Sono come le pietruzze di Pollicino che indicano una strada i titoli della cinquina di documentari candidati all'Oscar 2021 (prevista al Dolby Theatre di Los Angeles la notte del 25 aprile). La produzione di questo genere cinematografico è in costante aumento e c'era l'imbarazzo della scelta. Ma la selezione finale ha intrapreso una via precisa: togliere tutto il resto, e lasciare storie che ispirino una riflessione sull'uomo, inteso come essere dotato di sentimenti, relazioni, passioni, fragilità. Niente grandi temi ambientali, questa volta. Niente reportage da zone dimenticate del mondo, o da qualche terribile guerra ignorata, o sui grandi temi geopolitici. Niente riflessioni sull'arte e la bellezza. Niente operazioni vintage alla ricerca di personaggi storici o icone di stile da ammirare e rimpiangere.

Un anno come quello passato, pieno di incertezza e paure, dolori e speranze globali, è come se avesse lanciato una sfida, raccolta da tutti i votanti dell'Academy of Motion Pictures Arts and Sciences, che, lo ricordiamo, sono tanti: il numero attuale preciso è 6687. Non è un dettaglio, perché una cosa sono i pochi voti elargiti durante un festival da una giuria di intellettuali eletti, un'altra è l'esito di così tante preferenze accordate da una comunità molto più allargata di professionisti, anche se per la maggior parte americani. Registi, produttori, costumisti, tecnici del suono, scenografi... Insomma addetti ai lavori che, presi tutti insieme, così tanti, guidati dalle loro emozioni, diventano, in fondo, gente comune.

La sfida per l'Academy, magari implicita e non dichiarata, era scegliere non come se questo fosse un anno come tutti gli altri. L'hanno raccolta. Hanno puntato su storie utili a ripartire dai fondamentali, diciamo cinque, perché in fondo i votanti avevano bisogno di calore e verità, come noi ne abbiamo bisogno.

1 TIME: l'amore quello vero

Garrett Bradley, talentuosa regista 35enne di New Orleans (e se vieni da lì, allora la questione della blackness ce l'hai nelle ossa), racconta in questo film, premiato al Sundance Film Festival 2020, la vita di Sibil Fox Richardson, il cui marito è finito in carcere per una banale rapina di 5mila dollari e questo, in Louisiana, può voler dire, come nel suo caso, 60 anni di carcere, roba che neanche un serial killer. La macchina da presa afferra di Sibil il rimpianto per la famiglia quando era ancora intera, la fatica di tirare su i figli da sola e non solo tirarli su, farli proprio crescere, farli diventare grandi studiando e diventando persone in gamba. E poi l'attesa, la lotta civile per tentare di velocizzare la scarcerazione, perché di sicuro qui si parla di discriminazione razziale. Ma alla fine quello che resta e travolge è la forza incredibile dell'amore di Sibil per Rob. Assoluto come si legge nella grande letteratura (quello tra Cyrano e Dulcinea o tra Giulietta e Romeo), ma accessibile al punto che ti sembra di afferrarlo allungando la mano. Su Prime Video

una scena di time di garrett bradleypinterest
Courtesy
Sibil Fox Richardson e la sua famiglia in una scena di Time di Garrett Bradley.

2. THE MOLE AGENT (EL AGENTE TOPO): l'età è un fatto mentale

Altra donna alla regia, altro regalo. Qui la cilena Maite Alberdi, che per un mese ha deciso di lavorare come assistente di un investigatore privato, a un certo punto ha trovato la storia che cercava: il reclutamento, da parte dell'investigatore tramite annuncio sul giornale, di un ultraottantenne che si infiltri in una casa di riposo per constatare se la madre di una cliente sia trattata bene o no. Il documentario segue Sergio alle prese con tutte le diavolerie tecnologiche necessarie a una spia, nei corridoi e nelle sale ricreative della struttura, racconta delle amicizie che nascono dalle conversazioni che il novello Sherlock intrattiene con gli ospiti del centro, anzi quasi tutte ospiti, molte delle quali si invaghiscono di lui. Solitudine, tenerezza, situazioni comiche, tutto viene tenuto insieme da un documentario pieno di vita e sensibilità che è anche una grande idea, già acquistata negli Stati Uniti per un remake fiction. N.B: Sergio sarà presente agli Oscar, prendendo per la prima volta l'aereo per la sua «ultima avventura», come ha detto facendo domanda per il suo primo passaporto.

sergio chamy nel docu the mole agent di maite alberdipinterest
Courtesy
Sergio Chamy nel docu The Mole Agent di Maite Alberdi.

3. IL MIO AMICO IN FONDO AL MARE: l'amicizia non ha confini.

Qualcuno lo diceva che i polpi sono animali molto intelligenti, ma chi gli aveva creduto? Perché bisogna intendersi sul "molto intelligente". Bene, con questo documentario il concetto assume all'improvviso i contorni di una rivelazione, grazie alle riprese, per gran parte subacquee, di Pippa Ehrlich e James Reed che hanno seguito per un anno le immersioni del loro collega sudafricano Craig Foster, documentarista specializzato in natura. Il quale a un certo punto è entrato in crisi e aveva perso il filo della vita, il senso delle cose, e l'ha ritrovato grazie all'incredibile relazione con un polpo che è andato a trovare ogni giorno nelle acque gelide vicino a Cape Town, in apnea. Vedere un tentacolo con le ventosine avvicinarsi cautamente a una mano, indugiarvi con intenzione chiaramente amichevole, è una delle esperienze più commoventi che abbiamo potuto fare in tempi di streaming forzato. Finché c'è un polpo, c'è speranza. Su Netflix.

craig foster e il suo amico polpo nel docu il mio amico in fondo al mare di pippa ehrlich, james reedpinterest
Courtesy
Craig Foster e il suo amico polpo nel docu Il mio amico in fondo al mare di Pippa Ehrlich, James Reed.

4. COLLECTIVE: siamo ancora capaci di combattere.

Il giornalismo d'inchiesta costituisce uno dei livelli più evoluti dei comportamenti umani. Non fermarsi all'apparenza delle cose, cogliere gli indizi che portano verso verità diverse, scomode, dolorose, e proseguire senza paura di mettere il dito, anzi gli occhi nella piaga per vedere proprio tutto come sta. E denunciarlo incuranti dei rischi, delle forze che si oppongono, dei grandi poteri che si dibattono e si contorcono per scrollarsi di dosso il piccolo reporter. C'è qualcosa di epico in questo, che giustifica in parte i grandi successi del genere, da Tutti gli uomini Presidente a Il caso Spotlight. E il documentario di Alexander Nanau, regista rumeno naturalizzato tedesco, non è da meno. Oltretutto lo scoop, chiamiamolo così, arriva dalla Gazzetta dello sport rumena, che si rivela l'unico giornale non corrotto del Paese. L'inchiesta portata avanti da Catalin Tolontan e Mirela Neag, dopo la morte in ospedale, per ustioni anche non gravi, di molti dei ricoverati in seguito all'incendio del Club Colectiv del 30 ottobre 2015, porta alla luce lo scandalo mostruoso dell'utilizzo negli ospedali di disinfettanti annacquati, che hanno provocato nei ricoverati infezioni batteriche gravissime e mortali. Il cerchio si allarga, travolge il Ministro della sanità che si dimette, sembra che quello nuovo, Vlad Voiculescu, economista ed ex attivista laureato a Vienna, possa portare finalmente un po' di trasparenza nel sistema pervasivamente corrotto. Visto che siamo così ignoranti sulle vicende dei Paesi nostri vicini, non spoilererò il finale, anche in realtà è un fatto che appartiene già alla storia recente della Romania. Su Iwonderfull.

collectivepinterest
Courtesy
Il giornalista Catalin Tolontan durante una conferenza stampa nel docu Collective di Alexander Nanau.

5. CRIP CAMP: DISABILITA' RIVOLUZIONARIE: il diritto alla felicità non ha barriere.

Prodotto da Barack e Michelle Obama, diretto da James LeBrecht e Nicole Newnham, è un film che fa rimpiangere gli anni Settanta per quella loro parte espansiva che fu capace di guardare la realtà e le persone da diverse prospettive, fino a liberarle. E di lotta per l'autodeterminazione e la liberazione si parla in questa ricostruzione del movimento dei diritti dei disabili negli Stati Uniti, partito a Camp Janed: un centro estivo per disabili nato all’inizio degli anni Cinquanta e pian piano trasformatosi in una specie di raduno hippy per gente portatrice di vari tipi di disabilità. Da lì si innescò la forza motrice che portò all’approvazione della Sezione 504 del Rehabilitation Act, una misura anti-discriminazione che obbliga chiunque usufruisce di soldi pubblici (ospedali, scuole, università, uffici, trasporti pubblici...) a non discriminare. Proteste a San Francisco, occupazioni, amicizie tra attivisti, incrollabile fede in un sogno. C'è tutto il repertorio della lotta, tra sedie a rotelle e le normali difficoltà di chi era ancora visto da troppi come anormale e che a Camp Janed, tra schitarrate, gruppi di ascolto e la scoperta dell'amore e anche del sesso, aveva smesso di limitarsi a sopravvivere. Un film utilissimo a ricordarci che chiunque tu sia, se lotti con gli altri e non molli la presa, ce la fai. Su Netflix.

crip camp disabilità rivoluzionariepinterest
Courtesy
Crip Camp: disabilità rivoluzionarie, un docu di Nicole Newnham e Jim LeBrecht.