Une histoire mondiale des femmes photographes è un libro totalmente al femminile, rivendicato. Il progetto nasce sotto la direzione di Luce Lebart, storica della fotografia, e Marie Robert, capo curatrice al Museo d’Orsay. «Nel campo della fotografia, sono poche le donne veramente note, e rari sono i nomi che sono giunti fino a noi. Il pantheon dei fotografi è ancora essenzialmente maschile», dichiarano Lebart e Robert, e ciò sebbene molte donne «siano state in primo luogo dei "fotografi", cioè dell’operatrici autonome e delle creatrici originali». Così il libro desidera «scrivere la storia degli altri», anzi delle altre, per dare finalmente visibilità ai lavori femminili mai esposti o sminuiti. Si tratta di un’imponente rassegna di oltre 500 pagine, 300 le fotografe presentate per un totale di 450 immagini pubblicate.

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Isabel Muñoz Sans titre, série « Bam », 2005 © Isabel Muñoz
Isabel Muñoz Sans titre, série « Bam », 2005© Isabel Muñoz

Opera collettiva scritta a più mani, lo spirito femminista si rivendica anche nella redazione stessa. Per le singole biografie sono state chiamate unicamente delle redattrici (174, per la precisione), staticamente meno sollecitate che i corrispettivi esperti maschili: storiche, critiche d’arte, curator e giornaliste di diverse nazionalità. Sono stati necessari due anni di lavoro per quest’antologia, di cui si apprezza il carattere internazionale con l’intento di mostrare anche le immagini di fotografe meno conosciute, meno visibili, spesso perché non occidentali. Ma soprattutto apporre finalmente una firma alle tante contribuzioni anonime e/o sottovalutate: molte le donne che hanno lavorato nell’ombra di un padre o di un marito. Si scopre allora Elizabeth Pulman la prima fotografa professionista della Nuova Zelanda: tra il 1871 e il 1900 gestisce uno studio ad Auckland dove scatterà numerosi ritratti degli aborigeni Maori. O gli scatti di Marie-Lydie Bonfils, che lavorerà tutta la sua vita nello studio del marito, nella conosciuta Maison Bonfils a Beyrouth, senza veramente firmare le sue opere. La palestinese Karimeh Abbud, anche, è un esempio d’omessa contribuzione femminile. Nata in Palestina, Abbud sarà scoperta molto dopo la sua morte nel 1940, unicamente nel XXIsimo secolo. Eppure già nel 1930, apre il suo proprio studio e firma le sue immagini con uno stampino, dove si legge: «Karimeh Abbud - donna fotografo». Il suo scatto Pozzo di Maria è oggi «un documento storico di questo sito cattolico sacro; vi si vede la fontana della Vergine nel 1925, utilizzata dagli abitanti del villaggio palestinese», dettaglia nella biografia Kristen Gresh, curator del Museum of Fine Arts di Boston.

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Yvonne Chevalier Éventail, Espagne, 1950 © Musée Nicéphore Niépce, ville de Chalon-sur-Saône
Yvonne Chevalier Éventail, Espagne, 1950 © Musée Nicéphore Niépce, ville de Chalon-sur-Saône

Per le due direttrici editoriali, d’altronde, per molte fotografe «la macchina fotografica è come un passepartout: lo statuto di fotografa permette loro di accedere a degli spazi fino ad allora vietati o poco frequentati dalle donne». Come a Palermo, negli anni 70, quando Letizia Battaglia comincia a fotografare per il quotidiano L’Ora gli omicidi del clan dei Corleonesi. Unica donna fra soli uomini, Battaglie ritrae il quotidiano dei Siciliani durante questo sanguinoso periodo. Ma l’obiettivo si rivela anche un prezioso strumento per appropriarsi delle rappresentazioni del corpo femminile, come lo raccontano le immagini di Abigail Heyman.

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Abigail Heyman Avortement, 1974 © Estate of Abigail Heyman
Abigail Heyman Avortement, 1974 © Estate of Abigail Heyman

Une histoire mondiale des femmes photographes sotto la direzione di Luce Lebart e Marie Robert Editions Textuel, 2020, 69 euro