Accontentarsi mai. Se c'è una cosa che la pandemia ci ha insegnato, che riprende l'idea di Oscar Wilde sull'indiscutibile necessità del non necessario, è che abbiamo tutti un bisogno disperato di arte, e mai come in questo momento aneliamo di vedere uno spettacolo in teatro o una mostra dal vivo proprio perché non ci è permesso. Tutto questo tornerà, certo, ma nel frattempo ci sono giovani come Elisabetta Roncati che stanno cercando di tenere alta la fiammella del desiderio d'arte e ci riescono con i mezzi che hanno a disposizione. A 32 anni, con un profilo Instagram da 34 mila follower, Elisabetta Roncati è una influencer dell'arte ritratta in mille modi dal suo compagno ("che si occupa di finanza", spiega lei divertita). Chi non la conosce, guardando il suo profilo, non può immaginare la sfilza di titoli di studio da scorrere sul suo curriculum. Non dà ricette di cucina né pubblica le foto delle sue vacanze, Elisabetta Roncati promuove arte nei modi più svariati che escogita in continuazione, e lo fa gratis. O come dice lei "pro bono" per evitare una parola latina che forse nel tempo è diventata un po' grossolana.

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"A proposito di donne", spiega, "faccio parte di ReA Arte, un'associazione di 10 giovani donne under 35 di varie nazionalità con cui promuoviamo l'arte contemporanea e gli artisti emergenti. Alla fine di ottobre, fra un decreto e l'altro, siamo riuscite a fare ReA! Art Fair, una fiera di 100 artisti alla Fabbrica del Vapore con ingresso gratuito, gli espositori hanno pagato solo 15 euro a testa, niente a scopo di lucro, anche le paratie le abbiamo trovate pro bono, ci siamo date da fare. Che poi essere tutte donne non era stata una scelta, all'inizio c'erano anche due ragazzi nell'organizzazione, ma sono spariti alle prime difficoltà!". Poi è arrivata la zona rossa e si è chiusa ogni iniziativa. È saltata Artissima a Torino, Art Verona è diventata digitale, è così via. Durante la prima ondata Elisabetta, invece, si è inventata il suo personale Decamerone su IG TV. Ovvero: ha trasportato l'idea di Boccaccio e dei racconti su richiesta creando un format in cui, vestita in abiti medievali, con un'ambientazione minima a tema ("avevo un candelabro"), dal divano di casa chiedeva ai follower di mandarle domande di ogni genere sul mercato dell'arte, su un'opera d'arte in particolare, su un artista. Lei ne sceglieva una per dedicargli un episodio: "degli universitari mi hanno chiesto quali libri sul mercato dell'arte gli consigliavo di leggere, io li prendevo direttamente dalla mia biblioteca personale". E poi c'è stato quello che le ha chiesto: " io sono arrivato da poco a Brescia: puoi parlarmi della Vittoria alata?".

Era però anche uno scambio: "la gente mi diceva anche cose che non sapevo, mi aggiornava, ho imparato cose anch'io", spiega Elisabetta. Del Decamerone ci sono state molte puntate, poi Roncati ha inventato un altro format: "si intitola 5 domande a un giovane artista, ogni mercoledì sera intervistavo in circa mezz'ora, con cinque domande, un artista emergente. C'è chi ha mostrato il proprio studio, chi le sue opere, chi ha soltanto parlato, qualcuno anche in inglese perché mi hanno chiesto di partecipare anche artisti dall'estero". Con la seconda ondata del Covid, Elisabetta ha sentito il bisogno di fare qualcosa di nuovo. "Mi sono consultata con alcuni artisti e alla fine ho deciso di dare spazio, questa volta, agli operatori culturali. Eravamo ormai all'inizio di novembre, musei chiusi, zona rossa nella Lombardia: rifacendomi al nome di un famoso delivery di food ho coniato il nome Just Art, portiamo l'arte a casa vostra". Stavolta Elisabetta ha coinvolto musei, gallerie d'arte, istituzioni culturali, ha offerto loro uno spazio sul suo canale Instagram per mezz'ora a testa: "in realtà molto spesso l'abbiamo superata abbondantemente: hanno parlato tutti delle loro attività, di quello che era stato calendarizzato e che non sono riusciti a fare, senza mai entrare nella polemica politica: solo cultura e arte. Hanno aderito in molti, le istituzioni e i musei erano tantissimi ho dovuto addirittura fare una selezione. Fra i molti abbiamo scelto XNL- Piacenza contemporanea con Alberto Fiz, che ha curato la mostra La rivoluzione siamo noi. Inaugurata il 23 febbraio, ne avevano esteso la durata, invece sono incappati fra due lockdown con l'estate di mezzo, stagione durante la quale Piacenza non è molto frequentata, così Fiz ha voluto fare un tour virtuale e descrivere la mostra dal mio profilo. Mi ha contattata il Comune di Parma, per Parma capitale della cultura 2021, per loro ho intervistato l'assessore Michele Guerra che ha parlato a lungo delle difficoltà che sta vivendo l'arte. Ho dato voce anche alle realtà teatrali, come il direttore artistico del Teatro degli Arcimboldi, Gianmario Longoni, che ha raccontato le complessità di tenere in vita una fra le struttura più grosse d'Europa, con 2000 posti, proprio mentre subentrava una nuova gestione; abbiamo parlato con Luca Molinari, il direttore scientifico di M9, il Museo del novecento, abbiamo sentito il Mart, il Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto, non però il suo direttore Vittorio Sgarbi che mi mette troppa paura, anche se con lui avrei fatto il picco di ascolti. Abbiamo parlato della mostra Giovanni Boldini. Il Piacere che è lì, tutta allestita, pronta per essere visitata, avrebbe dovuto aprire il 14 novembre, ci sono 170 opere prestate in partnership con il Comune di Ferrara. Abbiamo sentito Emma Zanella del Maga di Gallarate, ho dato voce al Museo Bagatti Valsecchi di Milano che sta lanciando una campagna di crowdfunding per coinvolgere il quartiere Molise, le case popolari, visto che la loro una casa museo, sul concetto di abitazione declinato nelle diverse culture".

Forse tutto ciò che è rimasto in sospeso sarà visibile dopo il 15 gennaio. Ma cosa resterà di tutte queste iniziative virtuali adottate gioco forza? Saranno completamente abbandonate, quando si tornerà alla normalità, oppure questo tipo di fruizione dell'arte diventerà parallela a quella del vivo? "Io ho un'idea ben precisa a riguardo", conclude Elisabetta Roncati, "alla fine del primo lockdown, complice la bella stagione, vedevo che molte di queste iniziative che erano servite per correre frettolosamente ai ripari venivano gettate alle ortiche; ma citando Il Gattopardo, "bisogna che tutto cambi perché nulla cambi", e l'unica cosa buona di questa pandemia è proprio l'averci fatto capire che il digitale può essere un ausilio - non un sostituto - dell'arte. Non si tratta di una guerra fra l'esperienza virtuale e l'esperienza fisica, le due cose non sono interscambiabili, soprattutto umanamente - mi mancano tanto i contatti, il network -. Ma questa situazione ci ha dimostrato che il digitale non può essere più ignorato. Un domani, dovrà essere la base d'appoggio per sviluppare le attività artistiche".