Una donna ritratta di schiena avanza verso una folla che la guarda incuriosita. È avvolta in un abito bianco, come la borsa e le scarpe che la rendono ancora più sensuale, elegante, non comune. Si dirige verso quel gruppo di persone - tutti uomini - con sguardi che pesano ogni suo singolo gesto e che si poggiano su quel corpo mettendo da parte ogni discrezione e pudore possibili per far emergere il desiderio di una sessualità che resterà tale, trasformandola in una luce improvvisa che illumina la notte. È il 1954 e per realizzare quell’immagine in bianco e nero divenuta poi iconica, un allora poco più che trentenne Mario De Biasi (1923-2013) si affidò al neorealismo che permeava già al cinema. Spiò quel soggetto con il suo obiettivo, un vero pedinamento, senza interagire, ma rivelando semplicemente i fatti come accadevano. Quella donna è Moira Orfei che all’epoca era ancora una trapezista sconosciuta. De Biasi la seguì ritraendola nel suo circo, appena fuori Milano, e poi nella sua lunga passeggiate nel centro della città, un vero e proprio defilé sfolgorante e improvvisato che sconvolse i passanti – per le strade, le piazze, la galleria Vittorio Emanuele, sul tram – di certo non abituati a cotanta bellezza e avvenenza. Il realismo è tutto lì: nei loro sguardi e in quella femminilità dirompente di quella donna, sicura di sé, bellissima, ma soprattutto in quel set non costruito ad arte, in uno studio, ma vero e originale, che sono poi le strade milanesi con gente affaccendata nella banalità del quotidiano.

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© Archivio Mario De Biasi / courtesy Admira, Milano
Brigitte Bardot, Venezia, 1957

Anni fa (era il 1994), quella stessa immagine venne usata dal Guggenheim Museum di New York come manifesto della mostra The Italian Metamorphosis 1943/1968 a cura del compianto Germano Celant, e oggi lo è di Mario De Biasi: Fotografie 1947/2003, la grande retrospettiva dedicata al grande fotografo originario di Sois (Belluno), ospitata fino al 9 settembre prossimo in quel posto incantevole che è la Casa dei Tre Oci, a Venezia, sull’isola della Giudecca. Dopo quella data, il museo, purtroppo, chiuderà per sempre in attesa di essere riaperto in un’altra sede, sempre veneziana. Un motivo in più, quindi, per non perdere questa mostra che ripercorre l’intera produzione del fotoreporter, dagli esordi della sua collaborazione con la rivista Epoca fino agli ultimi lavori. Curata da Enrica Viganò e frutto di una lunga ricerca nel grande archivio De Biasi, l’esposizione raccoglie 216 fotografie, metà delle quali inedite, e procede lungo dieci sezioni tematiche passando per il racconto dei grandi eventi storici, i viaggi esotici, i ritratti di personaggi potenti e famosi, le scene di vita quotidiana, i volti anonimi, sfociando poi nel concettuale e nell’astratto. Immagini belle, ognuna a suo modo, e che – come disse proprio De Biasi – come tutte le immagini belle devi andare sempre a cercartele dopo aver camminato tanto o semplicemente fermandoti a guardare con più attenzione, “perché magari la fotografia è proprio lì, ma devi girarci intorno per notarla”. Curioso fino all’eccesso, tenace, sportivo e straordinariamente resistente, nello stesso anno in cui immortalò la Orfei trasformandola in un mito, De Biasi approdò a New York per documentare (sempre per Epoca) la “Crociera della Moda” sulla Cristoforo Colombo, un transatlantico carico di nobildonne e abiti haute-couture che promuoveva l’eccellenza italiana. Sette giorni trascorsi nella Grande Mela in cui, come noterete voi stessi visitando questa mostra, produsse dei veri e propri capolavori che narrano la geografia umana e paesaggistica newyorchese, le sue architetture e le sue auto, l’ineguagliabile skyline e i ritratti, scene di vita sociale come di strada lasciando anche spazio ad uno scoop giornalistico, visto che ottenne una sessione fotografica di Onassis nel suo hotel. Per farsi scusare del ritardo all’appuntamento, il magnate decise di farsi ‘perdonare’ ordinando al suo autista di mettersi al servizio di De Biasi per tutto il giorno e, insieme, i due andarono in girò per la città. Quel continuo ‘girare’ è stata per tutta la vita la cifra stilistica di De Biasi, accompagnata da quel voler sperimentare la sua capacità di congelare il momento decisivo esercitando il suo sguardo acuto, trasformando il visibile in finestre sull’immaginario. Quello che ci ha regalato e lasciato, è il racconto del mondo attraverso il suo obiettivo che sono poi i suoi occhi, immagini dal forte impatto visivo realizzate nei cinque continenti, una vera e propria finestra sull’universo da cui entrò aria fresca e nuova. C’è la moda e c’è l’eleganza, ma non solo.

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© Archivio Mario De Biasi / courtesy Admira, Milano
Fellini e Masina, Venezia, 1955

Nei due piani dei Tre Oci troverete “l’agonia di Budapest”, il servizio da lui realizzato nel 1956 che gli valse il titolo di “italiano pazzo” per l’approccio intrepido con cui fotografò quella rivolta dall’interno, restando sempre accanto agli insorti nonostante la spalla ferita da una pallottola. Troverete le fotografie scattate in URSS a 65 gradi sotto zero tra tempeste di neve, icone della propaganda sovietica, cacciatori della steppa e finestre di ghiaccio o tra le lingue di lava dell’Etna in eruzione. E, ancora, le foto dei baci, dei barbieri di strada e delle pause pranzo realizzate da Londra a Parigi, da Roma a Vienna, dal Cairo a Teheran, dalla Tailandia al Brasile, da Israele al Nepal. C’è “l’operazione Luna” del 1969 e il cinema a Venezia da lui documentato negli anni Cinquanta fotografando personaggi leggendari come Maria Callas ritratta mentre sorride, Fellini e la Masina su una gondola, il regista Nicholas Ray in mutande, Romy Schneider vestita da principessa Sissi mentre fuma, Sophia Loren e Brigitte Bardot, i due fidanzati Antonella Lualdi e Franco Interlenghi che riuscì a far tuffare nelle acque del Lido in una giornata di pioggia. “La gente si meraviglia perché io faccio tanti temi”, disse il fotografo in un’intervista riportata nel catalogo della mostra pubblicato da Marsilio. “È che io ho tanti temi in testa e trovo interessante con il tempo mettere insieme delle cose, associare dei temi che scopro in tutti i continenti”. “È molto importante conoscere la psicologia della persona che fotografi”, disse in un’altra, quando oramai (nell’ultimo periodo della sua vita) si dedicava a foto dedicate all’ambiente per la serie Madre Natura in cui concentra sull’amore per la natura creando una vera e propria poesia visiva. “Non bisogna mai dimenticare che dovunque s’incontra vita, s’incontra la bellezza”, aggiunse. “Basta guardarsi attorno per vederle entrambe, anche in una foglia, in un sasso, in un balcone fiorito, persino nei riflessi di una pozzanghera”. La prossima volta che vi capita, quindi, fateci caso.

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Guardarobiera,NewYork,1956