Nessun dolore, una pillola o una puntura e tutto passa. Gli esseri umani hanno iniziato a usare gli oppioidi per lenire la sofferenza in tempi così lontani che l’epoca non è documentata nemmeno approssimativamente. Ma è stato soprattutto nel secolo scorso, quando l’età media si è allungata, che ci si è resi conto del loro effetto collaterale più sgradevole e pericoloso: la dipendenza. Per questo motivo negli Stati Uniti sono molti i laboratori di ricerca che nel 2019, guidati dal National Institute on Drug Abuse (NIDA), hanno avviato le prime ricerche - interrotte dalla pandemia, ma riprese ora a pieno ritmo - per ottenere farmaci antidolorifici modificati, praticamente delle droghe che non danno dipendenza e che mantengano la loro efficacia. Ma perché ci si è arrivati solo ora? Intanto, sembrerà strano dirlo, ma l’abuso dei painkillers a scopo medico non è un problema universale. In molte parti del mondo l’uso dei farmaci che leniscono la sofferenza fisica è considerato l’ultima ratio. Nonostante l’Organizzazione Mondiale della Sanità ne incoraggi da tempo l’utilizzo nel trattamento del dolore cronico, nel 2014 in Italia il Ministero della Sanità lanciava l'allarme contro l’aumento delle prescrizioni mediche anche se restavano comunque molto basse, e invitava a un'ulteriore riduzione. In Italia il rapporto fra umani e dolore è culturalmente - e inconsapevolmente - complicato dall'idea del “nati per soffrire” di Leopardi. Dal punto di vista religioso, c'è l’idea del “dolore che avvicina a Dio” nata come consolazione ai tempi in cui era difficile accedere ai rimedi, c’è la frase della Bibbia “donna partorirai con dolore” che ha dato vita a una corrente di medici obiettori verso l’epidurale (per fortuna, in esaurimento). Convinzioni antiche così radicate che persino fra i buddisti italiani c’è chi le trasporta nel dubbio che evitare la sofferenza potrebbe rallentare la pulizia del karma. Anche se le cifre delle prescrizioni si stanno lievemente alzando, l'obiezione silenziosa ci piazza al penultimo posto della classifica europea dell’uso legale di oppioidi ma non ci esenta dal loro mercato parallelo: quello dello spaccio e dell'utilizzo dei medicinali come droghe di strada. Negli Stati Uniti, invece, i due fenomeni sono strettamente legati.


L’assunzione esagerata di oppioidi somministrati dai medici americani a pazienti che hanno subito traumi, o che soffrono di malattie dolorose, ha causato fra il 1999 e il 2019 circa 500mila decessi e ha generato il fenomeno sommerso di dipendenza delle casalinghe dagli spacciatori. Gli statunitensi guariti da lesioni gravi, soprattutto da incidenti d’auto, si ritrovano a gestire da post convalescenti l'astinenza dal senso di calma misto a euforia indotto dai farmaci che gli erano stati somministrati. Ma senza più ricetta e con la sola raccomandazione del medico di disintossicarsi ricorrendo al buonsenso, finiscono per ripiegare sull’eroina inalata o fumata, acquistata sul mercato illegale. Per risolvere definitivamente il problema della dipendenza, i ricercatori americani stanno rincorrendo diverse soluzioni. La più promettente consiste nel modificare con il fluoro il fentanil, un principio attivo contenuto in molti farmaci oppioidi, in modo che raggiunga solo le specifiche aree del corpo lesionate dal trauma o dalla malattia, senza passare dal cervello. Le parti doloranti del corpo sono infatti soggette ad acidosi metabolica e la sostanza che la causa potrebbe essere sfruttata per calamitare il principio del farmaco alterato col fluoro, privandolo così di tutto ciò che di piacevole si può trarre dal suo consumo e riducendolo a svolgere la sua unica funzione: permettere al paziente di non provare dolore mentre guarisce. Se la sperimentazione dovesse andare in porto – ed è già a buon punto -, il metodo verrebbe applicato a tutti i tipi di antidolorifici, non solo quelli contenenti fentanil. Gli oppioidi così modificati potrebbero essere usati con tranquillità, ma sempre con moderazione, anche sui giovanissimi e sui bambini quando raggiungono il punto massimo della “scaletta del sorriso”, lo schema di valutazione del disagio del paziente utilizzata al pronto soccorso. Forse non basterà a distogliere gli italiani dal nostro rapporto con il dolore, ma se le case farmaceutiche cancellassero dalla produzione gli oppioidi tradizionali cambierebbe lo scenario della criminalità, a cui verrebbero a mancare gli introiti del mercato nero di farmaci forniti dagli operatori sanitari complici. O forse, lo spaccio illegale di sostanze alternative in grado di provocare ancora stati di alterazione aumenterebbe vertiginosamente. La questione morale e legale è già aperta, e come si svilupperà lo sapremo solo in tempo reale.