“Lo stalking non è più un’aggravante per il reato di femminicidio", la notizia riportata da diversi quotidiani ha sollevato un (legittimo) polverone fra chi si batte da anni per cancellare la cultura malsana della violenza sulle donne. Ricapitolando, il titolo bomba riguardava l'assassinio di una donna da parte di una collega di lavoro che, durante una colluttazione, l’aveva fatta precipitare da una rampa di scale. L'omicida aveva in passato perseguitato con atti di stalking la vittima e al processo ci si aspettava che venisse condannata per entrambi i reati, invece che per il solo omicidio. Un po' della malizia con cui è stata riassunta la sentenza della Cassazione si intuisce proprio dai riferimenti al femminicidio a cui era accompagnata, che in questo caso non c'entrava nulla. A spiegarci meglio come questa drammatica vicenda sia diventa un grosso equivoco ci pensano due avvocate che hanno letto attentamente la sentenza per Marieclaire.it. “Bisogna spiegarla senza essere troppo tecnici per permettere di capire anche a chi non è un addetto ai lavori, perché si tratta di una questione prettamente tecnica, ce la metteremo tutta”, spiega subito l’avvocata Lorena Croatto di Milano. “Intanto, non è vero che la pena sia stata meno severa, come si dice sui social e negli articoli imprecisi. Per questo caso è stato infatti applicato il cosiddetto reato complesso. In poche parole, è una fattispecie che comprende in sé due reati diversi che possono essere valutati anche singolarmente, che in questo caso sono l’omicidio e lo stalking, che la Cassazione ha considerato insieme. In molti credono che se fossero stati considerati separatamente si sarebbe fatta la somma di omicidio + stalking, ma non funziona così. Se non fosse stato un reato complesso, si applica comunque il reato più grave e in più un aumento per il secondo reato. In questo caso, non significa affatto che la pena sia stata più blanda, infatti è stato comminato l'ergastolo". Questo succede perché nel diritto penale non si dà mai una valutazione soggettiva, si dà sempre una valutazione oggettiva, cioè l'offensività del comportamento di chi hai messo in atto il delitto, e non chi l'ha commesso. "Per spiegare meglio cos'è la valutazione oggettiva penale", specifica l'avvocata Croatto, "ricordiamoci che qualche anno fa era stato valutato come incostituzionale quel reato secondo cui se un crimine viene commesso da un immigrato privo di documenti che si trova sul territorio dello Stato italiano la pena inflitta deve essere più grave. La Corte Costituzionale la bocciò perché non si può valutare la condotta di una persona dal punto di vista soggettivo, ossia da chi sei, ma dalla tua condotta". È d'accordo con la collega anche l'avvocata Tiziana Di Chio, di Roma: "la Cassazione ha applicato la norma di diritto e il reato di omicidio ha assorbito il reato di stalking. In questo caso l’omicidio è stato considerato aggravato proprio perché preceduto dallo stalking che ha caratterizzato il reato di omicidio volontario. L’art 612 bis del codice penale, che parla degli atti persecutori, dice proprio “salvo che il fatto non costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da 6 a 4 mesi”. Molti giornali si sono lamentati perché omicidio e stalking andavano considerati due reati separati, dando per scontato che quando i giudici decidono la pena, se non si è preso in considerazione anche lo stalking si può lasciare spazio a delle attenuanti generiche che possano portare a una pena minore. Ma possiamo tranquillizzare tutti che in questo caso lo stalking, proprio perché immesso nell’omicidio, lo ha reso aggravato, e proprio lo stalking ha portato i giudici a un verdetto di omicidio volontario, perché gli atti persecutori hanno condotto alla morte della vittima, con la pena più grave. Giustizia è stata fatta”.