Virtuale è reale

Si è ciò che si comunica

Le parole danno forma al pensiero

Prima di parlare bisogna ascoltare

Le parole sono un ponte

Le parole hanno conseguenze

Condividere è una responsabilità

Le idee si possono discutere, le persone si devono rispettare

Gli insulti non sono argomenti

Anche il silenzio comunica

Iniziamo dalla fine. Anzi, dal fine. Il saper comunicare, il saper scegliere le parole, il saper stare, a volte anche in silenzio, in Rete. Perché l’Internet esisterà pure dal 1962, ma la verità è che non abbiamo ancora capito come abitarlo, come essere coinquilini rispettosi del resto del mondo che lo utilizza insieme a noi. E visto che non esiste un padrone di casa supremo pronto a sfrattarci all’ennesimo passo falso virtuale, si moltiplicano le campagne e i progetti di sensibilizzazione che offrono strumenti gentili per azioni civili, uno di questi è l’associazione italiana Parole O_Stili, di cui avete appena letto i 10 principi fondanti. Nata a Trieste nell’agosto 2016 con l’obiettivo di promuovere un linguaggio rispettoso e civile nell’utilizzo dei social, attraverso iniziative di formazione e educazione rivolte agli utenti della Rete, alle istituzioni, agli studenti e ai responsabili dell’istruzione primaria e secondaria, “si rivolge a tutti i cittadini, consapevoli del fatto che ‘virtuale è reale’ e che l’ostilità in rete ha conseguenze concrete, gravi e permanenti nella vita delle persone”, racconta Rosy Russo, la fondatrice. “Il principale strumento di Parole O_Stili è il Manifesto della comunicazione non ostile, un decalogo che ha raccolto i contributi di oltre 300 tra giornalisti, docenti, sociologi, educatori e professionisti della comunicazione, è stato sottoscritto da oltre 250 sindaci d’Italia e di tutti gli schieramenti politici ed è stato protagonista della firma di un protocollo d’intesa con il MIUR (Ministero dell'università e della ricerca, ndr)”.

“Ho sempre lavorato nella comunicazione, conosco bene le dinamiche positive e negative dello stare online e dello stare offline, mi hanno sempre fatto riflettere molto. Nell’estate del 2016, chiacchierando con dei colleghi, ci siamo domandati ‘ma è possibile che la rete sia questo?’ Commenti massacranti all’ordine del giorno, odio gratuito, disinformazione… Noi invece crediamo nella rete come luogo in cui incontrare, crescere, sperimentare, lanciare progetti e creare ponti con le persone. Così, ho scritto una mail a un po’ di amici, colleghi, giornalisti, comunicatori e politici chiedendo loro se condividevano il mio pensiero/problema sull’odio in rete. Nonostante fossero tutti in ferie, eravamo sotto Ferragosto, mi hanno risposto tutti. E tutti volevano salvare la rete, le cose belle della rete, quantomeno”, spiega Rosy sulla nascita di Parole O_Stili, associazione che già dal nome gioca con il significato di stile, “inteso come quello che scegli per comunicare con gli altri per abitare la rete” e ostile “ovvero le parole d’odio e tutto quello che sta inquinando la rete”. “Dopo questo giro di mail, ci siamo chiesti e poi abbiamo sintetizzato i principi che fondano il nostro manifesto. Non avevamo l’ambizione di arrivare chissà dove, voleva solo essere un’iniziativa che poteva aiutare tutti nella nostra quotidianità”. Invece “chissà dove” ci sono arrivati, tanto da ricevere il riconoscimento dal Presidente della Repubblica, il Premio In-Difesa, il Premio Rete Critica e il Premio Inspiring PR, grazie a Parole O_Stili sono state realizzate oltre 700 ore di formazione per 7000 insegnanti e 190mila studenti, e moltissimi personaggi di spicco della scena pop-olare e socio-politica italiana hanno sostenuto fermamente il progetto, da Laura Boldrini a Monica Cirinnà, passando per aziende-colosso come Carrefour, Nestlè e Ikea.

“Il Manifesto della comunicazione non ostile è scritto in prima persona, e non è un caso, perché non è nato per bacchettare o puntare il dito contro qualcuno, ma per sensibilizzare e offrire maggiore consapevolezza su come si può vivere meglio in rete. Dico sempre che stare in rete è come avere una nuova stanza della nostra vita. E questa stanza qualcuno è capace di viverla bene, qualcuno la lascia molto in disordine, qualcuno la tratta male. Ma in quella stanza c’è sicuramente balcone da cui possiamo sporgerci, da cui vedere il mondo sotto un altro aspetto, da cui fare, disfare, incontrare, ma a volte facciamo un passo indietro perché sperimentiamo qualcosa che ci fa male, sia il cyberbullismo a tutte le età o l’odio gratuito”. Dolenti note che durante il mese del Pride sono ancora più dolenti, “a volte la strada per trovare le parole giuste è più semplice, e meno dolorosa, di quanto si pensi. Sia aggiungere un + all’acronimo LGBTQIA, sia parlare di persona transessuale anziché di trans, sia dire pride e non gay pride. Dalle piccole cose germogliano le grandi rivoluzioni che ci aiuteranno a superare le differenze, oltrepassare pregiudizi, abbattere i muri dell’incomprensione. Perché per insultare un uomo omosessuale lo si chiama frocio o finocchio mentre per insultare una donna gay le si dà della lesbica? Lesbica non è mica un insulto. Dobbiamo capire che bisogna parlare alla persona e non alla categoria, è questo l’unico modo per non lasciare mai fuori nessuno, per lottare insieme a chi ogni giorno soffre e si batte per non restare ai margini della società”.

Quali sono le parole ostili più comuni nelle aziende?
Diciamo che ormai c’è un certo bon ton finto, se così si può dire, che serpeggia in ambito lavorativo. Nessuno ti dice più stronzo, per esempio, siamo abbastanza furbi da non insultare qualcuno in modo così dichiarato, questo non vuol dire che ci sono frasi che si dicono o che non si dicono che sono ben più peggiori di una parolaccia. Mi viene in mente il classico “grazie okay ma verificherò” scritto in uno scambio di mail, che in altre parole vuol dire “non ti sto credendo”. Oppure quando qualcuno mette in CC 5 colleghi per dirti che non hai fatto bene un lavoro. Potresti dirmelo in separata sede, potresti scriverlo solo a me, invece godi nel farlo sapere a tutti. Sono sfumature, lo so, ma sono pesantissime e potenzialmente distruttive.

Dal 2016, anno di fondazione di Parole O_Stili, a oggi, cosa e come è cambiato in rete, nel bene e nel male?
Mi piacerebbe dirti che non serviamo più, ma praticamente è rimasto tutto uguale. Il lato positivo però è che c’è una maggiore sensibilità sul tema, se ne parla di più, la soglia di attenzione è più alta, i genitori modificano i metodi di educazione dei figli. Insomma, stiamo seminando per avere dei risultati più avanti. Di sicuro a oggi c’è che il problema dell’odio in rete non si risolve con la censura.

A volte penso che per le generazioni future tutti questi saranno problemi superati, obsoleti, che i figli dei nostri figli riusciranno a “auto regolamentarsi” in qualche modo. Tu che ne pensi?
Non ne sono così sicura, me lo auguro, certo. Vivere in rete è questione di educazione e cultura, e solo quando tutti saremo educati alla convivenza social-e potremo auto regolamentarci.

E nel frattempo?
Iniziamo a lavorare anche con i più piccoli, insegnando loro che virtuale è reale, perché se insulto una persona dal vivo o via WhatsApp fa male uguale. Spieghiamo, diamo loro delle regole, non lasciamoli soli davanti al pc o altri device, concediamo l’uso degli smartphone ma usiamolo insieme a loro, facciamogli capire che si tratta di strumenti dalle potenzialità infinite ma anche dai pericoli infiniti. In Parole O_Stili ci stiamo battendo per fare appello al Ministero per introdurre un’ora di “cittadinanza digitale” nelle scuole. Anche se dovrebbe essere obbligatoria pure nelle aziende. La rete va custodita e trattata con cura perché è un luogo di relazioni, e le relazioni hanno bisogno di cura, sono la cosa più importante della nostra vita.