Dietro molte delle oltre 500mila firme che in pochi giorni hanno sottoscritto online e fisicamente il referendum sulla cannabis legale, c'è la volontà popolare di un reset nella concezione della marijuana. Dietro ci sono soprattutto le vite di chi ne fa uso -o ne ha fatto- tra leggi, diciture, stigma sociale e stereotipi atavici. Anni e anni di slogan e media hanno alimentato un magma di confusione, paura e pregiudizio, a volte stravolgendo le corrette informazioni sull'uso della cannabis terapeutica nella cura di vari tipi di malattie, disturbi e patologie gravi, anche neurodegenerative. Queste storie vogliono provare a presentare un ventaglio più esaustivo possibile di ciò che ha portato alla nascita del referendum sulla cannabis legale.

(M., medico) "Non mi è successo molte volte di prescriverla. In un caso, è stato proprio il paziente a chiedercelo: un anziano di 80anni in casa di riposo, ex professore, molto intelligente, che chiede a due medici 30enni di poter utilizzare marijuana terapeutica per i dolori da artrite reumatoide. Io e la collega siamo caduti dalle nuvole. Ci siamo resi conto di essere sempre stati favorevoli a parole, ma nei nostri corsi di laurea nessuno ci ha mai davvero formato sull'utilizzo della cannabis legale nelle terapie. Il percorso per poterla prescrivere effettivamente è complesso e tortuoso. Siamo partiti da tentativi con le formulazioni, nello specifico l'olio essenziale che già dà ottimi risultati, e da lì abbiamo iniziato a pensare a quali pazienti potesse interessare. Con una lista di nomi, siamo andati prima alla direzione e poi dai familiari. La direzione era perplessa, aveva paura di finire sui giornali o in tv, paura della reazione dei familiari, paura di "lanciarsi" in questa novità. I colleghi più anziani reagivano tendenzialmente prendendo le distanze, per poca conoscenza e per gli stessi timori. Con i familiari temevamo il peggio, invece in linea di massima si dicevano tutti favorevoli: ma al momento effettivo della decisione procrastinavano. Spesso sono i familiari a dover reperire fisicamente il farmaco; per il primo acquisto, quasi tutti mi hanno chiesto se potevo andarci io, perché si vergognavano. Tutt'ora è un argomento che trovo difficile da affrontare con la maggior parte dei familiari dei miei pazienti e con la direzione della struttura in cui lavoro. Non si tratta di diffidenza nei confronti dei risultati e della sicurezza, è sempre e solo per l'opinione pubblica che ne deriva."

Cosa dice la legge sulla cannabis terapeutica in Italia? Dal 2006, in Italia i medici possono prescrivere terapie a base di cannabis coltivata dietro autorizzazione dell'Organismo nazionale per la cannabis. Il range delle patologie è suddiviso in tre macroaree: terapie del dolore, coadiuvanti antinausea nei trattamenti neoplastici (chemioterapie e radioterapie nella cura dei tumori) e disturbi come la sindrome da stress post-traumatico. L'elenco specifico parla di "impiego nel dolore cronico e di quello associato a sclerosi multipla e a lesioni del midollo spinale; nella nausea e vomito causati da chemioterapia, radioterapia, terapie per HIV; come stimolante dell’appetito nella cachessia, anoressia, perdita dell’appetito in pazienti oncologici o affetti da AIDS e nell’anoressia nervosa; l’effetto ipotensivo nel glaucoma; la riduzione dei movimenti involontari del corpo e facciali nella sindrome di Gilles de la Tourette".

(A.) "Ho fatto uso di cannabis sporadicamente da quando avevo 14 anni per alleviare lo stress patologico diagnosticato quando ero ancora una bambina. Da due anni a questa parte però, fumo ogni sera prima di andare a dormire a seguito di uno shock post-traumatico per uno stupro. Prima di questa scoperta dormivo tre ore se andava tutto bene, facevo incubi ricorrenti su quella notte e di giorno ero continuamente nervosa. Una sera ho fumato per caso prima di dormire e per la prima volta, dopo tre mesi, sono riuscita a dormire quasi sei ore senza ricordare niente di ciò che avevo sognato. Da due anni ne faccio uso la notte per non ricordare ciò che sogno e vivere una vita normale. È stata la mia psicologa a consigliarmela anche se lei non può prescrivermela, quindi la compro per conto mio. Mi aiuta a stare tranquilla, a lavorare e a non avere più paura di dormire. Mi ha letteralmente salvato la vita per superare ciò che è successo e non doverlo rivivere ogni notte".

La confusione informativa, la macchina burocratica e i pregiudizi di natura etica in Italia hanno limitato da sempre l'accessibilità a questa tipologia di cure. La formazione dei medici e il riconoscimento delle competenze per le prescrizioni spettano ai sistemi sanitari regionali, ma le disparità sono molte: a oggi le regioni con provvedimenti sull'erogazione di medicinali a base di cannabis sono Puglia, Toscana, Veneto, Liguria, Marche, Friuli Venezia Giulia, Abruzzo, Sicilia e Umbria. Sul rimborso dei medicinali non esiste una linea guida unica dello Stato, la decisione è appaltata alle singole aziende sanitarie regionali. La possibilità di prescrivere cannabis terapeutica è disciplinata dal DM 9/11/2015 e ha un'applicazione molto rigida: principalmente è indicata in caso di inefficacia delle cosiddette terapie convenzionali o standard, è limitata e va ripetuta ogni volta. La legge prevede che la "sostanza attiva presente nelle infiorescenze essiccate e macinate" si assuma sotto forma di decotti o vapore con appositi inalatori (simili a quelli che si usano per alleviare gli attacchi allergici), negli ultimi tempi si parla molto anche di olio essenziale e gocce. La distribuzione è affidata alle ASL e alle farmacie. Dal 2007 è possibile importare in Italia Bedrocan, Bediol, Bedrobinol, Bedrolite, Bedica e Sativex, quest'ultima specificatamente usata nella cura dei dolori da sclerosi multipla (combinata di cannabidiolo (CBD) e delta-9-tetraidrocannabinolo (THC), i due principi attivi della marijuana: il primo ha effetti rilassanti e calmanti, il secondo è invece lo psicoattivo propriamente detto).

(E.) "Mio padre era malato di sclerosi multipla. Intorno al 2007, quando ero adolescente, lo accompagnavo a fare fisioterapia perché si era aggravato e la sua dottoressa parlava delle cure all'estero con farmaci a base di cannabinoidi. In Italia invece se ne parlava poco, la terapia era ancora in fase sperimentale. Un amico di papà, malato di SLA, partecipò a questa sperimentazione. Era una persona che semplicemente alzandosi o sedendosi urlava dal dolore. L'ho incontrato una volta sola, mi fece una battuta tipo "voi giovani e le canne" ma rivelò che quei farmaci gli stavano davvero cambiando la vita: un giovamento temporaneo, ma c'era. Aveva la gioia negli occhi. Un'altra signora, una "collega" come la chiamava papà, era un'ex atleta con una malattia neurodegenerativa scoperta a 50 anni. Aveva avuto un tracollo fisico, impossibilitata a fare lo sport che amava era caduta in depressione, nemmeno mangiava: le mancava la voglia di vivere, diceva mio padre, che invece è sempre stato molto attaccato alla vita. Questa signora partecipò alla sperimentazione e oltre ad avere miglioramenti sul dolore, le tornò anche l'appetito".

Le vite delle persone sono già complicate dalle patologie, e leggere di accuse di spaccio ai danni di malati che fanno uso di cannabis terapeutica indigna ancora di più. Perché evidenzia i limiti di una legge che non tiene conto degli studi contemporanei e a volte nemmeno delle necessità della singola persona. La figura del consumatore/spacciatore contribuisce a ingigantire la convinzione che chi usa cannabis terapeutica sia drogato. Emblematica la storia di Walter Di Benedetto, malato di sclerosi multipla denunciato e processato per aver coltivato nel suo giardino le piante di cannabis che gli servivano per alleviare i dolori della malattia, che è stato definitivamente assolto ad aprile 2021. Il suo caso è diventato simbolo della necessità di integrazione alla regolamentazione dello spinoso campo dell'autoproduzione, sottolineando uno dei grandi problemi della cannabis di Stato, ossia la scarsa disponibilità della risorsa pubblica a fronte di una sempre maggiore richiesta da parte dei pazienti.

(M.) "Ho avuto il Covid e al termine mi hanno diagnosticato la sindrome fibromialgica. Il medico mi ha prescritto psicofarmaci come cura e i primi quattro giorni non riuscivo neanche ad alzarmi dal divano, ero intontita. Ho chiesto che diminuisse le dosi sennò non riuscivo nemmeno a vivere. Oggi prendo solo due medicine e faccio Pilates con le macchine perché mi allunga i muscoli, ma non basta perché i dolori sono lancinanti. Sto aspettando l'appuntamento con un neurologo che prescrive le gocce di cannabis a chi ha questa malattia".

La cannabis per uso medico è prodotta dallo Stato italiano dal 2016 per garantire l’accesso alle terapie a costi adeguati e in modo sicuro. Attualmente sono due le sostanze attive a base di cannabis: la FM2, a maggiore contenuto di CBD, e la FM1, che invece ha una percentuale più alta di THC. Entrambe vengono prodotte nello SCFM, lo Stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze messo a disposizione dal Ministero della difesa, sulla base dei dati di richieste dell'anno precedente, come riporta il sito del Ministero della salute. Le piante sono sottoposte a scrupolose analisi per verificare le concentrazioni dei principi attivi: essendo un medicinale a tutti gli effetti, i passaggi che portano alla distribuzione vanno controllati attentamente. Sulla carta, una macchina perfetta. Ma ciò che manca è la quantità: l'attuale produzione copre solo il 20% della richiesta di ospedali e farmacie. Per sopperire ci si rivolge all'estero, nello specifico all'Office Of Medicinal Cannabis in Olanda che dipende dal Ministero della salute olandese. Ma quest'anno, riporta Il Venerdì di Repubblica, gli orange hanno avvisato l'Italia che ci sarà un limite importante alle esportazioni. La domanda continua ad aumentare, come dimostrano i dati del consumo a scopo medico, ma le vie per ottenerla sono tutte illegali. Rivolgersi agli spacciatori (che per quanto di fiducia difficilmente si rivolgono a laboratori per arrivare dal cliente con l'analisi dettagliata degli attivi) alimenta il mercato gestito dalla criminalità organizzata, col rischio doppio di ricevere cannabis di pessima qualità e di andare sul penale. L'autoproduzione, per quanto illecita oltre certi quantitativi, sembra essere l'unica via certa di approvvigionamento nei casi estremi, ma anche in questo caso è impossibile analizzare chimicamente i quantitativi dei principi attivi, oltre al sempiterno pericolo di arresto per detenzione di stupefacenti. È questo uno degli snodi assurdi su cui è impossibile arrendersi: per cambiare la percezione sull'uso di cannabis terapeutica c'è ancora tanto lavoro da fare. E un piccolo inizio, per quanto minimo, sono le storie delle persone che ci stanno accanto.