“No mascarilla, no vacuna,”, no alla mascherina, no al vaccino: 16 agosto 2020, una signora a Madrid tiene alto un cartello con lo slogan contro quelle che vengono considerate le uniche due misure di prevenzione contro le epidemie virali, la prima in attesa del secondo. I movimenti no mask manifestano in Spagna, nelle piazze americane, a Berlino, ovunque nel mondo, sfidando decreti che impongono l’uso delle protezioni in pubblico. Difendono convinzioni che hanno portato nel weekend di Ferragosto alla chiusura delle discoteche in Italia e le conseguenti proteste. La genesi della scuola di pensiero è variegata, i novax e i nomask sono bipartisan, ma quando le proprie convinzioni politiche sono opposte a quelle del governo è comprensibile la diffidenza verso le disposizioni che emette e la tendenza alla “esposizione selettiva”, la volontà di accettare solo informazioni coerenti con le proprie idee. Convinzioni che poi si auto-alimentano in rete? Prima di dare la colpa ai social è bene sapere che tutto questo è già accaduto durante l’epidemia dell’influenza Spagnola, oltre 100 anni prima della nascita di Facebook, dando vita al movimento no mask del 1918.


La giornalista Kiona N. Smith ne aveva già parlato su Forbes ad aprile in pieno lockdown ripercorrendo le proteste durante la pandemia globale di Spagnola del 1918, quando qualche migliaio di persone si riunirono a San Francisco per protestare contro le misure volte a rallentare la diffusione del virus. Il gruppo si chiamava Anti-Mask League e i principi che portava avanti suonano familiari con quelli che leggiamo oggi sui social. Secondo questo gruppo le misure di prevenzione, prima tra tutte l’obbligo di indossare la mascherina in pubblico, stavano calpestando i diritti costituzionali. C'era poi una frangia moderata non negazionista secondo cui il virus era pericoloso ma le misure non funzionavano comunque. In California i primi casi di Spagnola erano arrivati alla fine di settembre del 1918, la Prima Guerra Mondiale era ancora in corso e a Philadelphia si era tenuta una parata di raccolta fondi per lo sforzo bellico. Un assembramento che diede subito i suoi effetti: un mese dopo in città c’erano 2.000 contagiati e da lì il virus si sarebbe propagato ovunque. Il Board of Health di San Francisco emise disposizioni precise di lavarsi spesso le mani ed evitare gli assembramenti ma quando le persone cominciarono a morire vennero anche chiusi tutti i locali da ballo, i teatri, i cinema e le scuole.

Molte città, tra cui San Francisco, provarono a raccomandare l’uso della mascherina ma poiché non veniva rispettato a sufficienza, fu reso obbligatorio. Così come abbiamo visto confezionare mascherine con pizzo traforato o con la stoffa coordinata all’abito, in quei giorni le signore se le cucivano con lo chiffon avanzato dal confezionamento di una tenda ma la maggior parte delle mascherine era in garza e tutte erano molto meno efficaci di quelle in tessuto non tessuto polipropilene di oggi. Proprio perché l’efficacia non era certa, l’obbligo veniva imposto a discrezione dei comuni e non dallo Stato. Immediatamente il municipio di San Francisco fu bombardato da lettere di protesta. Le rimostranze di chi le spediva erano per lo più: “le mascherine sono una seccatura”, oppure, “richiedere alle persone di indossarle è incostituzionale”. Ad avere ragione, forse, era il gruppo moderato, i sostenitori dell’inutilità. La garza non fermava le particelle di virus da 80-120 nanometri, come quelle in uso oggi, multistrato. Fermavano un po’ di goccioline di saliva, un piccolo contributo contro la diffusione, ma più di quello al tempo non si poteva avere. Intanto, chi veniva colto in pubblico senza mascherina, a San Francisco veniva multato di 5 dollari che finivano nelle casse della Croce Rossa e si arrivò a vietare di tossire o starnutire in pubblico, e a chiedere di restare a casa se si manifestavano sintomi di influenza.

Gli abitanti di San Francisco rispettarono le regole. L’80% di loro indossò la mascherina regolarmente e quando il sindaco James Rolph venne fotografato a volto scoperto durante un impegno istituzionale, il capo della Polizia, che dipendeva da lui, lo multò di 50 dollari. Le persone rispettarono i divieti di assembramento, uscirono di casa solo se necessario e indossando sempre la mascherina di garza. La curva dei contagi si appiattì. Il 21 novembre del 1918 l’obbligo della mascherina a San Francisco venne revocato. La guerra era finita, i cittadini scesero in strada a dire addio alle mascherine e ad abbracciarsi. I contagi erano scesi drasticamente, furono riaperti i teatri e le sale da ballo. Le restrizioni erano state opprimenti: tutti aveva voglia di tornare a vivere, lavorare e divertirsi. Nel giro di due settimane, iniziò la seconda ondata dell’influenza Spagnola, quella fatale. Le disposizioni tornarono in vigore e a quel punto, mentre gli ospedali si riempivano, si costituì l’Anti-Mask League. Vi aderirono l’1% degli abitanti di San Francisco pochi - perché non c’erano i social, ad aggregarli? - ma si facevano sentire mentre si ritiene che in città stessero morendo 3,2 persone contagiate su 100. Come andarono le cose lo sappiamo: con una dotazione di mascherine dall’efficacia ridotta e la mancanza dei dispositivi da terapia intensiva che abbiamo oggi, il virus H1N1 contagiò circa 500 milioni di persone nel mondo uccidendone quasi 50 milioni. Essere venuti al mondo una pandemia dopo, forse, la possiamo considerare una fortuna. Da non sprecare.