«La difesa dei violentatori considera ancora le donne come oggetti, con il massimo disprezzo. Vi assicuro, questo è l'ennesimo processo che faccio ed è la solita difesa che io sento». A parlare è l'avvocata Tina Lagostena Bassi, la storia era quella di una ragazza attirata con la promessa di un colloquio da quattro uomini in una villa a Nettuno e lì sequestrata e violentata. Il dibattimento fu a porte aperte, quelle parole finirono nel Processo per stupro, un documentario trasmesso dalla Rai nel 1979 (e disponibile su Raiplay). È un frammento della nostra civiltà, della sua arretratezza e delle donne che hanno cercato di correggerla. È un documento storico al quale viene inevitabile tornare, dopo la scomposta e oscena difesa di Beppe Grillo, uno degli uomini più potenti d'Italia, nei confronti del figlio Ciro, accusato di violenza di gruppo. «Nessun avvocato si sognerebbe di impostare una difesa per rapina come si imposta un processo per violenza carnale», diceva negli 1979 Lagostena Bassi. «Nel caso di quattro rapinatori che con la violenza entrano in una gioielleria e portano via beni patrimoniali, nessun avvocato si sognerebbe di suggerire loro: "Vabbè, dite che però il gioielliere ha un passato poco chiaro"». Sono passati quarantadue anni, i «metodi» non sono cambiati. Beppe Grillo dice: i bravi ragazzi un po' stolti, il kitesurf, "si stavano solo divertendo". Non rovinategli la vita, sembra chiedere. Come non si doveva rovinare la vita al «promising young man» Brock Turner, lo studente di Stanford che violentò una compagna di università priva di sensi e se la cavò con tre mesi di carcere. Il giudice era un anziano di nome Aaron Pesky, bianco e maschio come Turner. «Solidarietà maschilista», diceva Lagostena Bassi.

Quattro anni prima del Processo per stupro, nel 1975 Tina Lagostena Bassi rappresentò anche Donatella Colasanti, sopravvissuta al massacro del Circeo, un'altra storia simbolo di violenza, privilegio e maschilismo. Due ragazze vennero attirate in una villa a San Felice Circeo da Gianni Guido, Angelo Izzo e Andrea Ghira, tre giovani fascisti romani di famiglie benestanti, che le rapirono, torturarono, seviziarono. Rosaria Lopez morì, Donatella sopravvisse, nel bagagliaio dell'auto dove i tre uomini l'avevano nascosta, credendola morta. Quel processo fu una ferita sanguinante. Colasanti, rapita, seviziata e sopravvissuta per miracolo, fu costretta a difendersi da illazioni, dall'accusa di essersela cercata, dovette giustificare le sue abitudini e la sua personalità. Però con la sua dignità e il suo coraggio cambiò l'Italia, o almeno iniziò a cambiarla, anche se il lavoro sembra ancora lontano dall'essere completo. Accanto a Donatella Colasanti non c'era solo l'avvocata Lagostena Bassi ma tante femministe, arrivate da tutta l'Italia a darle sostegno, forza, supporto in una battaglia sfinente. Ci furono presidi, cortei, picchetti. I tre furono alla fine condannati (Ghira in contumacia, era scappato grazie a una soffiata), Colasanti proseguì le sue lotte riuscendo a far cambiare il senso giuridico dello stupro in Italia, che dal codice Rocco al 1996 era stato un crimine contro la morale e solo allora divenne un crimine contro la persona.

Quel contesto e quegli anni furono dolorosi ma anche fertili, fecondi di battaglie, lotte, aggregazioni. Una di queste fu a Napoli, un collettivo che ha fatto la storia del femminismo e che ha intrecciato e partecipato alla mobilitazione per il massacro del Circeo, a sostegno di Donatella Colasanti, contro la vittimizzazione perpetua della vittima. Si chiamava Le Nemesiache. Nella seconda metà degli anni '70 marciarono spesso davanti al tribunale di Latina, insieme agli altri collettivi da tutta Italia. Era una di quelle battaglie per cui erano nate, era il senso stesso della loro esistenza. Le Nemesiache erano attive dal 1970, il terreno era la città di Napoli, il collettivo era opera e frutto di una donna speciale, Lina Mangiacapre, pittrice, giornalista, regista, femminista. Mangiacapre riuscì a mettere insieme un gruppo che faceva pratica politica, femminismo militante, cultura, teatro, musica, mitografia, informazione. Sembra una storia minore, ma è la storia di oggi, la lunga strada contro la cultura dello stupro, i ragionamenti alla Beppe Grillo, le battute dello Zoo di 105, parte lì. È stata celebrata da una mostra, From the Volcano to the Sea. The Feminist Group Le Nemesiache in 1970s and 1980s Naples, al Rongwrong di Amsterdam, da documentari e da una lunga serie di libri, l'ultimo, La Nemesi di Medea. Una storia femminista lunga mezzo secolo di Silvana Campese (L’Inedito letterario), una delle donne che incrociarono quel cammino.

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Le Nemesiache si pensarono come un gruppo di amazzoni ribelli, attaccarono tutto quello che si poteva attaccare negli anni '70, il sistema giudiziario e quello artistico patriarcale, la borghesia napoletana e il feticcio stesso della città di Napoli, tutta folklore e tarantella. Per aggirarlo, tornarono alle origini, la mitologia greca, Cuma, la Sibilla. La loro era una reinvenzione del femminile incredibilmente attuale: queer prima che la parola entrasse nel lessico, intersezionale, fondata sul superamento dei ruoli di genere, la reinvenzione del femminile, a partire dai nomi. Se ne diedero di nuovi, Lina Mangiacapre era Nemesi, la personificazione della giustizia, agnizione del lavoro che avrebbero fatto anni dopo per Donatella Colasanti. E poi con lei c'erano Aracne, Astrea, Cassandra, Circe, Ippolita, Medea, Nausicaa. In quegli anni disordinati la politica era performativa e la performance era sempre politica. Le Nemesiache era avanti di pensiero e visione, abbracciarono il tema dell'ecologia decenni prima che diventasse una priorità, battendosi contro l'inquinamento del Golfo di Napoli. Seguirono la nascita di cooperative e occupazioni, organizzarono rassegne cinematografiche e spettacoli. Gettarono le basi delle lotte e delle parole di oggi, i documenti e la storia sono sul sito-archvio in continuo aggiornamento. Se abbiamo le parole e le idee per respingere la cultura dello stupro in Italia lo dobbiamo anche a loro. La vita di Lina Mangiacapre, o Nemesi, è stata lunga e attiva fino alla fine. Morì nel 2002, oggi a lei è dedicato il Belvedere di Posillipo, a Napoli. Sotto il suo nome c'è scritto «artista femminista». Tina Lagostena Bassi è morta nel 2008, è stata anche deputata e ha contribuito a scrivere la legge sulla violenza sessuale tanto voluta da Donatella Colasanti. Lei, la sopravvissuta del Circeo, morì tre anni dopo Lina e tre prima di Tina, la sua scorta, le donne che la difesero, a soli 47 anni, dopo aver visto uno dei suoi aguzzini, Angelo Izzo, uscire di prigione e uccidere di nuovo. Lei aveva sempre detto che Izzo era ancora pericoloso. Non fu ascoltata. Lina Mangiacapre, Tina Lagostena Bassi e Donatella Colasanti sono la nostra storia, il motivo per cui certe parole in Italia non potranno mai più essere accettate e vanno combattute ovunque, nei tribunali, in politica, nei media, sui social, per le strade.