Chiamo. Squilla. Non risponde nessuno. Attacco. Un secondo dopo il mio telefono suona. “Scusa se non ti ho risposto prima ma ero accanto al mare, è un po’ agitato, mi sono dovuto allontanare sennò non avresti sentito niente”. A una manciata di giorni dal suo approdo sulle sponde della Serenissima, dove alla 78esima edizione del Festival del Cinema di Venezia presenterà lo short movie di Campari Red Diaries 2021: Fellini Forward in cui interpreta il giovane Federico Fellini, Simone Coppo (si) interroga davanti alle acque di un’altra costa, quella amalfitana, dove si è appena trasferito. Nota bene: la storia dietro il suo trasferimento potrebbe essere già di per sé la scenografia di un film.

Un progetto ispirato agli ultimi periodi del regista de La Dolce Vita che, attraverso l’uso di tecnologie di intelligenza artificiale e machine learning, esplora il genio creativo dell’uomo che si definiva "un artigiano che non ha niente da dire, ma sa come dirlo”. Fellini Forward è l’ultimo dei lavori su grande schermo di Simone Coppo, protagonista di produzioni nostrane e internazionali da tenere d’occhio, e pure molto. Da The Story of my wife insieme a Léa Seydoux alla serie americana con Mark Ruffalo I know this much is true, passando per The Restaurant, la serie scandinava più di successo di sempre, per citarne alcuni. Nota bene bis: è di recente stato nominato testimonial della Scuola d'Arte Drammatica Paolo Grassi, accademia in cui si è diplomato come attore nel 2013.

Ma non ti fa un po’ paura interpretare Fellini?
Fellini è patrimonio d’Italia, è diventato anche un aggettivo, felliniano, da quanto è enorme. Quando ti confronti con una potenza dell’immaginario collettivo di questa portata, penso che il modo migliore che hai per rispettarla sia (ri)portare l’autenticità e l’unicità della persona nel tuo personaggio. Io ho pensato di farlo portando il mio vissuto. E l’elemento che mi lega indissolubilmente a lui è il rapporto con il sogno. Il sogno è forse l’unica cosa che non ha data di scadenza, che può accomunare un ragazzo nel 2021 a Fellini. Mentre recitavo, immaginavo che lui fosse lì, io mi giravo e gli parlavo, gli dicevo “come pensi di star venendo?”, e lui ridendo “va bene va bene”.

Al film hanno lavorato amici, parenti e storici collaboratori di Fellini, chissà quali sono state le prime cose che hai chiesto di lui…
Ero un fiume in piena, chiedevo “cosa avrebbe mangiato per pranzo?”, “cosa avrebbe fatto in questo momento o in quest’altro?”, ho chiesto di tutto e dall’altra parte ho avuto la fortuna di trovare persone che me lo raccontassero, che stessero al mio gioco. È una cosa che mi ha fatto molto riflettere, ognuno di noi lascia ricordi indelebili sulla pelle degli altri. E infatti tutto questo progetto nasce dal desiderio di celebrare il ricordo, la coscienza e conoscenza popolare su cos’era Fellini, ciò che ha donato al mondo dal punto di vista artistico e personale.

E cos’era Fellini?
Un sognatore libero che non è mai sceso a compromessi con i suoi sogni.

Tu sei un sognatore.
Quella dei sogni è la tematica a me più cara nella lettura della vita, e lo è stato anche per Fellini.

Okay adesso raccontami la storia del trasferimento o, come la chiami tu “l’avventura astrale”.
Giuro, è una storia che unisce il piratesco agli astri. Allora, di recente mi sono trasferito in prossimità dell’acqua, un elemento che amo molto e che mi era mancato molto, sono stato parecchi anni in giro per il mondo a girare film. Insomma, decido di tornare in Italia, inizio a cercare case ovunque, l’importante è che fossero vicino al mare. Chiamo, scrivo, mando mail, aspetto risposte, finché non mi arriva una telefonata e il proprietario di quella casa mi dice che era libera e potevo andare, si trovava a Castel Gandolfo. Mi gira l’indirizzo, lo scrivo su Google e la prima cosa che mi spunta è che lì davanti era stata girata la scena finale di Le notti di Cabiria. La trovo una cosa epica, decido di trasferirmi lì. Tre mesi dopo mi chiamano per un provino, ed era per questo film su Fellini. Devo aggiungere altro?

Direi di no. Ma tu quando hai sentito parlare per la prima volta di Fellini? Puoi dirmi anche che la prima volta che hai visto un suo film non ti è piaciuto eh…
Avevo 18 anni, vado in videoteca e chiedo al proprietario di consigliarmi 4 dvd che secondo lui avrei dovuto vedere assolutamente. Uno di questi era La Dolce Vita. Guardando la copertina ho pensato sarebbe stata una noia mortale, era pure in bianco e nero! Ma dal momento in cui ho schiacciato play non sono riuscito a staccare gli occhi dallo schermo. Ho subito sentito che, anche se parlava un linguaggio diverso dal mio, celebrava un culto del sogno simile al mio, ho subito sentito un fortissimo legame dialogico fra me e Fellini, a prescindere dall’epoca in cui abbiamo vissuto, sentivo fosse una persona collegata a me, mi parlava la lingua dei sogni.

In passato sei stato artista di strada, rapper e prestigiatore, tutti lavori di strada, pragmatici, concretissimi, come fanno a convivere con il tuo animo fatalista?
La strada è crudezza e ti insegna proprio che l’unica cosa certa nella vita è che non c’è nulla di certo, tutto può succedere. Il mio animo unisce questi due mondi, con la consapevolezza che il mare deciderà quali onde mandarti e lì non c’è nulla da fare, non c’è da opporsi, quello che puoi decidere tu è come cavalcarle. Pensa che da ragazzino facevo l’autostop per andare a scuola tutte le mattine, ho incontrato una quantità di persone magnifiche, oniriche. Il pollice lo davi alla strada e poi arrivavano delle macchine, era come surfare sul fatalismo, quando le cose arrivano tu puoi decidere se salirci o no. Penso che nella vita ci sia bisogno di rischiare, osare, lanciare il cuore oltre, lanciare il pollice. Avere la pretesa di decidere quali onde arrivano non è affar nostro. Come dice una vecchia frase del libro Novecento: se quella tastiera è infinita, allora su quella tastiera non c'è musica che puoi suonare. Tu sei seduto sul seggiolino sbagliato: quello è il pianoforte su cui suona Dio.

Ma c’è una volta in cui non hai improvvisato?
Esistendo. Perché nel momento in cui ti rendi conto di essere una delle miliardi di manifestazioni della vita, pensare di pianificare è una cosa contro natura. Ho l’istinto al timone della mia vita ma sento anche di avere la sensazione fissa di un orizzonte che chiama, una Itaca ma con voce allettante di sirena. Il viaggio, la vita, è imprevedibilità, è un’onda dopo l’altra, ma con un’urgenza di sottofondo, un campanello che mi dice vai in quella direzione, trova il modo di portare il tuo contributo per questa meraviglia di pianeta, trova il modo di raccontare delle storie.

Nei prossimi mesi sarai in tv su Raiuno con Il giro del mondo in 80 giorni. Qual è il primo posto dove torneresti dopo averlo fatto?
In Italia ma non in una città di preciso, in un luogo, il bar. Il classico vecchio bar italiano a conduzione famigliare, di quelli di paese, sonnecchiosi, dove c’è un signor nonno che ti prepara il caffè. Ho un amore viscerale per i luoghi di passaggio. L’Italia tutta, se ci pensi, è un luogo di passaggio, lo è sempre stato, di civiltà in civiltà. Per questo sorrido quando c’è chi dice “prima gli italiani”, ma chi sono “gli italiani”? Siamo fatti di sangue mischiato ad altro sangue di qualsiasi etnia.

Secondo te l’industria cinematografica italiana si sottovaluta? Fa bene, fa male, o lo dicono solo gli altri?
Mi sento un gitano anche nel mio lavoro, avendo lavorato molto all’estero ho tanti parametri di confronto e quello di cui sono certo è che in Italia ci sono professionisti che dal lato artistico a quello tecnico sono eccezionali a livello mondiale. Però il problema è che l’industria cinematografica nostrana non punta mai al rialzo, gli ultimi film italiani andati molto bene a livello di incassi avevano una caratteristica di fondo ovvero degli investimenti molto coraggiosi. Pensa che Federico Fellini quando ha girato La Dolce Vita avrà mandato sul lastrico un sacco di produttori, un film costosissimo, però ha creato un immaginario eterno, siamo qua ancora a parlarne di questo film, e sono passati 60 anni… Cioè Fellini non avrà mai detto “voglio girare La Dolce Vita ma non voglio fare la scena del bagno nella Fontana di Trevi perché costa troppo”. Okay, erano altri tempi, c’erano altri budget, però se vuoi saltare un muro non puoi fare un salto da 3 metri ma da 4. Capisco bene che far cinema sia costoso, rimanere fedeli con i propri sogni è costoso.

Cosa pensi ti dirà Fellini quando si riaccenderanno le luci alla fine della proiezione a Venezia?
“Seguila”. Sembra una parola strana ma se guardi il film capirai…

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Eleonora De Luca