"Voglio dire solo questo: che le donne hanno il diritto di andare dove vogliono. Non smettete, non smettete mai d’andare avanti. Perché tutti i vostri sogni possono diventare realtà". E l'elezione della nuova presidente del Kosovo Vjosa Osmani è l'ultimo esempio felice della inarrestabile purple wave delle donne leader politiche nel mondo. 38 anni, avvocata e professoressa di diritto, parla cinque lingue e con la sua elezione consolida una felice tradizione politica della giovanissima repubblica balcanica: in appena 13 anni di indipendenza, il Kosovo ha già avuto due capi di Stato donne sotto i 40 anni (la prima, Atifete Jahjaga, ne aveva 36 quando fu eletta nel 2011) e si distingue con un parlamento in cui figurano un terzo di deputate e un terzo di ministre. Vjosa Osmani già occupava l'interim della carica da presidente da novembre scorso, dopo l'arresto dell'ex capo di Stato Hashim Thaçi a processo per crimini di guerra a L'Aja, e ha ottenuto la maggioranza con 71 voti su 120 totali del parlamento kosovaro, dopo tre scrutini. Nel suo discorso di insediamento, di viola vestita (modello Kamala Harris), la apprezzata neopresidente del Kosovo si è commossa al momento della dedica a chi, come lei, non si è fermata mai, sfidando i precetti conservator-maschilisti della politica mondiale. Ed entra nel pantheon di rappresentazione pluricolore, pluritematica, plurirappresentativa con la veterana Angela Merkel in Germania, Sanna Marin in Finlandia, Zuzana Čaputová in Slovacchia, Kaja Kallas in Estonia, fino a volare nell'altro emisfero con la progressista premier Jacinda Ardern in Nuova Zelanda o la presidente Sahle-Work Zewde in Etiopia.

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Nata nel 1982 nella città divisa di Mitrovica nella allora Repubblica Federale di Yugoslavia, nell biografia diVjosa Osmani la passione politica ha sempre avuto un ruolo centrale. Inizia da adolescente, attivista nelle fila del LDK Lega Democratica del Kosovo, di orientamento centrodestra liberale. Si laurea in giurisprudenza all'università di Pristina poi vola negli Stati Uniti per un master in legge all'università di Pittsburgh (che nel 2017 la premia con lo Sheth International Young Alumni Achievement Award, dedicato alle personalità che si distinguono nella difesa dei diritti umani), e insegna per un periodo in entrambe le università. È il primo decennio dei Duemila. Sono gli anni più delicati per la provincia balcanica, dalla storia lunga, complessa e turbolenta: le tensioni post guerra della ex Yugoslavia, dove il Kosovo aveva scelto la via della resistenza passiva e pacifica sostenuta dall'allora presidente Ibrahim Rugova, erano esplose nel feroce conflitto del 1998-1999 tra Kosovo e Serbia e nei susseguenti interventi militari della NATO, lasciando strascichi di sangue, processi per crimini di guerra, uno status internazionale delicato e una regione interamente da ricostruire. Ai colloqui per il riconoscimento internazionale del paese partecipa anche Vjosa Osmani. Nel 2008 il Kosovo proclama l'indipendenza, attualmente riconosciuta da 98 stati sui 193 delle Nazioni Unite tra cui l'Italia (ma non la Serbia, la Cina e la Russia), e la carriera della giovanissima attivista cambia paradigma: ormai è una politica a tutti gli effetti. Rappresenta il suo paese in un caso presso la Corte Internazionale di giustizia difendendone la legalità dell'indipendenza, collabora alla redazione della prima costituzione kosovara. Nel 2009 è eletta capo del personale, consulente legale e consulente per la politica estera del presidente Fatmir Sejdiu, e contemporaneamente si iscrive al PhD della School Of Law a Pittsburgh, che consegue nel 2014. Il ruolo da parlamentare è trionfale: apprezzata particolarmente dall'asse moderato e dalle donne kosovare per ciò che rappresenta (e per la sua posizione ferma sulla necessità di relazioni pacifiche con la Serbia), viene costantemente rieletta lungo tre legislature e nell'ultima elezione ottiene ben trecentomila preferenze, record assoluto nella storia del paese. Nel maggio 2020 viene espulsa da LDK e corre da indipendente col partito Guxo! da lei fondato a gennaio 2021, poco prima delle elezioni presidenziali. Nel pieno degli impegni politici, universitari e internazionali, tra cui il delicato accordo del 2013 voluto da Bruxelles per la normalizzazione delle difficili relazioni tra Kosovo e Serbia, si insinua l'amore con Prindon Sadriu, dipendente del ministero degli Affari Esteri: si sposano nel 2012 e poco dopo nascono le figlie, due gemelle. La attuale presidente del Kosovo si firma ufficialmente Vjosa Osmani-Sadriu, come si legge sui siti istituzionali.

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Nonostante il ruolo di capo dello Stato in Kosovo sia principalmente di rappresentanza, Vjosa Osmani sarà cruciale negli affari esteri in quanto principale rappresentante della diplomazia kosovara. Cruciale per la sovranità del Kosovo dove, riporta Il Post, il 53% della popolazione ha meno di 25 anni e nella capitale l'età media è di 28. Secondo l'analisi di East Journal, la partita si gioca su due assi complementari tra esteri e interni: la modalità di riconoscimento della repubblica kosovara è primaria per entrambi i paesi, per la Serbia è anche una conditio essenziale posta da Bruxelles per l'ingresso in Europa al quale è candidata dal 2012. Manca poi da paesi importanti in UE come Spagna e Grecia, che tentennano principalmente per paura delle reazioni indipendentiste all'interno dei loro Stati. Lo stesso Kosovo non nasconde la volontà di entrare in Europa, tanto che come moneta ufficiale si usa l'euro pur senza avere aderito ai trattati economici. Alla situazione internazionale si affiancano i problemi sociali ed economici derivati dalla corruzione, la criminalità, le condizioni di arretratezza che ne fanno uno degli Stati più poveri dell'area UE: il reddito medio del Kosovo è di 500 euro, la disoccupazione al 50%, l'emigrazione tocca livelli altissimi. C'è da costruire letteralmente il futuro di un paese e questi sono i principali punti di contatto tra due personalità così diverse come il premier Albin Kurti e la presidente Vjosa Osmani-Sadriu: lui più rude e inflessibile, lei decisamente mediatrice tra i vari attori politici con il vantaggio dell'ampia credibilità sulla scena internazionale. Guardare avanti, per la nuova presidente, non è solo una frase ad effetto: il tempo dei vecchi eroi di guerra è finito.