Raccontare l'infanzia, se ci pensiamo, per il cinema e la serialità è un compito quasi impossibile. Prima di tutto perché la raccontano gli adulti, dunque non raccontano l'infanzia ma il suo ricordo, ma anche perché i bambini sono stati così spesso raccontati come oggetto dello sguardo, veicoli narrativi per spiegare il comportamento adulto (pensiamo a tutte le narrazioni dei traumi infantili come premessa per protagonisti adulti disfunzionali), vittime, fantasie anziché come individui che seppur giovani possono essere in possesso di un'agenda e di una volontà propria, e trovarsi al centro della loro storia.

Quindi nella visione comune, una storia con protagonista bambino è una storia automaticamente per bambini, che magari è fruibile anche dagli adulti se sono in vena di “tornare bambini” ma preclude immediatamente l'idea di poter essere una narrazione che ci dice qualcosa sul mondo che viviamo in maniera matura e complessa. La stessa definizione di “storia di bambini” presuppone l'idea di una narrazione adatta solo a una nicchia di pubblico o a una sospensione dell'incredulità, come se l'infanzia fosse un momento sospeso e slegato dalla realtà contingente. Questa è la premessa per cui probabilmente tante di voi non si sono sentite attirate immediatamente da Home Before Dark serie tv di Apple TV+ tratta dalla vicenda di Hilde Lysiak, oggi tredicenne, che a nove anni riuscì col suo lavoro di reporter investigativa – sul giornale locale da lei fondato, Orange Street News, che da foglio disegnato a matita è arrivato a includere un sito web, un profilo Face e una pagina YouTube – a svelare il mistero di un omicidio a Selingrove, Pennsylvania con l'aiuto del padre giornalista.

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Pur trattandosi appunto di una storia parzialmente vera, almeno dal punto di vista della precocità della protagonista (che sulla carta sarebbe anche il presupposto meno credibile), è perfettamente logico che una protagonista che non è neppure arrivata alle scuole medie non ci sembri l'ideale per reggere sulle sue spalle uno show che parla di misteri, omicidi e indagini complesse. Siamo abituati a pensare che i bambini siano semplici e ingenui, cerchiamo di tenerli a distanza dal mondo adulto per non sconvolgerli ma soprattutto perché non li riteniamo all'altezza, e una bambina famosa per aver risposto ai propri commentatori online “I want to be taken seriously. I'm sure other kids do, too” è molto difficile da incasellare nella nostra idea di infanzia tenera e rassicurante. Infatti Home Before Dark non aspira a essere tranquillizzante, ma non prova neppure a proporci una storia d'infanzia dai tratti fantastici e favolistici, immergendoci invece subito nel punto di vista peculiare della piccola Hilde: bambina particolarmente intelligente, vero, ma assolutamente credibile sia nei suoi lati eccezionali che nelle sue normali e giustificate ingenuità, che riesce però a scardinare segreti e bugie del mondo degli adulti offrendo semplicemente una prospettiva diversa. Quando Hilde e la sua famiglia (nella realtà così come nella serie) si trasferiscono da New York alla Pennsylvania, la bambina non è soltanto già stata istruita dal padre sul metodo giornalistico e diventata appassionata dello scoprire tutti i lati di una storia, ma è anche soprattutto portatrice di uno sguardo fresco e libero dai pregiudizi sulla vita provinciale della cittadina in cui si trova catapultata.

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Sembra ridicolo pensare che basti un nuovo modo di guardare alle cose unito all'energia e alla perseveranza di una persona così giovane da non aver ancora imparato a scendere a compromessi per svelare prima della stampa ufficiale un caso di omicidio e naturalmente la serie ci porta ben oltre la vita di Lysiak per raccontare un'indagine molto più complessa, su un'intricata serie di eventi che include un cold case di più di vent'anni prima per cui è stato condannato un innocente e in cui suo padre è coinvolto in prima persona. Ma al netto delle esagerazioni narrative, il centro d'interesse della serie non è la detection in sé quanto l'approccio rivoluzionario che a questa può avere una persona non frenata dalla paura della perdita di uno status, dalle convenzioni sociali, dalle aspettative: è quello di Hilde Lysiak è uno sguardo puro e quindi per assurdo molto più neutrale, professionale e dedicato alla storia di quello degli adulti. Nella cornice di una piccola cittadina di provincia piena di segreti che sembra uscita da un racconto di Stephen King, le showrunner Dana Fox e Dara Resnick inseriscono una vicenda che sicuramente si colloca nella tradizione delle giovani detective letterarie USA, da Nancy Drew a Veronica Mars e considerando che la media delle reporter/detective donne raccontate dalle serie più recenti sono alcolizzate (Jessica Jones), guidate dai propri traumi più che dal lavoro (Sharp Objects, Killing Eve) o tendono ad andare a letto con criminali e fonti decisamente più spesso del normale (House of Cards, The Fall) e che i protagonisti maschili sono simili se non peggiori, risulta buffo ma non poi completamente implausibile che la bandiera della coerenza giornalistica venga portata avanti dalle ragazzine e persino dalle bambine. Ma c'è tanto anche dell'idea d'infanzia di King nella serie, pur non essendo un vero e proprio coming of age. Certo Hilde non subisce un cambiamento reale, perché è troppo giovane, ma innesca sicuramente una trasformazione della società intorno a sé pur non essendo ridotta allo stereotipo della bambina geniale che risolve i problemi di adulti inetti.

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L'eterna tensione della poetica di King tra innocenza e lato mostruoso del mondo (la protagonista del suo romanzo La bambina che amava Tom Gordon ha peraltro la stessa età di Hilde “Il mondo aveva i denti e in qualsiasi momento ti poteva morsicare. Questo Trisha McFarland scoprì a nove anni”), quello che lo porta a essere al tempo stesso il cantore dell’infanzia come paradiso perduto, idealizzato o rimosso ma sempre magico, sia dell'ignoto che ci aspetta dietro l'angolo a qualsiasi età e della scoperta della propria mortalità. Nelle storie di King i bambini sono eccezionali perché bambini, forieri di infinite possibilità, scardinatori di abitudini e rivoluzionari per loro stessa natura, un aspetto che Fox e Resnick riescono a riprodurre e catturare molto meglio di tante trasposizioni di King stesso o di omaggi ben più pedissequi e dichiarati come Stranger Things, anche se Resnick stessa ha dichiarato di essersi ispirata a Stand By Me per costruire le atmosfere della serie. Molto è merito di Brooklynn Prince che interpreta Hilde con una risolutezza e una capacità che la fanno uscire da subito dal cliché della monella precoce e saccente per diventare un personaggio tridimensionale alla stregua di qualsiasi degli adulti, ma anche a una scrittura che non la riduce mai a una dimensione d'infanzia, che non la tratta da bambina ma come un essere umano complesso. All'interno di questa complessità rientra anche un discorso di genere, tanto più interessante perché raramente applicato a questa fase della vita nella finzione, per quanto si sappia invece che nella realtà il sessismo interiorizzato si costruisce proprio nell'infanzia: Hilde si ribella alla condiscendenza con cui viene trattata non solo in quanto bambina, ma in quanto femmina ed è perfettamente consapevole delle dinamiche anche interne al genere femminile in cui la società vuole incasellarla. E la scrittura dello show mostra un'intelligenza rara nel non trasformare la questione in un girl power buono solo per gli slogan, ma indaga a fondo attraverso le altre donne (madre, sorelle, vicine, insegnanti) il riflesso delle pressioni a cui è sottoposta Hilde in altre fasi della vita e su altre personalità, senza neppure trascurare i personaggi maschili sui quali al contrario sono le pressioni legate alla mascolinità più tossica a lasciare il segno. In particolare il rapporto tra il padre e la madre, in cui la crisi esistenziale di lui e l'incapacità di comunicarla vengono finalmente trattate non come un fatto scontato dell'essere uomo ma come un problema che investe l'intera famiglia e che la madre non accetta passivamente ma anzi, aggredisce di petto e rifiuta di dare come assodato, diventa al tempo stesso una sfaccettatura del discorso più generale e un modo per leggere più a fondo Hilde: non un folletto genio spuntato dal nulla, ma il prodotto di una dinamica familiare sana che le permette di svilupparsi come individuo al di fuori di ruoli restrittivi. Al contrario di tanti adulti, Hilde (il cui cognome diventa Lisko nella serie), sa di avere diritto ad essere ascoltata indipendentemente dalla propria età e dal genere che le hanno assegnato alla nascita e la serie ci dice molto chiaramente che le bambine come lei non nascono dal nulla, ma dall'influsso di adulti consapevoli che i bambini non sono solo vasi vuoti da tenere buoni e zitti per riempirli con le nostre convinzioni, ma piccoli esseri umani da lasciar liberi di evolversi, di diventare ciò che desiderano con gli adulti a fare guida e soprattutto di fare sentire la propria voce. Come direbbe Hilde stessa I may be small, but I will not be silenced.

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