La Camera ha approvato la legge che mette un freno al Gender Pay Gap, l’ingiustificato divario salariale fra uomini e donne a parità di competenze, una piaga sociale fatta di pregiudizio sulle donne e sulla presunta incapacità di portare avanti seriamente un impegno a causa delle gravidanze, ancora oggi considerate nel mondo del lavoro un handicap invece che un valore collettivo. Il riconoscimento dei diritti ha un effetto domino. Eravamo rimasti alla Lombardia dove nel 2019 la consigliera Paola Bocci aveva presentato per prima un progetto di legge regionale che garantisse veramente lo stesso compenso a donne e uomini nella sua regione, a parità di competenza, “perché le leggi e la Costituzione lo impongono già”, spiegava al tempo Paola Bocci a MarieClaire.it, “ma è con il tempo che alle donne vengono negati gli stessi aumenti che, intanto, i datori di lavoro stanno riconoscendo ai colleghi maschi a parità di impegno”. La stessa legge è stata poi presentata e approvata in altre regioni, come il Lazio, il cui consiglio ha approvata quest'anno, all’unanimità, la proposta di Eleonora Mattia che prevede anche lo stanziamento di fondi per contrastare il fenomeno e valorizzare le competenze sottovalutate delle donne. La legge sulla parità salariale tra uomo e donna è passata in Parlamento il 13 ottobre 2021 con 393 voti favorevoli, e ora deve essere messa al voto in Senato, la vicepresidente del Anna Rossomando ha garantito: “Siamo pronti a votarla per renderla definitiva”. Relatrice del disegno, che ha coinvolto parlamentari di tutti i partiti, è l’onorevole Chiara Gribaudo: “Questa legge non riguarda solo le retribuzioni: con il voto di oggi alla Camera siamo a un passo dall’istituire anche in Italia un meccanismo di trasparenza e garanzia per milioni di donne lavoratrici, una legge che garantisca i diritti di ciascuna sul luogo di lavoro, dal reclutamento alla retribuzione fino alle opportunità di carriera", ha detto Gribaudo. Ma cosa cambierà, esattamente?

Molte cose, tutte in meglio. Le aziende con più di 50 dipendenti dovranno pubblicare ogni due anni un rapporto sulla parità di trattamento tra donne e uomini all’interno dell’azienda. Sul sito del ministero del Lavoro sarà possibile consultare l’elenco delle aziende che hanno compilato e consegnato il rapporto e di quelle che non l’hanno compilato, un vero e proprio monito pubblico per le donne in fase di assunzione da una di queste aziende, ma anche un’occasione per loro, e per i colleghi maschi consapevoli, per fare pressione sull’azienda che non accetta questo tipo di trasparenza. In ogni caso, saranno previste sanzioni per le aziende con più di 50 dipendenti che non accetteranno di pubblicare il rapporto. Dal 1 gennaio 2022 le aziende virtuose potranno chiedere una certificazione di genere che attesta il loro rispetto della parità salariale a parità di mansioni, delle politiche di gestione delle differenze di genere e l’attenzione alla tutela della maternità. Sono previsti incentivi contributivi e fiscali per le aziende che otterranno la certificazione di genere grazie allo stanziamento di 50 milioni di euro all’anno, e multe dai 1000 a 5000 euro per chi presenta un rapporto falso o incompleto. Infine, nelle società partecipate, dovranno essere garantiti 2/5 del Cda al genere meno rappresentato. “Oggi è una giornata da ricordare. La Camera ha approvato la legge di Chiara Gribaudo per la parità salariale”, ha scritto suoi social anche la deputata Lia Quartapelle della Commissione Esteri, che da economista ed esperta anche di Medioriente è particolarmente sensibile alla sottovalutazione femminile professionale, ed è una delle più entusiaste per questo passo: “le donne italiane guadagnano il 23,9% in meno degli uomini, secondo l’Istat: Ora la legge passa al Senato, che deve fare presto!”.