“Ho messo da parte tutto per dedicarmi solo a me stessa. Forse è la prima volta che lo faccio in 34 anni. Quest’anno ho resettato tutto, quest’anno sono rinata, quest’anno mi bacia una luce diversa, quest’anno sono una nuova Anna, questo è il mio anno zero”. Anche se l’anno prossimo saranno vent’anni dal suo esordio - era il 2002, era una quindicenne, era il palco di Sanremo, era una ragazzina di Sora che cantava (e vinse la Sezione Giovani) una timida Doppiamente fragili - Anna Tatangelo oggi ha deciso di passare di nuovo dal via, portare indietro le lancette dell’orologio, riavvolgere il nastro del film della sua vita. Senza riscriverci sopra, sia chiaro. Senza lavare via tutto e gettare la spugna. Semplicemente ricominciare dal suo personalissimo “qui e ora”. E ha deciso di farlo attraverso un nuovo disco, in uscita venerdì 28 maggio, ANNAZERO (Believe) omen nomen del suo stato d’animo (e di grazia). Anticipato dai singoli Serenata, Guapo feat. Geolier e Fra me e te feat. Gemitaiz, l’album è il simbolo di un nuovo percorso intrapreso dalla cantautrice, una rinascita completa, una fenice che risorge dalle proprie ceneri, un cambiamento iniziato e compiuto sia a livello musicale sia a livello umano, per ricominciare da zero.

Perché hai sentito il bisogno di ricominciare da zero?
È stato un anno tosto, ma diciamo anche pesante. Mi sono separata, sono andata a vivere da sola con mio figlio in un’altra casa, dopo pochi giorni è arrivata la pandemia, hanno chiuso tutto, mi sono ritrovata completamente sola e senza distrazioni, e senza la possibilità di far pesare meno a mio figlio il periodo particolare che stavamo vivendo in famiglia. Avevo prenotato una vacanza a Disneyland, avevamo altri progetti, ma è sfumato tutto. Però dico “grazie” a quel momento, è stato molto difficile ma mi ha aiutato tantissimo a ritrovare un equilibrio che non avevo prima, ad affrontare paure e insicurezze che mi hanno resa più forte, a ritrovare l’amore per la musica, il bisogno di scrivere.

C’è mai stato un altro anno zero nella tua vita?
No. Se non sei mai stata da sola non puoi avere un anno zero da cui ricominciare tutto.

Geolier, Gemitaiz, Beba… Per rinascere hai davvero seguito il flow (del rap).
Inizialmente ero spaventata. Sai, credo sia normale, insomma lo sei un po’ spaventata quando dentro di te nasce una voglia irrefrenabile di fare cose nuove, cambiare completamente, sperimentare, osare, mutare pelle. È un desiderio che ho accolto e perseguito, e dico grazie a queste collaborazioni. Anzi, a queste persone speciali. Paradossalmente niente è stato deciso a tavolino da nessuna etichetta o chissà chi, siamo solo esseri umani che si sono incontrati, si sono piaciuti, si sono stimati e hanno deciso di lavorare insieme, mettendo le basi anche per un’amicizia. La cosa più bella è che, a prescindere dalla differenza di età che c’è fra noi, entrambi avevamo voglia di sperimentare, di azzerare le barriere, di fregarsene del background o del mondo da cui provenivamo, ci siamo incontrati a metà strada e abbiamo iniziato un percorso da lì. È stato naturale, ci siamo sentiti a nostro agio fin dall’inizio, e questo traspare dalle canzoni. Cioè, se ci senti cantare insieme, non è che pensi “oddio che c’entrano questi due insieme?!”.

A proposito di rinascita, come vorresti rinascesse il music business italiano?
Vorrei che non venissero mescolati vita artistica e vita personale, musica e privato, mi dà fastidio. In Italia c’è un bigottismo che scoraggia gli artisti a esprimersi come vorrebbero, a 360 gradi. Se fai una copertina audace o metti una foto sui social in cui giochi con la tua femminilità, allora devi tenere in conto che la valanga di critiche è dietro l’angolo. Ti dicono “ma sei una mamma, non puoi postare una foto del genere!”, ti dicono “ma il tuo compagno è d’accordo, te l’ha lasciato fare?!”… Pensa che in America invece Jennifer Lopez è appena uscita con un disco con una copertina in cui è praticamente nuda a 50 anni o Jay-Z che è stato il primo sostenitore di Beyoncé, nessuno dice niente e anzi, celebrano questo tipo di libertà. Come è giusto che sia. Invece in Italia si attaccano tutti alle stronzate, dal trucco ai capelli alle sopracciglia.

E qui ti volevo. in 20 anni ci fosse stata qualcosa per cui non ti abbiano criticata… Ti ha già dato qualcuno una medaglia alla sopportazione?
Guarda, non lo so nemmeno io come ho fatto. So solo che oggi ho le spalle molto grandi e forti, ma quando avevo 20 anni no. Si parla tanto di cyberbullismo ma anche le cerchie di giornalisti che incontri nella vita reale non sono da meno, i primi a criticarmi sono stati loro. Le persone attorno a me dicevano di lasciar correre, di passarci sopra, di non rispondere, ma col senno di poi penso che andavamo mandate a fanculo un po’ di persone, scusa il francesismo.

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Sei stata una delle prime artiste italiane a parlare, supportare, metterci la faccia nella lotta contro la violenza sulle donne. Erano i primi Duemila, non se ne parlava così tanto come oggi.
Eh, io l’ho fatto un po’ prima… Sono felice di essere stata una delle artiste pioniere, possiamo dire pioniere?!, e questo mi va riconosciuto. Non ho voglia di incensarmi a paladina o chissà che, sia chiaro, ma ci sono arrivata prima di molte persone, e oggi ho semplicemente voglia di ribadirlo. Anche perché in quel momento della mia vita, la gente giudicava altro, non il mio impegno sociale. “Essere guardata e a volte anche seguita mi pesa. Certi complimenti se son rozzi poi ti senti offesa” in Essere una donna già parlavo di cat calling all’epoca. “Dimmi che male c’è se ami un altro come te, L’amore non ha sesso, il brivido è lo stesso, o forse un po' di più”, in Il mio amico parlavo di omosessualità, fu uno scandalo a Sanremo, mentre l’associazione Arcigay si complimentava per il mio coraggio, dall’altra parte c’erano i vescovi di mezza Italia che mi attaccavano. Io stavo semplicemente puntando un faro sulla storia del mio migliore amico, e di tutti gli omosessuali come lui che venivano e vengono discriminati ogni giorno. In tanti altri testi ho parlato di anoressia e violenza sulle donne, ho messo devoluto il montepremi della vincita a Celebrity MasterChef Italia all'associazione Doppia Difesa, fondata da Michelle Hunziker e Giulia Bongiorno per sensibilizzare l'opinione pubblica e aiutare le vittime di discriminazioni, abusi e violenze a dire basta. E poi ci sono tante altre cose che ho fatto anche silenziosamente, proprio perché ci credo in queste cause, ci ho sempre creduto, oggi forse va di moda parlare, ci sono i social, ci sono mille altri mezzi di comunicazione con cui è facile dire cosa si fa e cosa non si fa. Sperando che gli altri seguano il tuo esempio. In passato era più difficile farsi sentire, oggi per esempio Aurora Leone parla sulle Instagram Stories della sua discriminazione dalla Partita del Cuore e i giornali riportano tutto alla velocità della luce, fortunatamente.

Ti hanno mai risposto che una cantante deve cantare e basta?
Eccome. Mi hanno detto pure che non potevo ballare o presentare, tipo quando affiancai Carlo Conti nella co-conduzione del programma I Migliori anni. Io sono assolutamente felice di averlo fatto, di essere stata tra le poche a osare, a fregarmene, infischiarmene, anche se non ti nego che la reazione di certe persone mi ha spaventata, a volte.

Siamo un Paese senza speranza?
Spero e credo di no. Mi ha fatto piacere vedere Achille Lauro quest’anno a Sanremo esprimersi, fare e disfare come voleva, essere semplicemente com’è, persona e personaggio, artista, estroso, nei vestiti e nei modi di fare. All’inizio la gente l’ha criticato, lui ha insistito, si è presentato il giorno dopo e quello dopo ancora, e alla fine il risultato è che la gente l’ha amato. E pensare che 15 anni fa, sempre su quello stesso palco, mi ero presentata vestita da uomo per omaggiare Anna Oxa e cantare la mia canzone Bastardo. Non ti dico le telefonate e le critiche che ho ricevuto, dicevano che per l’Italia “era eccessivo”. Io ho in testa fissi i miei miti, Mina, JLo, Rihanna, Beyoncé che possono cantare, recitare, presentare, fare mille cose.

Ti rivedremo sul palco dell’Ariston, con lui, l’anno prossimo?
Magari! Sono molto grata al Festival, ne ho fatti 7, tutti fondamentali, tutti in periodi-chiave della mia vita artistica. Il primo è stato a 15 anni e l’ultimo due anni fa. Se avessi il pezzo giusto sì, ritornerei.

Com’è il pezzo giusto?
È quella canzone che ha qualcosa di diverso dalle altre, lo sai, lo senti.

20 anni di carriera, 34 sulla carta d’identità, non ti sembra di aver vissuto mille vite? Qual è la cosa che più di tutte ti tiene coi piedi per terra?
La stabilità più grande è mio figlio, sono diventata mamma molto giovane, avevo 23 anni. Quando torno a casa dopo un concerto o qualsiasi altro posto, c’è lui, Andrea. Per lui sono solo la mamma, non gliene frega di nient’altro. E, poi, mi sento me stessa, mi ritrovo, tutte le volte che sono sola in studio a registrare. È il mio momento malinconico, il mio io più profondo, la mia boccata d’aria, il mio diario segreto, grazie alla musica tiro fuori sensazioni che non sapevo di avere dentro. Il mio approccio con la musica è sempre quello di una 15enne.

La cover di una popstar che vorresti cantare ora?
That's What I Like di Bruno Mars.

Dal 2002, l’anno del tuo esordio, a oggi, com’è cambiato il modo di debuttare dei giovani nel music business? Cosa ti spaventa, cosa invidi e che consigli dai loro?
Vengo prima alle dolenti note. Oggi è molto più difficile rimanere sulla scena. Purtroppo o per fortuna, c’è molto consumo di musica, ci sono mille piattaforme, mille modi per farti conoscere, e paradossalmente per gli ascoltatori è molto più difficile affezionarsi a un solo artista per molto tempo. Magari fai una hit, la cantano tutti, la tua fama sale alle stelle, ma dopo una settimana nessuno si ricorda più il tuo nome o il ritmo di quella canzone, perché è stata rimpiazzata da un’altra hit che farà la stessa fine. Insomma, è difficile rimanere nel tempo. Venendo ai consigli, io non dò consigli, non mi sento di consigliare niente, anche perché sono ancora io che dopo 20 anni cerco di rinnovarmi, crescere completarmi e evolvermi, lavoro su me stessa ogni giorno. Forse a un giovane artista potrei consigliare di non dare nulla per scontato, di non adagiarsi sul successo di un singolo o di un solo album, di migliorarsi sempre e cercare di non essere uguale a nessuno. Anche perché oggi è molto facile accendere l’autotune e cantare. Io tutte le mattine mi sveglio e dico “grazie”.

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Cosimo Buccoleri