Keanu Reeves, gigante gentile che non sbaglia mai, mette all’asta una chiacchierata di 15 minuti su Zoom (ma tra noi possiamo chiamarla “appuntamento”) a favore di un’organizzazione benefica per bambini malati di tumore. Paul Mescal, protagonista della serie Normal People, mette in palio la catenina d’argento - un po’ tamarra, ma francamente un po’ sexy - diventata oggetto-feticcio per i molti fan della serie e in pochi giorni raccoglie oltre 70.000 euro per un centro per la salute mentale a Dublino. Ariana Grande manda un food truck alle persone in fila per le votazioni delle primarie democratiche del Kentucky. John Boyega, diventato istantaneamente famoso per aver interpretato Finn nell’ultima trilogia di Guerre Stellari - un franchise sulla Resistenza che ha ripetutamente trascurato la Black experience -, marcia per le strade di Londra e si rivolge ai manifestanti in un discorso appassionato, con tanto di lacrime (e megafono).

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Questi sono solo alcuni esempi recenti di attivismo promosso da personaggi famosi comparsi sui social nelle ultime settimane, escludendo l’ondata di eventi online relativi alla pandemia in corso. Chi era adolescente negli anni ’90 ricorda ben altri modelli di impegno politico/sociale, profondamente diversi nei toni e nelle tempistiche. Basti pensare al festival Tibetan Freedom Concert organizzato dai Beastie Boys o a un più nostrano “Cancella il debito” di Jovanotti. Senza dimenticare i supergruppi degli anni ’80 che hanno intasato le radio con We are the world e Do they know it’s Christmas?. Che tenerezza, che ingenuità. Le intenzioni erano perlopiù buone e il rischio di ricevere reazioni negative piuttosto basso, ma i risultati non erano mai su larga scala o mancavano di concretezza. Nulla in confronto agli attivisti radicali del passato, da John Lennon a Jane fonda, da Harry Belafonte a Jean Seberg.

E oggi? Oggi la sinergia tra celebrity e fan è sempre più forte, i feedback accelerati, il backlash dietro l’angolo. La richiesta di contenuti da parte dei fan è alta così come il rischio di fare la mossa sbagliata. Il (re)tweet giusto al momento giusto può muovere eserciti e cambiare i destini, fare arrestare i poliziotti colpevoli, dare voce e chi non riesce a farsi sentire. Di recente abbiamo perfino visto che una mini rivoluzione può partire dal basso e ci siamo ritrovati a leggere articoli su Trump, Tulsa e i fan del K-Pop.

Negli ultimi anni è diventato sempre più chiaro che quello che succede sui social non si limita ai social. Nessuno sceglie di rivolgersi a Hollywood per avere un onesto punto di riferimento, ma le persone, adolescenti inclusi, vuole spendere i propri soldi per marchi e persone con le quali si trovano d’accordo. Di conseguenza noi consumatori chiediamo alle corporazioni e alle celebrity con i loro curatissimi brand personali di prendere posizione, in fretta e chiaramente, su questioni sulle quali non si sarebbero espressi prima, con la tacita supplica di non deluderci come già fanno regolarmente politici e istituzioni. I risultati di questa nuova dinamica possono essere molto diversi nella loro varietà: dalla rapper Cardi B che chiacchiera con Bernie Sanders chiamandolo “zio Bernie”, alla nuova Taylor Swift, politicizzata dopo anni di neutralità e con tanto di documentario per raccontarci nel dettaglio la sua evoluzione. E ancora: da North Face e Patagonia che rimuovono le inserzioni pubblicitarie da Facebook, alle proposte per la riforma sociale promosse dal marchio di gelati Ben & Jerry’s.

Insomma, dimmi che gelato mangi e ti dirò chi voti.

Ovviamente non mancano alcuni insuccessi imbarazzanti nell’attivismo dell’ultima ora, come il raffazzonato supercut di attori belli e spettinati che cantano controvoglia Imagine o un altro supercut con un altro gruppo di attori belli e (meno) spettinati che fa il mea culpa sul loro razzismo inconscio sulle note di una melodia triste al pianoforte.

D’altra parte, in difesa delle celebrity, le regole del gioco una volta erano più chiare e le opzioni limitate: potevano buttarsi in politica, sposare una causa specifica, schierarsi dalla parte di un certo candidato presidenziale. Magari peccare di narcisismo - dopotutto essere sotto riflettori è la loro vocazione - e aprire una propria fondazione. Di questi tempi, se un personaggio famoso presente sui social volesse dissociarsi da un dibattito in corso, non lo potrebbe fare. In questo 2020 incredibilmente caotico, una cosa è chiara per le celebrity:

anche decidere di non fare nulla corrisponde a fare qualcosa.