Il ritiro di Valentino Rossi ha il suono dell'ultimo giro. Veloce, ovviamente. Fastest lap immaginario sul suo circuito del cuore, Assen in Olanda, di cui di sicuro può tracciare il profilo nell'aria ad occhi chiusi curva dopo curva. Oppure Silverstone, la pista vecchia scuola dove sembra di viaggiare da un posto all'altro. Ma c'è un altro circuito che diventa cruciale nella storia di Valentino Rossi: Spielberg, dove ha ufficializzato il suo addio alle moto. "Ci vediamo, mi sono divertito" in conclusione alla conferenza stampa. Verrebbe da non credergli, la frase con cui Valentino Rossi si ritira somiglia alla sua ennesima presa in giro, l'ultima marachella del bambinone che tutti consideravano troppo alto per le due ruote. I primi anni non trovava nemmeno la tuta della sua misura, si inginocchiava accanto alla moto in una preghiera laica di concentrazione solo per tentare di allungare i centimetri di stoffa e pelle. Un metro e ottanta, un'enormità di leve lunghe rispetto ai piccoletti nervosi che lo hanno circondato lungo i suoi N anni di carriera. Quantificarli è impossibile, il ragazzo di Tavullia i motori li ha respirati sin da quando nemmeno stava in piedi, trainato in un carrettino dal padre Graziano Rossi ex motociclista degli anni Settanta. Non si può stabilire quanti anni di carriera Valentino Rossi abbia effettivamente coperto: per la generazione millennials lui, classe 1979, c'è sempre stato. Nove titoli mondiali in due millenni, nel primo decennio dei Duemila persino cinque di fila, gli ultimi nel 2008 e nel 2009 ("quando dicevano che ero già finito": la rivalsa, per Valentino, è sempre stato il più succulento dei bocconi), unico pilota nella storia ad averli vinti in 4 categorie differenti (125, 250, 500 e Moto GP). Il tiranno gentile, il titolo del libro su di lui scritto da Marco Ciriello: quello con cui fare sempre i conti. Colui che ti dice che nonostante tutto gli scoccia non aver vinto il decimo titolo. Mai domo.

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Valentino, è sempre bastato il nome a identificarlo. Come Federica (Pellegrini), l'onomastica semplificata per avvicinarsi allo status di campioni. Gli altri erano cognomi: Capirossi, l'unico con cui correttezza e sportività avevano senso. Poi Biaggi, la rivalità per eccellenza in pista e fuori, stilettate a mezzo stampa e sportellate acide sull'asfalto, mai sopita e ancora in grado di infuocare dibattiti. (Sete) Gibernau, il primo degli spagnoli della nuova era che voleva sottomettere Valentino ed è finito nel dimenticatoio, il microaustraliano col sorriso da pubblicità (Casey) Stoner, la breve parentesi di attrito in Yamaha con (Jorge) Lorenzo, e infine (Marc) Marquéz, più giovane di lui di 14 anni, l'allievo ammiratore che si rese protagonista della peggiore versione su due ruote di Eva contro Eva. Ma Valentino Rossi li ha presi di petto, sanguigno e nazionalpopolare, creativo, eccessivo, sboccato con quel suo accento pesarese che si travestiva di romagnolo, la lingua più parlata dopo l'inglese nei box del motomondiale. Erede, Valentino, e generatore di una tradizione di piloti della Motor Valley emiliano-romagnola, con particolare concentrazione attorno a Misano Adriatico. Valentino in grado di ipnotizzare milioni di persone per come teneva una curva, seguendo tracciati impossibili in bilico funambolico. Ti strappava le corde vocali a guardarlo dal divano. Ora cade, oddio cade lo pensavi almeno (quaranta)sei volte a gara, con lo stomaco stretto. Ma lui riapriva il gas, controllava il bestione di acciaio e benzina stringendo le gambe, sfiorava l'asfalto con la pelle della tuta e volava sotto la bandiera a scacchi concedendosi l'ennesima impennata. Quando è caduto, non poteva che farsi malissimo: al Mugello nel 2010 fratturò tibia e perone, stette fuori due mesi e quattro GP che gli costarono un mondiale. Botta morale l'indagine per evasione fiscale nel 2014, patteggiò e ne uscì, alla fine, pulito. Il dolore peggiore fu però nel 2011, quando rimase coinvolto nel fatale incidente che costò la vita all'amico Marco Simoncelli in Malesia. "Sono andato avanti per amore. Sennò avrei già smesso. Perché una situazione come quella dell’incidente di Marco non la superi. Ero già grande, avevo vinto dei Mondiali, potevo dire basta" dichiarò anni dopo a Riders. Scelse di andare avanti, consapevole di dover essere lui stesso a traghettarsi in una nuova era, la maturità. Valentino Rossi e gli innumerevoli soprannomi, Rossifumi del debutto in 125 per omaggiare il suo motociclista preferito Norifumi Abe, Valentinik di ispirazione fumettistica, fino al definitivo The Doctor, il dottore, il ruolo supremo di esperto del motore. Il 46 mai abbandonato, nemmeno quando avrebbe potuto fregiarsi del numero 1 da campione in carica. Il ragazzino che imparava a leggere le telemetrie per interpretare al meglio le reazioni della moto, che modificava i motori degli Apecar con gli amici, che non ha mai dimenticato il grande amore per le auto (a quanto pare passerà alle quattro ruote nel 2022 ma non ha ancora stabilito come, precisa), sta per scavallare dalla moto. Ma non dalla leggenda.

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