata ai media. "Questo caso tratta problemi altamente personali e privati relativi ai nostri figli. Il ricorso è stato fatto per proteggere il benessere e i migliori interessi dei bambini" ha dichiarato il primo ministro degli Emirati, chiarendo che proprio la sua posizione governativa gli ha impedito di essere presente. E ha aggiunto che, secondo lui, si è trattato di un verdetto a senso unico nei confronti della ex moglie principessa Haya, volto a cercare solo la colpevolezza dell'emiro e non la verità dei fatti. Ironia della sorte, all'inizio della lettura della sentenza il giudice britannico lo aveva descritto come "un uomo di fama internazionale la cui posizione e reputazione internazionale giustificano un alto livello di rispetto": ma dopo questo verdetto, la reputazione forzatamente immacolata dello sceicco potrebbe non essere chiara come prima.