“Babbo, non gioco con le mani, gioco con i piedi”. A un paio di settimane dalla sua prima lezione di pallavolo, Ilaria Mauro, cinque anni o poco meno, pronuncia la frase, confessione lucidissima, che le avrebbe cambiato la vita. Il giorno dopo è su un campo da calcio, scarpini chiodati, borsone, pantaloni corti, e gli occhi di una squadra di maschietti puntati addosso. Friulana, classe 1988, numero 29 sulla maglia della squadra in cui attacca dal luglio 2020, l’Inter. Dopo aver mosso i primi passi nelle giovanili miste del UP Reanese, dove rimane fino ai 13 anni, nel 2001 si trasferisce al Letti Cosatto Tavagnacco, qui per la prima volta gioca in una squadra interamente femminile vestendo la maglia della Primavera. L’anno successivo fa il salto in prima squadra ed esordisce in Serie A, due parentesi tedesche e un ritorno in Italia per vestire la maglia della Fiorentina, un contratto ancora freschissimo con la squadra femminile di FC Internazionale Milano. Altri numeri? Durante la sua carriera ha collezionato la vittoria di 1 Campionato Italiano, 3 Coppe Italia, 1 Supercoppa Italiana e 1 Campionato tedesco di seconda divisione. La incontriamo virtualmente per fare il punto sul calcio femminile in Italia, cliché, contro cliché, reti sfiorate, traguardi da raggiungere nel futuro immediato e della partnership fra la squadra nerazzurra e Hugo Boss, fashion partner ufficiale della rosa meneghina, che fornisce divise e look per i giocatori, l’allenatore, i dirigenti e lo staff tecnico dell'Inter. “Arrivare in campo con un outfit così, beh, fa subito squadra”, mi sorride Ilaria Mauro nel nostro faccia a faccia, che è più uno schermo a schermo, durante una video call. Scommettiamo che quel sorriso è lo stesso che le vedremmo sul viso circondata dall’erbetta fresca, da uno sciame di voci esultanti, una manciata di secondi prima del fischio di inizio.

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Courtesy Hugo Boss
Ilaria Mauro in total look BOSS

Donne e calcio: qual è il cliché più falso?
La disparità fra uomo e donna è sempre molto marcata nel mondo del lavoro, figurarsi nel calcio… Ma perché continuare a paragonare due strutture fisiche, potenze e attitude al gioco diverse? Sono stati anni difficili per le squadre femminili, non è stato semplice tagliare i traguardi che sono stati raggiunti. E se è stato così è grazie a noi, donne, calciatrici, sognatrici, sportive che non hanno mollato e non mollano, difenderemo il nostro status di professioniste anche a gomitate. Personalmente, mi sento molto fortunata a non aver mai avuto discriminazioni di genere nel corso della mia carriera, è capitato da piccola. Giocavo in una squadra di soli maschietti, ero pure il capitano, spesso i giocatori delle squadre avversarie mi prendevano in giro, poi però quando segnavo una doppietta stavano zitti zitti.

Parliamo di gender equality, quali traguardi sono stati raggiunti e quali sono ancora lontani?
In Italia il calcio è maschile per antonomasia, vuoi per un pubblico infinitamente più vasto, vuoi per un giro di sponsor, pubblicità, accordi commerciali infinitamente più elevato. Ci sono più interessi, ecco. È per questo che il calcio femminile fa e farà sempre fatica ad avere un suo cantuccio nel professionismo sportivo se non ci impegniamo a far cambiare le cose. A questo proposito, un momento importantissimo è stato sicuramente il Mondiale femminile del 2019 in Francia, finalmente le partite sono state trasmesse su tutti i canali e questo ha permesso di far conoscere il calcio femminile all’Italia in primis, e al mondo intero. Le nostre speranze sono tutte riposte nella stagione 2022-2023, quando forse tutte le atlete donne otterranno il riconoscimento da parte della federazione di appartenenza del titolo di “professionista”.

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Courtesy Hugo Boss
Ilaria Mauro in total look BOSS

In Italia siamo secondi all’estero anche in fatto di scouting di giovani promesse?
Penso agli Stati Uniti, lì le federazioni già da tantissimi anni investono sulle calciatrici donne e sulle squadre femminili, addirittura già all’interno dei college. A livello europeo, invece, ci sono grandi miglioramenti un po’ in tutti gli Stati. Ad esempio, il Portogallo mette a disposizione di giovani promesse tutte le strutture dei professionisti.

Anche il tifo nella partite di calcio femminile è diverso?
Direi che è un po’ più sano, pulito, il pubblico si limita a tifare la propria squadra. Nel calcio maschile, invece, gli insulti (e molto altro) sono all’ordine del giorno, anche perché gli stadi accolgono un pubblico più ampio. Vorrei che il tifo italiano prendesse ispirazione da quello estero, sono tutti composti e rispettosi. In Italia se togli le transenne non sai cosa succede…

Quando ti sei sentita calciatrice per la prima volta?
Verso i 25 anni, quando sono andata a giocare in Germania per il Sand e poi per il Turbine Potsdam. Prima giocano nelle giovanili, ci allenavamo solo la sera, era impegnativo ma non mi sentivo davvero una professionista. Andare via di casa, ti forgia sia dal punto di vista personale che lavorativo, sentivo di essere diventata una calciatrice a 360 gradi.

Cosa diresti alla famiglie di quelle bambine che sognano di correre dietro una palla?
Lasciamo queste bambine fare quello che vogliono! Lasciamole esprimere, lasciamole vivere la loro passione a pieno, senza paletti, senza freni. A questa bambine, poi, direi che il calcio sarà un lavoro, ci saranno momenti molto pesanti e gioie immense da condividere, che quando vi verrà di mollare tutto, è lì che dovrete essere più forti di prima.