Lavorare da casa, conciliare comodamente professionalità e cura della famiglia, ma anche occuparsi -letteralmente- di tutto. Lo smartworking per le donne lavoratrici italiane è stato indubbiamente utile nell'ultimo anno, ma al tempo stesso la sua applicazione emergenziale ha contribuito a sottolineare le differenze di genere nel mondo del lavoro. Con effetti a catena sulla vita privata, sulla genitorialità, e in futuro persino sulla sopravvivenza stessa del sistema paese. Esagerati? Realisti. Il nuovo rapporto Smartworking: opportunità e rischi per il lavoro femminile redatto dalla School Of Gender Economics di Unitelma Sapienza e presentato dall'economista Azzurra Rinaldi, è una fotografia disarmante sulla disparità di genere delle lavoratrici donne oggi, con impatti negativi sull'Italia di domani. "La pandemia ha rappresentato uno shock per tutti, e ha generato asimmetrie che potranno durare nel tempo e nel futuro" ha sottolineato la direttrice del dipartimento di scienze economiche Unitelma Rosella Castellano nella presentazione. "I numeri ci dimostrano che le circostanze della situazione contingente stanno acuendo disparità già esistenti e presenti: le donne sono quelle che si fanno carico della maggioranza dell’attività di cura, e questo non può che penalizzare le donne sul piano occupazionale. La parità di genere non è semplicemente una questione di equità ma elemento sostanziale per l'ammodernamento e lo sviluppo sostenibile del nostro paese".

Lo studio si basa su un questionario somministrato a donne lavoratrici tra i 18 e i 65 anni tra ottobre e novembre 2020, con specifiche domande su come stessero vivendo la fase lavorativa da casa, le conseguenze nel carico del lavoro, nella vita quotidiana e nella famiglia. Premessa: lo smartworking delle lavoratrici italiane è facilmente protagonista di uno storytelling esaltato ed esaltante, che lo racconta sempre quale soluzione favorevole al mercato del lavoro. Non è esattamente così. Intanto viene spesso usato come arma contro i progressi di carriera, e nasconde quanto poco in verità sappiamo degli effetti di questo fenomeno non regolamentato sull'occupazione, sulla vita delle persone e delle donne in particolare. Nella cultura stantia di appaltare sempre alle donne il ruolo di caregiver (di figli, anziani, disabili & economia domestica), sono principalmente le lavoratrici ad essere incentivate verso questa forma di lavoro, per lasciare loro il tempo necessario alla cura del resto, non all'investimento su di sé. "A livello mondiale i 3/4 del lavoro di cura non retribuito sono sulle spalle delle donne, ed è vero per tutti i paesi con polarizzazione di genere molto accentuata, dove certe attività sono associate in maniera connaturata alle donne. Le italiane si fanno carico di oltre il 75% di attività di cura non retribuita" illustra la professoressa Rinaldi. "Nel momento in cui ci siamo trovati in lockdown a fronteggiare la pandemia, nell’incertezza che in economia è la variabile killer, molte famiglie hanno deciso di sacrificare uno dei due genitori lavoratori, quando lavoravano entrambi, e generalmente è stata sacrificata la forza lavoro femminile, in particolare delle madri". Ennesima conferma del dato eclatante dell'ISTAT sui posti di lavoro persi dalle donne nel dicembre 2020, 99mila a fronte di appena duemila degli uomini. Tra le percentuali sul lavoro delle donne in smartworking, una suona come un campanello d'allarme non colto in tempo: il 24% delle intervistate aveva richiesto la modalità smartworking già da prima della pandemia, proprio per conciliare meglio la vita lavorativa con le attività di cura non retribuite. Una motivazione che svela la rassegnazione alla cultura dominante, dove la una parità di genere non è raggiunta nemmeno a parole.

Le due variabili di tempo e luogo di lavoro si sono confuse sempre di più dopo l'attivazione extrema ratio dell'home working senza alcun tipo di programmazione, o tantomeno limite all'invasione quotidiana nella dimensione privata del lavoratore. Crescono l'impegno professionale e la cura della famiglia ma le ore della giornata restano sempre 24. E a sacrificarsi è la variabile davvero importante: la persona. Con il suo spazio, le sue passioni, il suo svago, la socialità. "È l’esperienza della nostra vita quotidiana, dove abbiamo riunioni fissate ad orari improbabili come le nove di sera. Questa estensione del tempo del lavoro per le donne diventa commistione tra luogo di lavoro e luogo di cura, tempo di lavoro e tempo di cura: questo tempo si compenetra, e idem per i luoghi" spiega ancora Rinaldi. "La maggior parte delle lavoratrici (64%) dice che il lavoro è cambiato. Sovraccariche da lavoro retribuito e non, le donne hanno poco tempo per il riposo, per gli hobby, per lo sport, e anche per fare pausa dal pc. Magari preparano il pranzo ai figli o vanno a fare la spesa, che sono sempre attività di cura non retribuite.

Le donne sono costrette a rinunciare a sé."

Ciò introduce il tema di condivisione della cura, che in Italia si basa sul welfare familiare "mediterraneo", vale a dire sostenuto dall'intervento di nonne, zie, sorelle. L'assenza della madre lavoratrice si compensa con un lavoro gratuito di cura affidato ad altre donne della famiglia, eterno circolo vizioso difficile da smontare di fronte alla mancanza strutturale di concreti sostegni statali, e di cultura reale della parità di genere. Congedi parentali per i padri: 10 giorni. Congedo di maternità: 5 mesi. Chi offre lavoro non viene certo incentivato ad assumere una donna di fronte ad una disparità tale, sapendo che potrebbe allontanarsi per un periodo di tempo così lungo, e il mercato del lavoro resta a predominanza maschile. È una mancanza principalmente culturale di equità di cura: "Le lavoratrici in smartworking riportano che il 75% di loro non è in grado di condividere con nessuno le attività di cura. Se ne fanno carico in solitudine 3 donne su 4. Questo fa pensare anche al tema che in lockdown con la pandemia è esploso, la rete di welfare familiare è venuta meno" osserva Rinaldi.

Nel suo commento allo smartworking Linda Laura Sabbadini, direttora dell'ISTAT, riconosce pregi e difetti di questa forma di lavoro: "È stata una necessità che ha portato un grandissimo scossone nell’organizzazione della vita e quotidiana. Sul lavoro da casa nel 2019 stavamo all’1% rispetto ad una media europea molto più alta, attorno al 21%, e legata ad uno smartworking non generalizzato su meno di 50% dell’orario, in modo alternato. La ritengo la forma in cui questa organizzazione del lavoro può essere utile per il lavoro e per le persone, perché non segrega in casa e non si cumula con gli altri problemi, non accentua il disagio di chi sta peggio". In Italia però questa modalità alternata di smartworking parziale non è mai stata sperimentata su larga scala, e la novità ha costretto l'intero mondo del lavoro a doversi confrontare con una modalità completamente sconosciuta: "Dobbiamo fare in modo di cogliere il positivo di questa esperienza. Che questa diventi una forma realmente espressione di lavoro flessibile, di presa in carico delle esigenze di efficenza sul fronte del lavoro e di qualità della vita di cittadine e cittadini di questo paese". C'è poco ottimismo, però, perché anche sul quadro più ampio della questione occupazionale, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza aveva molte potenzialità per poter davvero risollevare l'Italia. Eppure presenta molti difetti gravi: "Manca una valutazione di impatto di genere che possa valutare che sia un piano che spinge allo sviluppo dell'occupazione femminile. Non siamo in grado di capire quanto dagli investimenti nei vari settori verrà di occupazione femminile aggiuntiva, ed è un problema serio" illustra Sabbadini. "Il secondo aspetto è che questo piano ha una sbilanciata attenzione sulle questioni più economiche che non su quelle sociali, a parte la sanità, che era tema assolutamente da considerare". A quanto pare, gli elementi di sostegno all’occupazione femminile, specialmente per quanto riguarda l'imprenditoria, nidi e assistenza anziani, sono molto scarsi e poco trasparenti, con voci aggregate che non chiariscono bene gli investimenti o introduzioni di riforme (tipo la riforma dell'autosufficienza) senza finanziamenti. "Fare i nidi è una cosa fondamentale non per le donne, ma per il diritto dei bimbi. E vale lo stesso per i bisogni multidimensionali di anziani e disabili. È tutta occupazione femminile, ricade sulle donne. Questo piano poteva essere l’occasione per fare un balzo da un punto di vista delle questioni strutturali, di servizi e infrastrutture su cui tradizionalmente l’italia è indietro, si poteva recuperare" conclude Sabbadini.

"L'Italia è un paese che si sta lasciando morire"

fa eco Paolo Peluffo, segretario generale del CNEL, che non usa mezzi termini sulla mancata attenzione alla questione del lavoro femminile. "È una delle grandi 4 questioni (accanto a capitale umano, produttività totale dei fattori e immigrazione) sul destino del nostro paese, che è in una glaciazione demografica. Una tragedia che non è descrivibile e non è percepita. Abbiamo raggiunto un livello di squilibrio che immaginavamo per il 2065: chi ripagherà questo debito, e la sostenibilità del debito tra 20 anni? Sfruttare le possibilità del lavoro agile, non per ridurre la partecipazione femminile o invadere il campo della cura, ma per armonizzarla meglio: è un impegno". Per la professoressa Marcella Corsi de La Sapienza, è indubbio che lo smartworking stia mettendo in discussione la libertà della gestione dei tempi di lavoro, tutto il contrario di quello che il lavoro agile vorrebbe permettere. È una sfida nuova e complessa per sindacati e parti sociali che dovranno occuparsi della sua regolamentazione, ponendo molta attenzione al rischio del controllo del lavoratore che pesa da sempre sul lavoro agile, considerato erroneamente di minore produttività. Le donne occupate non ne sono immuni, anzi, in un certo senso ne soffrono più dei colleghi maschi proprio perché paradossalmente invitate a lavorare in questa forma. "Bisogna lavorare sull’educazione e rendere le aziende protagoniste di questo, è fondamentale" sostiene Luisa Rizzitelli, fondatrice di Better Place. "Se non lavoriamo sul ristabilire l’equilibrio nel lavoro di cura, il concetto che non stiamo facendo politiche per le donne, avremo delle esistenze che renderanno inefficaci tutti i sistemi che andremo a creare. Bisogna stabilire una nuova cultura del lavoro, non servono operazioni di pinkwashing e marketing, ci giochiamo il valore futuro del nostro paese. Le aziende devono fare percorsi seri a partire dai dirigenti: non sono temi di donne, ma sono temi che senza le donne non potranno salvare il nostro paese" conclude Rizzitelli. La verità è quella che si temeva: lo smartworking in Italia oggi non è affatto smart, anzi. Privo di normative adeguate alla sua fluidità, si è tradotto in una misura estremizzante dell'attività professionale penalizzando definitivamente chi, in teoria, avrebbe potuto trarne beneficio. Si può migliorarne l'applicazione, certo, ma servono più investimenti e persone. E quel definitivo cambio culturale sulla gender equality che nella vecchia Italia sembra più impossibile che mai.