“Come molti, non sapevo che quel momento lo stavo vivendo davvero, ma ho provato a raccontarlo. Spesso le cose ti arrivano senza averle previste, bisogna però imparare ad ascoltarle”. Quello di Andrea Segre - classe 1976 – già regista di “Io sono lì”, L’ordine delle cose” e “Il pianeta in mare” – è stato un lockdown particolare nella sua straordinarietà e drammaticità. Mentre preparava due progetti per il teatro e per il cinema, da febbraio ad aprile è rimasto bloccato a Venezia, la città che ha ospitato e che ospita molti dei suoi progetti lavorativi. La pandemia ha ‘congelato’ e svuotato il capoluogo veneto, riconsegnandolo alla sua natura e alla sua storia, ma – come è accaduto nel suo caso – anche alle sue memorie familiari, a tal punto da decidere di raccogliere appunti visivi e storie in quello che è poi diventato il suo nuovo documentario. Si intitola “Molecole” e viene presentato oggi come film di pre-apertura della 77esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica, “il modo migliore per ringraziare la città che lo ha fatto nascere”.

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Courtesy Valeria Fioranti
Il regista Andrea Segre

“Quando si fa un documentario – ci spiega quando lo incontriamo al Lido, pantaloni blu come la camicia, ma in una diversa nuance – ad essere l’autore dello stesso non è solo il regista, ma anche le varie cose e gli eventi, un qualcos’altro che ha un potere quanto me. Fare un documentario come questo, aggiunge, mi ha insegnato a fare i conti con la imprevedibilità”. L’avvicinamento tra i due – il regista e la città che lui, da bambino, era costretto a frequentare ogni domenica per far visita con la famiglia alla nonna “che viveva in affitto sul Canal Grande” – è stato molto lento. A casa avevamo tanti libri su Venezia, ma avevo una sorta di rifiuto. Durante questo lockdown ho deciso che avrei dovuto rimediare e così ho fatto”. Per fare un film – precisa - bisogna pensarlo, scriverlo, organizzarlo e girarlo, ma in questo caso non c’è stato invece nulla di tutto questo. Non mi sono nemmeno accorto di girarlo, l’ho vissuto ed è uscito da solo, in un tempo e una dimensione che non potevo prevedere, è sgorgato come l’acqua”. Il suo lavoro è iniziato con il dialogare con gli elementi invisibili di quel suo vissuto. “Quelli visibili – dice subito – sono troppo eclatanti. La realtà ti mostra con evidenza un evento che è eccezionale, ma poi tu devi andare oltre quell’eccezionalità altrimenti hai a che fare solo con la cronaca. Ho cercato di non esagerare, di non filmare troppo e di andare a catturare solo quelle molecole invisibili e dentro quelle evidenze cercare ciò che era nascosto”.

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A colpirvi, quando guarderete questo elegante e commovente documentario nella sua eccezionalità - in uscita nei cinema dal 3 settembre per Zalab Film,che lo ha prodotto con Rai Cinema in associazione con Vulcano e Istituto Luce Cinecittà, e Lucky Red – sarà l’assenza di rumori. “Venezia vuota, ci conferma Segre, è spettrale. Il suo silenzio ti invitava ad ascoltarla: io l’ho sentito e in quel silenzio ho sentito tutti i messaggi che conteneva. Era come ascoltare una poesia sussurrata a basa voce con parole però molto precise”. “Due anni fa – aggiunge - ho iniziato con Marghera dove lavorava mio nonno, cercando di capire di più di quel luogo. Ho scritto poi un lungometraggio in cui racconto la storia di tre fratelli che litigano per una casa. Insomma, mi sono riavvicinato a Venezia senza però mai avere il coraggio di entrarci fino in fondo. Quando ce l’ho avuto, ho capito molto di più, come il fatto che il termine “protezione” – che si associa spessissimo a Venezia – è in realtà sviante e scorretto, perché un luogo lo devi proteggere se sai bene chi può proteggerlo da dentro. Di veneziani, veri o no poco importa, ce ne sono pochissimi e gli unici vicini di casa sono i bed & breakfast. La sua solitudine la rende vulnerabile. Ben venga, quindi, la protezione, ma non se arriva solo da fuori”.

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Molecole” è un omaggio alla città lagunare, ma soprattutto a suo padre Ulderico, scienziato chimico-fisico morto dieci anni fa. “Ho provato a cercare dei segni di quella vita tra le immagini di papà fatte per gioco che raccontano una Venezia diversa, una città in cui ragazzi vi facevano il bagno oppure quella in cui il popolo veneziano di allora guardava la Regata Storica in maniera completamente diversa da quella di oggi. Mi ricordo ancora adesso l’odore che aveva la città, perché essendoci più vita era anche molto sporca. Lo sporco del turismo è una cosa, lì c’era quello della vita quotidiana”. “Papà –continua - era una persona che ha coltivato molto la sua intelligenza, studiava la fisica delle molecole e altre cose molto complesse che non ho mai capito. In questo suo frequentare l’intelligenza razionale, c’era un qualcosa che di razionale non era, faceva parte dei suoi silenzi che mi hanno devastato, ma anche insegnato molte cose”.

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Gli archivi personali in super8 del padre si alternano agli incontri con cittadini veneziani che raccontano il rapporto tra la città e le acquee nello stesso tempo vivono l’arrivo inatteso di quel grande vuoto che ha invaso Venezia e gran parte del mondo. A tenere assieme le immagini sono la voce fuoricampo del regista, le musiche di Teho Teardo e un’atmosfera di attesa e stupore che pervade tutto il materiale visivo ed esistenziale di questo strano viaggio, “irreale e irrealizzabile, ma nel cuore di un evento molto reale e storico che ha segnato e segnerà il mondo per sempre”. “Dal fondo del mio avvenire – scrive Albert Camus ne Lo straniero, libro molto amato da Segre tanto da citarlo - durante tutta questa vita assurda che avevo vissuto, un soffio oscuro risaliva verso di me attraverso annate che non erano ancora venute”. La fragilità della vita, il suo stupore e la sua bellezza, come quella di Venezia, stanno tutte lì.

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