Un piglio deciso e una dialettica più che convincente. Non per altro Cathy La Torre, 40 anni, metà siciliana e metà americana, fa l’avvocata. E anche l’attivista: difende i diritti civili delle persone gay, lesbiche, transgender. Lotta da anni contro il fenomeno dell'odio nella rete e della revenge porn. E si occupa di diritti ancora non riconosciuti. E di ingiustizie. Molte delle sue battaglie sono raccontate nel suo recente libro Nessuna causa è persa (Mondadori). Come quella di Federica che si è vista tagliare la strada da un altro veicolo ed è diventata tetraplegica. O di Giovanni che al bar del suo paese una sera è stato brutalmente picchiato perché considerato molto effeminato. O di Irene, assessore in un grande comune italiano, criticata non per la sua attività politica, ma perché donna. E anche di Laura che, separata da un marito violento, ha lottato a lungo per vedersi riconoscere dal tribunale un equo mantenimento per i suoi figli da parte del padre. E poi di Michael un giovane ragazzo omosessuale bullizzato; e Alice, vittima di uno "stupro virtuale" a causa di alcune sue immagini finite su Telegram. E anche di Valentina che durante il colloquio ha firmato un innocuo foglio in bianco e nel momento in cui ha scoperto di essere incinta, quel foglio è diventato la sua lettera di dimissioni. E pure di Zelikha cittadina nigeriana che ha attraversato il Sahara in cerca di un futuro migliore per se stessa e per il figlio e che in Italia ha visto respingere la sua richiesta di protezione umanitaria. E di tantissimi altri. Perché i diritti negati sono molti, troppe le ingiustizie. Perché, come scrive nel libro: «Riparare alle ingiustizie è come raccontare una storia».

Come sceglie le cause per cui lottare?
Ogni tre mesi nel nostro studio decidiamo le cause pro-bono da seguire. Non assumo mai mandati che sono incompatibile con la mia etica. Accetto solo cause che ritengo siano lotte contro le ingiustizie. O meglio accettiamo: la mia socia ed io, l'unico studio in Italia a chiamarsi al femminile, ovvero legali associate.

Quando ha iniziato?
Già a 9 anni dicevo a mia madre che avrei fatto il liceo classico e poi giurisprudenza. E che da grande avrei voluto fare l'avvocata: non ho mai cambiato idea. Ho sempre creduto che "avvocati si è, non si diventa", perché prima che una passione è una vocazione. E così è stato per me. Ma, all’inizio, che fatica! Fin tanto che non sono riuscita a mantenermi con la mia professione, ovvero almeno fino a 30 anni, lavoravo di notte come lavapiatti e badante per potermi occupare di legge durante il giorno.

Dove è cresciuta?
Sono nata negli Stati Uniti da genitori siciliani, mio padre in casa parlava il dialetto. E a parte una breve parentesi a Buffalo, dove ho vissuto fino all'età di 5 anni, sono cresciuta a Castellammare del Golfo, un paese bellissimo, ma che non aveva neppure una libreria. E quando siamo tornati in Italia mia madre parlava un dialetto siciliano con una inflessione americana. Avete idea... la capivano in pochi. Lei che aveva fatto una migrazione "per amore". E io, che parlavo a stento due lingue, fui accompagnata da una professoressa in pensione che mi insegnò a leggere e scrivere. A Bologna, poi, mi sono laureata in legge, e ho due specializzazioni: in diritto digitale e diritto anti-discriminatorio.

Diritto anti-discriminatorio: in Italia c'è una specializzazione del genere?
Sì, ma siamo in pochissimi. Anche in nuove tecnologie non ci sono molti avvocati. E pensare che oggi noi viviamo nel web una vita pari se non maggiore rispetto a quella reale.

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La copertina del libro di Cathy La Torre: Nessuna causa è persa (Mondadori)

Tra quelli che ha difeso, chi le è rimasto più nel cuore?
Difficile dirlo. Tanti, troppi. Ma se devo fare una scelta, opto per Ada, cieca, laureata in giurisprudenza con un master al King’s college di Londra, uno degli atenei più prestigiosi al mondo, che annovera tra i suoi studenti i migliori John Keats, Virginia Woolf e il leader attivista anti apartheid Desmond Tutu. La più importante scuola di diritto al mondo. Ada aveva un sogno: voleva diventare magistrato. È venuta da me perché mi considera l’avvocata "delle battaglie ai limiti della follia".
Prima di lei in Italia nessun cieco aveva mai potuto sostenere l'esame per entrare in magistratura: le norme non permettevano ai non vedenti di fare il concorso. Esisteva un pregiudizio antico, che i ciechi non possono esercitare il diritto di giudicare perché non vedono. Noi abbiamo portato una tesi contraria, ovvero che i ciechi possono persino essere giudici migliori perché non orientati da pregiudizi visivi. Del resto la dea della Giustizia è bendata. Abbiamo vinto: Ada ha fatto l’esame (con l'aiuto di un amanuense) e ora è in attesa dei risultati.

Sembra la trama di un film... E ora di cosa si sta occupando?
Di una ragazza discriminata sul lavoro perché indossa il velo. Degli esami di ammissione all'università per le persone con sindrome di Asperger che non possono essere come quelli di tutti gli altri. E, in quest'anno di pandemia, dei torti subiti durante il Covid: licenziamenti ingiusti, casse integrazione mai pagate, buoni pasto mai consegnati.

L’ingiustizia è più al femminile?
No, colpisce indifferentemente ogni genere. La discriminazione, invece, più le donne. Basta pensare solo alla famosa domanda che viene fatta durante i colloqui di lavoro: "Lei vuole sposarsi e avere figli?". Oltre che illegale, a un uomo non verrebbe mai fatta.

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Cathy La Torre

Ultima domanda: i capelli li porta così come tratto distintivo?
No, è una scelta che ho fatto anni fa, quando mia mamma ha avuto la leucemia: ho smesso di tingermeli come segno di vicinanza a lei che non poteva più farlo.