La famiglia con le sue tensioni e difficoltà, le “smarginature” - come scrive Elena Ferrante ne L’Amica Geniale – ovvero i confini in cui si le cose si sgretolano e le linee diventano sfumate e irregolari fino a perdere forma; le presenze che restano e che non se ne sono mai andate, il peggioramento che persiste e la vita che va avanti nonostante tutto; il tempo che passa e la memoria che resta assieme a una speranza solo in apparenza vana, perché è una delle poche certezze a cui aggrapparsi, soprattutto in vecchiaia che è un traguardo incredibile.

C’è tutto questo e molto di più ne Le Sorelle Macaluso, il nuovo, poetico film con cui Emma Dante concorre al Leone d’Oro qui alla 77esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. Al Lido è il suo giorno e con lei delle cinque sorelle che danno il titolo al film, tratto dall’omonima pièce teatrale della regista palermitana, già vincitrice del Premio UBU Miglior Regia e Miglior Spettacolo. Esce domani per Teodora Film, prodotto da Rosamont e Minimum Fax Media con Rai Cinema. Le donne protagoniste qui sono in realtà dodici, perché cambiano a seconda dell’età in cui vengono raccontate. Dall’infanzia all’età adulta fino alla vecchiaia. Solo una di loro, Antonella (è interpretata dalla giovanissima Viola Pusateri, già vista in “Momenti di trascurabile felicità” di Daniele Luchetti), resterà sempre la stessa, segnando e condizionando per sempre le vite delle altre sorelle.

“Non volevo usare il trucco per invecchiare le persone”, spiega la Dante che si dice emozionata per quello che sta e che stiamo vivendo tutti qui al Lido (“è quasi un miracolo, così ricominciamo a sognare. Il teatro e il cinema servono a farci recuperare i sogni”). “Ho lavorato sul tempo che è il vero protagonista del film, un grande chirurgo plastico che deforma e decide come manipolare i porti”. Il tempo che si aggiunge allo spazio, a cominciare da quello più importante che è la casa. Dall’inizio alla fine della storia, quell’appartamento è pieno di oggetti che lei definisce “ottusamente resistenti”, oggetti cioè costruiti dai morti e appartenuti ai morti e che, probabilmente, sopravvivono ai vivi. La Barbie e il Pierrot della bambina, la credenza, il lampadario, la carta da parati, i piatti e molte altre cose. “Come loro – continua la Dante che proprio qui a Venezia presentò “Via Castellana Bandiera”, tratto dal suo omonimo film, con cui Elena Cotta vinse la Coppa Volpi - anche le sorelle Macaluso sono ottusamente resistenti”. Si chiamano Maria, Pinuccia, Lia, Katia, Antonella. Citare il nome delle attrici che le hanno interpretate nelle tre fasi della loro vita, vista la bellezza di questo film e l’importanza che tutte hanno, è fondamentale: Alissa Maria Orlando, Laura Giordani, Rosalba Bologna, Susanna Piraino, Serena Barone, Maria Rosaria Alati, Anita Pomario, Donatella Finocchiaro, Ileana Rigano, Eleonora de Luca, Simona Malato e la già citata Viola Pusateri.

Cinque corpi che cambiano negli anni e cinque menti che insieme formano un’unica famiglia di cui non potrete non innamorarvi. Cinque sorelle nate e cresciute in un appartamento all’ultimo piano di una palazzina nella periferia di Palermo in una casa che porta i segni del tempo che passa come chi ci è cresciuto e chi ancora ci abita. “Lì ho ambientato la mia storia – dice la Dante, che ha scritto il film con Elena Stancanelli e Giorgio Vasta – la storia di chi va via, di chi resta e di chi resiste”. “Nella casa – continua - gli aloni dei quadri sulle pareti, testimoniano il tempo trascorso. Il buco che Lia fa nel muro lascia una ferita aperta per sempre. Finché c’è la casa, permane la presenza delle sorelle”. Con quella sua poetica tensione e quella punta di follia unita all’umorismo che la contraddistingue sempre nei suoi lavori – a teatro come in letteratura (recuperate il suo primo romanzo: Carnezzeria. Trilogia della famiglia siciliana, Fazi 2007) o al cinema - Emma Dante fa entrare lo spettatore in quello spazio privato in tre momenti particolari, quelli più forti e traumatici per le sorelle, nei loro tre appuntamenti con la morte. “Entriamo nel momento in cui la visita non è piacevole, in tre veglie”, ci spiega. “L’inizio è un momento in cui i genitori non ci sono, ma questo non significa che le cinque non li abbiano. Rilassandoci, abbiamo fatto in modo che i genitori veri siano i colombi che nel film sono sempre presenti, perché la colombaia e il luogo dove si fanno la vita e dove essi tornano sempre. Possono uscire da qualsiasi finestra, ma poi torneranno sempre lì perché ce l’hanno nel dna”.

I libri (della Ortese, della Fallaci e di Dostoevskji) così come le musiche (di Battiato, Trovato e Nannini) sono gli altri protagonisti di questo film assieme agli animali, morti, scuoiati, ma soprattutto vivi e amati. Non è un caso se la Dante citi proprio un saggio della Ortese, “Le Piccole Persone” (Adelphi), quando farà leggere ad una di loro una frase/simbolo del film: “le piccole persone sono pure e buone, non sono avide, non conoscono né l’accumulo né lo sperpero”. Questi sono gli animali che – assicura lei – nel film abbiamo coccolato più delle persone stesse”. Gli animali, sempre citando la Ortese, sono un immenso popolo muto e mite, ma senza diritto al mondo di cui ognuno può fare ciò che vuole e per il quale non c’è mai castigo. Anche loro sono al centro della visione di questa regista che ama sperimentare, ma soprattutto osare nel raccontarci una mutazione di corpi e di oggetti nel tempo. Quello più autentico, quello che crea le differenze che - a ben vedere - stanno tutte dentro di noi.