Derek Chauvin, il poliziotto che ha ucciso George Floyd il 25 maggio del 2020 tenendogli un ginocchio sul collo per nove minuti e 29 secondi, è stato riconosciuto colpevole di omicidio. Se il filmato girato di nascosto col cellulare dalla 17enne Darnella Frazier è stato fondamentale perché la vicenda raggiungesse l'opinione pubblica, a incastrare Chauvin è stato il filmato della bodycam che la polizia non si è potuta esimere dal consegnare come prova, quando è stato richiesto. Un processo relativamente rapido, iniziato il 29 maggio del 2020, una sentenza che ha tenuto il mondo con il fiato sospeso in tutti i sensi perché le ultime parole di Floyd "I cant' breath" ne erano diventate il motto. Una sentenza attesa, ma quasi scontata, visto che poche ore prima persino il presidente degli Stati Uniti Joe Biden aveva detto che stava pregando perché la giuria arrivasse al giusto verdetto e aveva definito le prove contro il poliziotto "schiaccianti". Giuria alla quale anche il giudice titolare del processo, Peter Cahill, ha rivolto la raccomandazione di ragionare con calma, senza pregiudizi, senza lasciarsi influenzare da "generalizzazioni, sentimenti viscerali, stereotipi o pregiudizi inconsci" e prendendosi tutto il tempo necessario. Solo pochi giorni fa continuavano a susseguirsi le manifestazioni che invocavano una giusta sentenza, l'ultima il 13 aprile a Philadelphia dove i manifestanti indossavano mascherine con l'immagine di Floyd, e fuori dal tribunale di Minneapolis in attesa del verdetto, un grande striscione retto dalla folla ammoniva la giuria con la frase "The World Is Watching". Fra loro c'era la compagna di Floyd, Courtney Ross, che è scoppiata in lacrime appena appresa la notizia.

L'attesa era iniziata in tarda mattinata, dal momento in cui il sito web del tribunale della contea di Hennepin ha pubblicato un avviso in cui comunicava che era stato raggiunto un verdetto e che sarebbe stato letto tra le 15.30 e le 16.00 (ora locale), slittato poi un po' più avanti. Quella di George Floyd era considerata una sentenza cruciale per cercare di imprimere una svolta decisiva al dramma della police brutality che negli Usa si concentra con troppa intensità sulla comunità nera. La morte di George Floyd è stata solo l'ultima goccia che ha fatto traboccare un vaso già colmo dopo che, due mesi prima, il 13 marzo, la ventiseienne afroamericana Breonna Taylor era rimasta uccisa in una sparatoria scatenata dal poliziotti che avevano erroneamente fatto irruzione nella sua casa di Louiseville, nel Kentucky, durante un blitz antidroga. Solo poche ore prima della sentenza alcuni negozi stavano barricando le entrate e le vetrine per paura di una rivolta di Black Lives Matter, nel caso in cui il poliziotto fosse stato assolto. Invece si è scatenata la festa, con i clacson che suonano per le strade. L'unico che non ha nulla da festeggiare è Derek Chauvin, che ora rischia fino a 75 anni di detenzione. Ora si attende il processo per gli altri tre agenti che erano insieme a lui, che si terrà il 23 agosto.