Le donne imprenditrici nel mondo, per quanto numerose, raramente riescono a sfondare i guadagni miliardari. I numeri secchi: nella global top 100 companies stilata da Forbes per il 2020 prendendo in esame le più grandi aziende a livello mondiale, solo due sono fondate e guidate da donne imprenditrici. A rivelare il dato è il Funding Female Founders Report di JBH the Digital PR Agency, che ha unito i dati di diversi studi per stilare un quadro il più possibile realistico dell'imprenditoria al femminile. Risultato? Il 2%. Poco e molto al tempo stesso: le donne fondatrici di imprese di successo sono ancora superate nel numero dall'egemonia maschile. Però non si fermano. Inanellano progressi in tutti i campi, crescono in percentuali mini ma positive, conquistano con le competenze gli ambiti professionali in cui in passato faticavano a farsi riconoscere (tech industry, ad esempio) o addirittura nemmeno comparivano. Quel 2% rappresenta companies fondate alla fine del XX secolo: la media di fondazione in elenco si attesta attorno agli anni Quaranta, periodo dove di imprese al femminile si parlava praticamente zero e persino i diritti civili delle donne erano molto limitati. Quella percentuale, per quanto risicata, è già una conquista.

I migliori paesi dove fare impresa per le donne disegnano una mappa prima di tutto finanziaria, di politiche sociali a sostegno di startup e aziende fondate da team di donne (anche se la componente psicologica può pesare, in certi casi la paura del fallimento blocca potenziali nuove imprese già prima di nascere). Sulla base di quattro fattori specifici tra cui la percentuale di donne a capo di imprese, responsabili della fondazione e nell'organigramma dell'azienda, il report piazza gli Stati Uniti a guidare le fila con un raking di 3.80/4: nello specifico lo stato migliore in cui avviare i business è la California, trainata dall'infinito potenziale di Los Angeles e dall'ebollizione delle startup tech della Silicon Valley e dell'area di San Francisco. In seconda posizione, ben distaccata, si piazza la Cina con l'1.88/4, al terzo posto l'Uganda con 1.00/4: ma il Paese africano è il numero uno per quanto riguarda la percentuale assoluta di female businesses owners, con il 38,2% delle imprese fondate e dirette da donne, e traina i tentativi di ripresa economica di un intera area del continente.

Nel ranking segue la tripletta Commonwealth di UK (trainata naturalmente dalla capitale Londra), Australia e Nuova Zelanda dove la leadership femminile è stata fortemente influenzata e promossa dall'elezione della premier Jacinda Ardern, simbolo e testimonial di un cambiamento culturale finalmente in corso. Poi Brasile, Russia e Spagna con lo stesso rate 0.82/4, e a chiudere la top ten il Canada con 0.80/4. Per quanto riguarda i campi di sviluppo del successo imprenditoriale femminile, a stravincere verticalmente è l'area della finanza, seguita dall'immobiliare e dagli investimenti fintech, che superano del 400% quelli destinati a biotech e sanità. Il mondo dell'e-commerce e dei trasporti tiene sui finanziamenti a nove cifre, mentre calano indiscutibilmente per l'intelligenza artificiale e diventano quasi miseri, ad appena sei cifre globali, per l'agroalimentare e i servizi.

Domanda automatica: in tutto questo, l'Italia dov'è? Che il nostro Paese non sia uno dei più fertili per lanciare una nuova azienda (o mantenerne una antica), è un ritornello che abbiamo imparato da tempo. Quando si parla di imprenditoria femminile in Italia qualche dato positivo c'è: nel IV Rapporto sull’imprenditoria femminile realizzato da Unioncamere nel luglio 2020, le aziende guidate e fondate da donne sono il 22% del totale e crescono ad un ritmo più sostenuto rispetto a quelle a trazione maschile, con focus su attività tecnico-scientifiche e informatica e telecomunicazioni, nonostante la frenata dolorosa (-42,3% di registrazione di imprese, rispetto al -35,2% degli uomini) dovuta alla pandemia. Ma secondo il Mastercard Index of Women Entrepreneurs 2019, "le società europee come Italia e Ungheria riconoscono molto meno il successo individuale dovuto a sforzo e iniziativa personale rispetto a Irlanda, Portogallo e Gran Bretagna". Traduzione: le donne d'impresa in Italia sono colpite da un sistema culturale, economico e sociale che difficilmente le riconosce come professioniste. Faticano a dimostrare le competenze di business, la loro leadership viene minimizzata e i posti di potere sembrano irraggiungibili.

La paura di fallire per le imprenditrici in Italia si attesta al 51,7%

un'enormità se paragonata alle medie globali e regionali del 2018 che segnavano rispettivamente il 36% e 39%. "Anche se le donne sono pari o quasi pari con gli uomini per quanto riguarda le qualifiche nel terziario, ritardano in termini di abilità o inclinazione all'iniziare un business, crescita in posizioni di leadership, partecipazione professionista alla forza lavoro" specifica il report. Nonostante alcune disponibilità di sostegni, come il prestito a zero interessi per le startup e il Fondo di Garanzia (che aiuta le aziende garantendo l'80% del prestito in banca). Non se ne esce: il problema della svalutazione dell'imprenditoria femminile in Italia è un macigno sulla già impegnativa ripresa economica del Paese. E gli aiuti economici in arrivo, come il Recovery Fund, sembrano non voler considerare questa forza lavoro in potenza.