Roberto Catalano è un regista nato a Palermo nel 1985. Nel 1999 entra a far parte dei Piccoli danzatori del Teatro Massimo di Palermo. Debutta alla regia con il Pollicino di Hans Werner Henze per la stagione 2012 degli Amici della Musica e nel 2014 vince il bando di regia indetto dalla Fondazione Orizzonti d’arte con il dittico Pierrot Lunaire e Gianni Schicchi. Dal 2011 al 2016 è assistente alla regia di Andrea Cigni. Tra gli impegni futuri, un nuovo allestimento de Il Matrimonio Segreto per la stagione 2020/2021 dell’Opera de Tenerife, in coproduzione con il Teatro Regio di Parma e il Teatro Massimo di Palermo.

Che cosa puoi fare tu per gli altri in questo momento e condividerai per #time2share?
Vorrei condividere tre brevi interviste legate alla vita di Giuseppe Verdi e a quattro opere da lui composte e che ho avuto la fortuna di mettere in scena da regista. Nello specifico si tratta di Rigoletto, Il Trovatore, La Traviata (titoli che compongono la cosiddetta Trilogia Popolare), per poi dedicare la conclusione della conversazione a Falstaff, ultima opera scritta dal compositore di Busseto. L’obiettivo è quello di rendere noti i sentimenti che pervadono questi titoli fino a evidenziarne la modernità, sottolineando quanto, titoli così apparentemente lontani da noi, possano raccontare le nostre fragilità più di quanto si pensi. I sentimenti, sono valevoli in qualunque epoca li si racconti. E come un grande specchio nel quale potersi riflettere, l’Opera ne è portatrice sana.

Com’è nata questa tua passione?
Se posso parlare di un ponte tra me e l’opera, parlerei di un ponte fatto dI sentimenti universali. Così, questa forma di spettacolo, non si è mai presentata a me come un’anziana signora fuori moda, bensì come un’amica che ascolta e nella quale puoi riconoscerti sempre. Avevo cinque anni quando per la prima volta ho visto La Bohème. Non so cosa mi abbia fatto innamorare. Saranno stati gli occhi del bambino che ero, il buio della sala, il velluto rosso del sipario e quell’odore che solo in teatro puoi trovare. In quel momento ho visto qualcosa che sapevo non avrei mai voluto lasciare. Adesso che tempo ne è passato, continuo ad entrare in teatro usando gli occhi del bambino che sono stato. Mi aiuta a non dimenticare perchè faccio questo lavoro. Mi fa sentire vicine tutte quelle cose che, altrimenti, mi sembrerebbero giganti e lontane.