Quando nel 2019 ha vinto il premio Giovane Europea dell’Anno indetto dalla fondazione Schwarzkopf, si parlò molto di Yasmine Ouirhrane perché più che dalle motivazioni che le avevano fatto guadagnare il riconoscimento, ossia aver “lavorato a titolo onorifico per la comprensione tra i popoli o l'integrazione dell'Europa”, Marine Le Pen rimase impressionata per il velo che portava in testa. Per la deputata francese, una ragazza nata da padre marocchino e madre italiana che si presenta in pubblico con il capo coperto era il simbolo “dell’islamizzazione dell'Europa", e usò la sua immagine sui social come una minaccia da scongiurare. Yasmine Ouirhrane tirò dritto per la sua strada e in due anni ha lavorato con l’Unione Europea in paesi terzi, è stata nominata Giovane esperta in pace e sicurezza dall’Unione Europea e dall’Unione Africana ed è diventata un riferimento privilegiato per chi ha bisogno di un’opinione plurale sulle questioni mediorientali interpellando una sola persona, come ce n'è bisogno ora per la crisi che sta costringendo all’esodo migliaia di afghani, soprattutto donne in fuga dallo oppressione talebana. Yasmine Ouirhrane è la fondatrice di WeBelong, la piattaforma con podcast che amplifica la voce e le difficoltà delle giovani donne figlie di immigrati in Europa. Lei è una di loro e se riassume in una sola persona molti punti di vista è perché suo padre viene da El Jadida, una città di mare vicino a Casablanca, sua madre è per metà siciliana e metà pugliese, lei è nata a Biella ma ha vissuto per un po’ in Francia, dove ha studiato Relazioni internazionali, ha preso un master in Partenariato in California, e ora vive e lavora a Londra. Il suo impegno è iniziato a 16 anni, quando ha lasciato l’Italia per la Francia, età in cui si è resa conto di quante disuguaglianze ci sono nella nostra società e soprattutto nell’intersezione fra l’essere donna e figlia di immigrati. Con WeBelong ha iniziato a raccontare le problematiche affrontate dalle nuove generazioni in giro per l’Europa ma vuole lanciare anche nuovi modelli per le next generation.

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Courtesy Yasmine Ouirhrane
Yasmine Ouirhrane (la quarta da dx) con l’ex alta rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza Federica Mogherini (alla sua dx)

“Non sono afghana, non sono legittimata a parlare a nome delle afghane”, premette con modestia, “però lo faccio perché è importante che qualcuno dia loro voce in questo momento, perché hanno paura di parlare in prima persona”. Yasmine ha collaborato con attiviste afghane di cui stanno sparendo i profili social senza clamore: “li stanno chiudendo loro stesse perché hanno paura, sono nascoste; quando si parla di sicurezza nel cosiddetto Sud del Mondo, se si parla di una catastrofe come ad Haiti, o di un contesto di guerra o di assenza di un governo dove si ha a che fare con entità violente, le donne sono sempre le prime a pagarne il prezzo. Rischiano stupri, rischiano di essere strappate via dagli studi”. Poche ore dopo la presa di Kabul, il portavoce dei talebani Zabihullah Mujahid ha dichiarato che il suo gruppo vuole la pace e saranno rispettati i diritti delle donne secondo la legge islamica, gli si deve credere? “Ovviamente i talebani ora sono sotto una pressione internazionale fortissima, gli conviene dire queste cose, poi cosa accadrà davvero non lo possiamo sapere”, spiega Yasmine “resta il fatto che chiunque abbia avuto un ruolo nelle organizzazioni internazionali o nel governo caduto si sente a rischio”. È il caso di Zarifa Ghafari la prima donna eletta sindaco in Afghanistan nel 2018 a Maidan Shahr, il capoluogo della provincia di Wardak, che ha solo 27 anni e già detto: “mi aspetto da un momento all’altro che vengano a prendermi”. È il caso di Fawzia Koofi, l’attivista eletta dal World Economic Forum Young Global Leader 2009, che ha preso parte ai negoziati di Doha nel 2020 e già per questo ha rischiato la vita in un attentato. Hanno tutte bisogno di aiuto, ma c’è una cosa a cui Yasmine Ouirhrane vorrebbe che si mettesse fine: “smettete di infantilizzare le donne afghane: io ne ho conosciute molte veramente coraggiose che durante il processo di pace hanno cercato in tutti i modi di essere incluse e di far sentire la loro voce proprio in quanto donne, ce n’è una con cui sono in stretto contatto che non posso nominare perché è in pericolo. Il nostro sguardo europeo, che tende a ridimensionarle con la pietà, le priva di potere. Dobbiamo aiutarle, certo, ma non immaginandole inermi”. Questo concetto di incoraggiare l’inclusione delle donne nei processi di pace fa parte di un movimento molto più ampio di cui una paladina è Hajer Sherief, fondatrice di Together We Build It, insieme alla quale Yasmine lavora sulla risoluzione delle Nazioni Unite Women, Peace and Security, entrambe membri della Gender Innovation Agora il forum consultivo di UN Women Arabic per promuovere il ruolo delle donne nella regione. "Quando gli stati Europei e l’America cercano di portare avanti certi negoziati le donne devono esserci, perché è statisticamente provato che quando ci sono il processo di pace ha più chance di stabilità e durata. Nei negoziati del 2020 per l’Afghanistan, ad esempio, le donne erano solo il 10%". E il risultato lo stiamo vedendo.

Quello che serve ora è fare in modo che le attiviste di quella fase, che vivono in attesa che bussino alla loro porta per prelevarle, ricevano asilo politico: "dobbiamo ricordare che loro erano lì a firmare", dice Yasmine, "Certo, la situazione è complicata, gli afghani si sono anche sentiti traditi dal loro governo, ma è importante che ogni paese prenda un impegno di accoglienza e che non rimanga a guardare. Molte persone anche in Italia si offrono di dare ospitalità nelle loro case, e a volte può essere meglio di alcuni centri di accoglienza: stamattina a Nord della Francia la polizia è intervenuta per sbaraccare la tendopoli, oggi con i social non si può più nascondere nulla. Bisogna aprire i corridoi umanitari, ma ovviamente si spera di riportare un giorno il paese alla normalità”. E con il ritorno alla normalità, le donne devono tornare ad affrontare trattative con i talebani come stava succedendo, un faccia a faccia molto forte, "la libertà bisogna prendersela, senza aspettare che la conceda chi te la nega”, dice Yasmine che vuole che in Europa si impari anche a distinguere la situazione di una musulmana come lei da quella di un’afghana: “Io porto il velo perché è una mia scelta ma mi sento libera di uscire domani senza portarlo, bisogna riflettere su episodi di controllo del corpo femminile che accadono anche in Europa, come la multa che è stata inflitta alle giocatrici della pallamano norvegesi per non aver voluto indossare la divisa-bikini sessista alle Olimpiadi. Qui siamo in democrazia, ma noi donne siamo ancora molto lontane dal poter fare ciò che vogliamo del nostro corpo”.

In apertura il ritratto di Yasmine Ouirhrane è di Ezzidin Alwan.