Come molti film in costume, Miss Marx sfrutta la distanza prospettica per affrontare il presente raccontando il passato. Il tema è quello dell’emancipazione femminile, che, oggi, sembra più attuale soltanto per via di una presa di coscienza che, ai tempi in visse Eleanor Marx, non era profonda né, tanto meno, diffusa. Lei, la figlia più giovane del filosofo Karl, era, per l’epoca, un’eccezione, impegnata in prima linea nella lotta operaia e in quella per i diritti delle donne. Nel film, in concorso a Venezia 77, e in uscita al cinema il 17 settembre, la regista Susanna Nicchiarelli la racconta con uno sguardo affettuoso e partecipe.

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Nella prima scena, la vediamo al funerale del padre, spiegare a un ristretto gruppo di amici quanto fosse stato limpido e sincero l’amore che aveva unito i suoi genitori: “Una fedeltà reciproca durata tutta la vita”. Non solo scoprirà, nel corso degli anni, una verità diversa e più complessa, ma si scontrerà lei stessa con le ambiguità e le contraddizioni dei rapporti d’amore. In confronto, le battaglie civili sono molto più leali. Magari perdi, ma non hai dubbi su chi sia l'avversario.

La Nicchiarelli parla di “fragilità delle illusioni”, spiegando che la sua scelta di mescolare pubblico e privato è un’incongruenza solo apparente. Lei non lo dice, ma, in tempi di Covid, la questione è ancora più attuale. Perché è diventato più che mai evidente come questi due mondi, quello degli affetti e della famiglia, da un lato, e quello dell'impegno sociale e del lavoro, dall'altro, si reggano, per le donne, su un equilibrio instabile. Un'altra ragione per sentire vicina a noi questa vicenda umana apparentemente così remota. Un mescolamento di piani temporali che la regista affida anche alla colonna sonora, con pezzi rock che irrompono,con naturalezza, in alcune scene.

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Ma ecco la storia. Eleanor Marx era nata nel 1855, ultima di sei figli. In qualità di “preferita” del padre, fu lei ad assumersi il compito di proteggerne l’eredità culturale dopo la sua morte, mettendo ordine nei suoi appunti e pubblicandone le opere. Da ragazza avrebbe voluto fare l’attrice (Nel film la vediamo recitare il monologo di “Casa di bambola” di Ibsen), invece, finì per diventare traduttrice e appassionarsi al sindacato e al socialismo. Nel 1883 - l’anno della morte del padre - conobbe Edward Aveling, un noto politico, ovviamente anche lui socialista, con il vizio dell’oppio e una congenita incapacità a gestire il denaro. Suo e degli altri. Quando lui, al loro primo incontro, la prende da parte e le chiede si poterla chiamare Eleanor e non Tussy, il diminutivo che familiari e amici usavano fin da quando era piccola, lei lo guarda estasiata, mentre noi, in platea,sappiamo già che la renderà infelice. Nicchiarelli è bravissima a farci intuire che in quell’offerta romantica si cela l’insidia di un uomo capace di farti sentire unica, legandoti a lui oltre la ragionevolezza. Un altro problema di Aveling era il fatto che, all'epoca, fosse già sposato, in tempi in cui il divorzio era non impossibile ma complicato. A Eleanor offrì libero amore, consapevole, forse, che per una donna che aspirava all’emancipazione sarebbe sembrata la fuga perfetta dalle convenzioni sociali. E, quasi certamente, anche del fatto che lei, a differenza sua, non lo avrebbe tradito mai.

Eleanor - è storia, non è uno spoiler - morì suicida a 43 anni. Ma, almeno nel film, la sua scelta sembra presa con serenità. “Edward è come un bambino”, dice a un certo punto: imputargli la sua natura sarebbe come rinfacciare a un infermo di soffrire della propria malattia. A interpretare Eleanor è Romola Garai, che suona italiana, ma è inglese, un’attrice trentottenne con una solida carriera alle spalle (Tra i suoi primi film “La fiera delle vanità” del 2004, tra gli ultimi “Suffragette”, altro film “femminista” e in costume del 2015). Mentre Patrick Kennedy, 43 anni, anche lui inglese, è Edward, un ruolo non facile, che l’attore riesce a mantenere in equilibrio tra fascino e inaffidabilità. Quando le dice: “Sono nato per amarti”, persino noi siamo tentate di credergli.