Quando nacque la sua prima pronipote, chiesi ad Andrea Camilleri se si aspettava che sarebbe diventato bisnonno. Rispose con una battuta delle sue: “Ma figuriamoci. Io a 50 anni pensavo che non sarei nemmeno arrivato al 2000, questa data fantascientifica”.

La pronipote Matilda, che adesso ha sei anni e a cui dedicò uno dei suoi ultimi libri, una specie di testamento autobiografico, Ora dimmi di te, è la figlia di Alessandra Mortelliti, la prima nipote dello scrittore scomparso un anno fa.

Oggi parliamo di lei.

Alessandra, figlia di Andreina Camilleri, la primogenita di Andrea, arriva prima del commissario Montalbano, nel senso che, alla sua nascita nel 1981, il mitico nonno non aveva ancora pubblicato La forma dell’acqua, romanzo che ha dato il via alla serie. È però cresciuta a pane e libri, cinema e teatro.

“Abitavamo accanto, stavo con il nonno quasi tutti i giorni, a lui non importava scrivere in mezzo al casino di figlie e nipoti, anzi credo che gli piacesse. Grazie a lui e a mio padre (Rocco Mortelliti, attore e regista, ndr) ho sempre respirato l’aria del teatro, fin da piccola ho desiderato lavorare nel mondo dello spettacolo e ancora oggi penso che se mi togliessero da lì mi romperei in mille pezzi”.

Ha iniziato come attrice, dopo aver frequentato l’Accademia Silvio d’Amico dove nonno aveva insegnato in passato. “Nei primi tempi ero piena di tensione perché sapevo di portarmi addosso un fardello importante. Studiavo come una dannata, stavo attenta a non sventolare le mie origini perché non volevo essere giudicata male, “la solita raccomandata”, ma poi ho capito che nulla mi avrebbe potuto fermare”.

Alessandra ha quindi portato diversi spettacoli, spesso scritti da lei, in giro per l’Italia, lavorando soprattutto in teatri off, underground, con quella passione assoluta per il teatro che hanno in pochi, che tutto travolge e che è linfa vitale. Da un suo monologo, storia di un ragazzino che vuole partecipare come ballerino a un talent show (una specie di Billy Elliot al contrario, lo definisce Alessandra) è nato il suo primo film da regista. Si intitola Famosa e sarebbe dovuto arrivare nelle sale ad aprile. Causa lockdown è stato rimandato, arriva adesso dal 13 al 15 luglio per tre giorni nei cinema e poi sarà visibile sulle principali piattaforme.

Il personaggio principale di Famosa si chiama Rocco di nome e Fiorella di cognome, è un adolescente ciociaro borderline, dall’identità sessuale confusa, che ha il mito della danza e che per questo viene maltrattato e bullizzato nella “piccola città bastardo posto”, dove vive.

Il suo sogno è arrivare a Roma, alle audizioni di un talent. Roma e Cinecittà sono il miraggio, il Paese dei balocchi, la libertà.

A teatro Rocco Fiorella lo interpretava la stessa Alessandra, per il cinema ha scelto il debuttante Jacopo Piroli, faccia strana e intensa, perfetto per il ruolo di questo personaggio di ingenuità fiabesca destinato a scontrarsi con la realtà che i sognatori, appena può, li frega e poi li annienta.

Il film è dedicato a nonno Andrea che questa storia l’ha vista nascere. “Mandai Famosa a un concorso letterario, nonno si arrabbiò perché non gliel’avevo fatta leggere prima, poi la seguì con amore in tutti i suoi passaggi, dal teatro al cinema” racconta Alessandra. “Fu profetico, mi suggerì da sempre la strada della regia. Ha fatto in tempo a vedere il film finito. Non ci vedeva praticamente più, ma ascoltava con attenzione ogni battuta”.

Ora Alessandra sta scrivendo un nuovo film che prende spunto da un altro suo testo teatrale, La vertigine del drago, storia di un’inaspettata amicizia tra una ragazza rom e un coatto naziskin.

La vita continua, insomma. Ma anche in questo 2020, data più che mai fantascientifica come direbbe Camilleri, il nonno ha lasciato non poche tracce e non solo perché il secondo figlio di Alessandra, nato due anni e mezzo fa, si chiama Andrea. “Sa cosa? Per me nonno era un alieno: aveva una memoria straordinaria, una lucidità, un acume, una mentalità estremamente aperta. È come se non avesse mai avuto l’età che aveva. La sua morte è stata un colpo durissimo perché, a dispetto dell’anagrafe, per noi era sempre un ragazzino”.