Le stanze di un casale in campagna, l’aria tiepida sibila attraversando un’esplosione di boccoli oro, pastelli a cera sparsi in veranda, le dive degli anni Ottanta alla tivù e un karaoke Canta Tu, regalo pop di una famiglia tutt’altro che pop. “Non ricordo un giorno in cui le note di una canzone non abbiano sfiorato le mura della mia stanza, in cui i suoni di un pianoforte non mi siano ronzati in testa”, lo stesso pianoforte con cui suo papà Ludovico Einaudi ci ha fatto volare verso Nuvole Bianche, semplicemente appoggiando una puntina su un vinile, cliccando il tasto Play.

Lo schermo di un computer ci divide ma, quando incontro gli occhi-lago di Jessica Einaudi, il digitale lascia spazio al personale. Accovacciata sul parquet di un appartamento con vista il cielo sopra Berlino (cit.), si racconta e ci racconta, mentre scalda la voce per preparasi al nostro unplugged live Good Energy Break, il ciclo di concerti intimi organizzati da Hearst Italia per vivere online emozioni da replicare offline. Figlia d’arte made in Italy, nata a Milano ma adottata da Prenzlauerberg, mamma di due e compagna del compositore e produttore Federico Albanese, questa artista electro-pop classe 1983 mette in musica i suoi chiaroscuri, color oro e nero, come il suo ultimo album, Black and Gold (2018, Overhear Records).

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Linda Rosa Saal

La prima volta che le tue dita hanno sfiorato il tasto di un pianoforte.
Probabilmente il giorno stesso in cui sono venuta al mondo. La musica, in tutte le sue sfumature astratte e concrete, c’è sempre stata. Era la cosa più naturale al mondo per la nostra famiglia. Ricordo che a 8 anni mi avevano regalato un microfono giocattolo e un Canta Tu e da quel momento in poi mi sono messa in testa di voler diventare una cantantessa un po’ diva, un po’ old fashioned, maledettamente esibizionista.

Per poi trasformarti nell’esatto opposto…
Già. Oggi vivo la mia musica e le mie performance in modo molto intimo e intimista. È stata Berlino a farmi riprendere quel microfono in mano con più forza di prima, facendomi riavvicinare alle melodie con una passione di cui non potrei più fare a meno.

Cos’hai trovato a Berlino?
Una città in cui c’è infinito spazio per infiniti artisti e infiniti generi, il pubblico è rispettoso e attento, e può imbattersi in artisti e progetti underground che difficilmente troverebbe altrove. Manco un po’ dall’Italia ma so per certo che c’è fermento, c’è una bella scena alternativa e locali che vogliono accoglierla, forse le istituzioni un po’ meno…

Il primo live che ti ha fatto piangere?
I Radiohead alla Villa Reale di Monza nel 1997. Era il tour di Karma Police, no, credo che le mie lacrime non abbiano bisogno di altre spiegazioni…

La canzone a cui hai pensato la prima volta che hai incontrato lo sguardo dei tuoi figli.
Quando è nato il primo, Julian, stavo scrivendo Black and Gold e, tenendolo sul petto - off the records, eravamo entrambi sfiniti dopo un travaglio durato 2 giorni - mi è venuto da cantargli Golden Head, il pezzo più tranquillo e sognante di tutto il disco. Prima che nascesse la piccola Teodora, invece, arrivavo da un periodo di grande ansia, e lei con il suo carattere stupendo ha risolto ogni cosa. Non posso far a meno che pensare a Angel dei Massive Attack.

La canzone che vorresti ti dedicassero i tuoi figli.
These arms of mine di Otis Redding. La balliamo sempre insieme, e in quei momenti non mi sembra possibile felicità più grande che essere con loro.

Da artista, come stai vivendo la ripartenza dell’industria musicale?
Noto con dispiacere che in Italia c’è pochissimo interesse a supportare chi lavora nel nostro campo. Bisognerebbe prendere a esempio paesi come la Germania, che stanno offrendo un sacco di aiuti agli artisti e al mondo della cultura perché ne riconoscono l’importanza. Ho la sensazione che in Italia il mio settore sia totalmente sottovalutato. Ma spero che sia un momento passeggero, deve e può tornare tutto come prima.

Il primo concerto che vorresti rivedere?
Ghostpoet, nessun dubbio.

Il complimento più bello ricevuto da tuo papà?
Anni fa, alla fine del mio primo concerto, “una voce così in Italia non c’è”. È il mio primo fan ma anche il primo a dirmi se c’è qualcosa che non va, a consigliarmi e criticarmi. È una persona molto schietta, e fa bene.

Cosa succederà nel tuo futuro prossimo?
Sto per concludere il mio nuovo ep, spero di pubblicarlo in autunno. Intanto, potete ascoltare ovunque il singolo che lo introduce, Space and Time.

Come si traduce una sensazione in uno spartito?
È un processo molto poco razionale. Soprattutto all’inizio, è un momento che io definisco di “sogno astratto”, partendo da un’idea quasi inconscia cerco di trasportarla nel mondo reale, di dargli un filo logico, un senso. A volte inizio a cantare un motivo che ho in testa, trovo naturalmente delle parole che si accompagnano alla melodia, e così nasce una canzone. Insomma, non facendo fare la guerra a ragione e sentimento.

Come intrecci suoni e vita privata con il tuo compagno?
Non è facile ma ci riesce, facciamo in modo che riesca, piuttosto bene. Abbiamo anche suonato insieme per anni, eravamo un duo, Le Blanche Alchimie, un progetto bellissimo che ci ha visto crescere, evolverci, prendere infine “strade musicali” diverse. Oggi continuiamo a collaborare per la produzione dei miei pezzi, e amiamo ascoltarci a vicenda ogni volta che abbiamo una melodia in testa, una canzone finita, un testo da riempire.

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