Federica Angeli, 44 anni, giornalista di Repubblica, autrice del best seller A mano disarmata da cui è stato tratto l'omonimo film con Claudia Gerini, sotto scorta dal 2013 per le sue inchieste su Mafia Capitale, ha raccontato a Marie Claire come si vive in libertà limitata cercando di stare bene. Il suo ultimo libro è Il gioco di Lollo (Baldini + Castoldi).



Io ormai mi sono mitridatizzata, sono diventata immune al veleno, sono quasi sette anni che le mie uscite sono controllate, gli spostamenti brevi a eccezione degli eventi in cui sono ospite, o quando devo spostarmi da Ostia per andare in redazione. La mia prigionia è iniziata molto prima del decreto. Il primo anno è stato traumatico, quindi immagino e capisco quello che state provando ora voi. Io andavo a correre sul lungomare o mi prendevo dei momenti di solitudine sulla riva. Cose a cui ora hanno dovuto rinunciare tutti, vedo le persone fare sport ma intorno a casa, io mi sono comprata il tapis roulant perché correre in strada con dietro i carabinieri che corrono dietro di te e l’auto che ti costeggia a passo d’uomo, intralciando il traffico e creando file incredibili, non era possibile.

Psicologicamente, quello che mi ha dato forza è stato pormi delle tappe: “ok, arrivo al primo processo”, che è passato, e poi mi pongo il secondo processo come obbiettivo che mi dà l’idea della libertà vigilata a termine, che riesce a farmi dire “ok, adesso mancano 22 giorni”. Questo mi ha aiutato molto, anche se dal primo giorno di scorta al processo sono passati 5 anni. Ma informarmi su “ma quanto mancherà, ma c’è stato il rinvio a giudizio, quando fisseranno la data?”, contare le date, può aiutare a trascorrere la prigionia. Ora, abbiamo superato il primo livello del 3 aprile, quello in cui pensavamo finisse il lockdown, i più fragili possono continuare il conto alla rovescia, quelli che sono a casa da soli, che non hanno nessuno intorno, la cui vita sociale è telefonica possono attendere la nuova data di apertura come secondo livello.

Io ho provato così a sopravvivere.

Come è cambiata la mia vita ora che tutti sono in casa? Paradossalmente, come giornalista, io posso continuare a uscire con la scorta per fare i servizi perché sono in smartworking e non vado più in redazione, dove eravamo circa in 400 e abbiamo dovuto scegliere chi restava dentro e chi fuori; però per i servizi e le interviste devo uscire. Oggi è il mio giorno di riposo e lo userò per fare la spesa, ma fondamentalmente, per me le cose sono rimaste come prima, tranne che per il fatto che sto di più con i miei familiari che sono in casa con me. I miei figli non devono andare a scuola o a fare sport e cuciniamo insieme un sacco di cose, per me la prigionia è piacevole perché mi godo le cose che per me sono fondamentali. Cosa ho imparato dalla vita sotto scorta? Ho smesso di fare progetti per il futuro a lungo termine, quindi ho imparato a godermi l’oggi, la felicità delle piccole cose. Potrà sembrare retorico, ma è la mia piccola ricetta. Già i ritmi quotidiani sono frenetici, nella mia situazione piano piano sono cambiata e al secondo anno di vita sotto scorta mi sono abituata a fare un bilancio a fine giornata con le cose belle e brutte. Quando c’è un momento bello, di felicità, me lo godo. Prima me lo sono imposto scrivendolo su un quadernino, ora lo faccio in automatico, dividevo i fatti come i buoni e i cattivi sulla lavagna. Ho imparato che se i miei bambini stanno ridendo, mentre poco prima una telefonata mi aveva messo di cattivo umore, se mi concentro sulle risate, sulla battuta, e trascino l’effetto il più a lungo possibile, sto bene.

Ieri mi è venuto un nervoso insopportabile, ho aperto la posta pec è ho trovato un conto 300 euro da pagare di un vecchio bollo. Me la sono presa con mio marito che lo aveva dimenticato, e io non sopporto avere debiti. Mi è durato 25 minuti, il tempo di arrivare a casa, e mentre mio marito cercava la ricevuta nella speranza di averla già pagata, è arrivata mia figlia Viola con il disegno dell’arcobaleno e la scritta Andrà tutto bene, e mi ha chiesto “lo possiamo mettere in balcone?”. Ha usato una tecnica diversa dai suoi soliti disegni per cui i fratelli sono arrivati a vedere e a complimentarsi e mi ha distratta. Alla fine ho pensato “ok quei 300 euro ce l’ho, la pagherò. Se non li avessi avuti, pazienza, avrei rinunciato a qualche spesa”. Dovremmo imparare a farlo senza che ci costringano le circostanze, invece sembra che le arrabbiature riescano ad avere un tempo di permanenza maggiore nei nostri ricordi e nel nostro umore, che la nostra mente le rimugini. Meglio rimuginare una telefonata bella, un momento divertente, dilatare i tempi della felicità. Dividere la molecola-problema in atomi.

In questi giorni ho anche molto più tempo da dedicare all’associazione antimafia NOI, di cui sono presidente onoraria. Abbiamo votato online il nuovo presidente, dopo le dimissioni di Massimiliano Vender. Quello nuovo si chiama Dino Cassone e continuiamo i corsi di giornalismo online, le aule in questo periodo non sono beni confiscati alla mafia ma tutto online, e continuiamo il corso di fotografia, con le foto dal balcone. I ragazzi che partecipano al corso stanno facendo il diario fotografico della quarantena. A settembre faremo il Talent della legalità, il cavallo di battaglia dell’associazione, ovvero persone di ogni età che attraverso il tema della legalità producono canzoni loro o rifatte, o piece teatrali, o balletti o un brano, un articolo, una poesia. L’ultima domenica di settembre, in un anfiteatro al porto confiscato alle mafie, si sceglierà il vincitore che avrà un premio in denaro. Un modo per dimostrare sul territorio che il denaro si ottiene dal talento, non solo dalla mafia. Anche l’antimafia ti fa guadagnare. Per quanto riguarda il murale da cui era stato rimosso il mio volto giudicato “divisivo”, come si sa, dopo la petizione con più di 35mila firme verrà ripristinato. Per ora è fermo ma i ragazzi che lo devono ridipingere da capo lo faranno solo con le loro forze, senza accettare denaro dalla regione, raccolgono i fondi vendendo street food. Tutto è pronto: manca solo di poter di nuovo uscire nelle strade per dipingere. Per fare tante cose.