Il suo profilo Instagram porta scritto: Advocate against agro-mafia e un sottotitolo: Cosa succede se non agiamo? L’autrice è Diletta Bellotti, 25 anni, romana, attivista politica, da tempo si batte in prima persona per dare visibilità alle lotte dei braccianti sfruttati dal caporalato. Ha studiato Scienze politiche e poi diritti umani e migrazione internazionale. «Sono cresciuta in mezzo a due mondi, appena prima che Internet diventasse l'unica realtà».

Come hai iniziato?
La mia lotta è iniziata leggendo di Ama il tuo sogno di Yvan Sagnet (che racconta la condizione dei raccoglitori di pomodori, Fandango libri, ndr): mi si è davvero aperto un mondo. Ero al secondo anno di università a Berlino: lì ho studiato i movimenti pacifisti e quelli della disobbedienza civile. Ho letto quasi interamente le opere di Martin Luther King, di Hannah Arendt, di Henry David Thoreau. Non è che voglia vantarmi, è solo che non avevo il Wi-Fi e quindi leggevo... Poi ho studiato i movimenti bracciantili e dopo la laurea in Scienze politiche ho capito che volevo impegnarmi. Spesso, però, si fa volontariato in organizzazioni internazionali e poco si sa delle nostre comunità.

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Diletta Bellotti

E quindi hai pensato che fosse meglio occuparsi di problemi italiani?
Sì, ho capito che volevo essere un'attivista nella mia comunità, ma andava capito quale fosse questa comunità.

Così hai scelto la baraccopoli Borgo Mezzanone vicino a Foggia in Puglia?
Sì, nell’estate 2019 ho vissuto lì 24 giorni in una baracca, ospite di un ragazzo senegalese. Non ho fatto niente di speciale, se non osservare la forza aggregativa di una comunità ai margini del nostro mondo. Per cercare di capire cosa succedeva lì veramente, come lavoravano i tanti braccianti sfruttati.

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Diletta Bellotti durante una sua manifestazione.

Ti ricordi di qualcuno in particolare?
Ricordo tutto di quei giorni e credo che difficilmente me lo scorderò. Sopratutto Khalifa, 29 anni, senegalese. Abbiamo trascorso tempo insieme parlando uno stentato (da parte di entrambi) spagnolo. Avevamo molte affinità, ma io non ero illegale. Quando me non sono andata ha continuato a seguirmi su Instagram: ha capito ciò che stavo facendo e ha iniziato a mandarmi foto e video della sua vita lì, delle sue mani che stringevano i pomodori, della sua giornata in una fabbrica di carciofi.

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Diletta Bellotti durante una delle sue manifestazioni.


E così hai creato il blog Pomodori rosso sangue?
Sì, voglio essere il megafono di quei lavoratori- migranti e non - che nel dare tutto per la giustizia sociale, mi hanno ispirato. Chiedo per loro diritti e dignità. E voglio che la gente si informi per poter fare scelte etiche.

Vai anche a manifestare nelle piazze italiane: la gente chiede spiegazioni, si sensibilizza?
Ogni persona, da nord a sud, da est a ovest, ha reagito in maniera diversa: alcuni conoscevano il fenomeno, altri lo ignoravano completamente. Questo ci dice già molto: la piaga delle agro-mafie non è di dominio pubblico. Non riuscirò a convincere tutti anche se sogno che un giorno saremo in tanti a protestare. Perché ho capito che da una voce sola parte un’onda, ma che uno tsunami può cambiare le cose.