Paolo Di Paolo? “È un tesoro nazionale per l’Italia come lo è Cecil Beaton per l’Inghilterra e Henry Cartier Bresson per la Francia. Di lui mi ha sempre colpito quella ricerca di autenticità che va oltre la sensazionalità del soggetto rappresentato”. Un grande della fotografia come Bruce Weber non ha dubbi sul suo collega (e oramai amico) originario del piccolo paese di Larino, in provincia di Campobasso, finito a fare il fotografo per caso. Lo racconta nel bel documentario che gli ha dedicato - Paolo Di Paolo: un tesoro di gioventù, presentato in esclusiva alla 16esima Festa del Cinema di Roma, il terzo dopo i successi di “Broken Noses” e “Let’s Get Lost” - e ce lo conferma anche a voce. “Di Paolo – aggiunge Weber – è stato il protagonista e il testimone di un’epoca in cui tutti avevano in tasca la ricchezza della fantasia”. “Guardare le sue foto, mi riporta all’infanzia trascorsa in Pennsylvania (Weber è nato nel 1946 a Greensburg, ndr) e alle serate trascorse con mia madre, mio padre e mia sorella al cinema, dove andavamo a vedere i classici europei, in particolare i film italiani. L’Italia è meravigliosa, complicata e gloriosa allo stesso tempo: è un Paese unico. Guardare un film come La Ciociara, ad esempio, mi aprì gli occhi su come era la vita degli italiani che vivevano in montagna durante l’occupazione tedesca. Mi emozionai quando la Loren in tv l’America per l’Oscar ricevuto. Era a casa sua, in accappatoio bianco: mi fece innamorare quella vostra idea di fantasia e quel vostro romanticismo che ho ritrovato nelle foto di Paolo. Se la mia anima è stata toccata e continua ad esserlo ancora oggi, lo si deve proprio alle sue foto, veri e propri versi dell’età dell’oro e della poesia romana”.

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I due si sono conosciuti per caso, “per strada, è il caso di dirlo”, spiega Weber, “mentre girovagavo per via della Reginella, nella galleria Museo del Louvre. Sono quasi svenuto di fronte alla collezione del proprietario, Giuseppe Casetti: c’erano foto di Mastroianni, Masina, Visconti, Pasolini e tanti altri firmati da un solo nome, Paolo Di Paolo”, cioè il fotogiornalista oggi 96enne che con la sua Leica riuscì a cogliere dal 1954 al 1968 l’immagine di un Paese, il nostro, che usciva a fatica dalle devastazioni della guerra, dalle ferite della dittatura e dalla povertà. Lo fece ritraendo persone comuni come persone molto note del cinema e della letteratura senza filtri, da Giorgio De Chirico a Elizabeth Taylor, da Grace Kelly a Rudolf Nureyev, Ezra Pound e Tennessee Williams. Dopo gli studi in Filosofia, Di Paolo iniziò a collaborare per più di dieci anni con Il Mondo e rotocalchi di grande diffusione come Tempo. Poi, con la chiusura di quel giornale e con l’avvento del giornalismo degli scandali e dei paparazzi, decise di smettere di fotografare. “Quella scelta è per me incomprensibile”, ci dice Weber, “ma oggi, conoscendolo, ho capito che smise di fotografare per quell’amore della fotografia che ci unisce”. “Si ritirò a vita privata in campagna con la sua giovane assistente Elena – che poi divenne sua moglie - dedicando il resto della sua vita alle attività intellettuali, alle passioni personali, al suo lavoro di storico ufficiale dei Carabinieri, ai suoi due figli, Silvia e Michele”. Fino a iniziare una nuova vita proprio grazie a Silvia che, venti anni fa, scoprì nel seminterrato della casa dei suoi genitori uno schedario pieno di negativi e di scatole Agfa arancioni piene di stampe. Ignara di tutto, chiese spiegazioni al padre che le rispose così: “Una volta ero fotografo”. Silvia si ritrovò davanti a un archivio immenso, ricco di un fascino carico di mistero. “Il mistero della storia di quell’uomo straordinario, però – fa notare Weber – resta”. “Perché mai uno così decise di voltare le spalle in una maniera così radicale a quella vita glamour, perché mai voler cancellare ogni traccia della sua identità precedente?”. Partendo da queste domande, il film - dedicato a Piero Tosi e ancora senza una distribuzione italiana (ma la presenza con noi alla cena di Andrea Occhipinti di Lucky Red ci fa ben sperare) - va così ad esplorare quello che Weber definisce “un viaggio di auto-invenzione, di perdita e di redenzione di Di Paolo, una storia di glamour e di intrighi, piena di luminari, attrici e aristocratici, la storia sul potere di guarigione dell’arte e sulla ricostruzione di un uomo, della sua eredità e della connessione al mondo”. Sono tanti i momenti poetici e divertenti che sommano e confondono tra loro, come quando Di Paolo risponde al nipote che gli chiede “chi è quella signora della foto” (la Lollobrigida) o “chi è quel signore che ha scritto Gli Indifferenti”, cui aggiunge poi i racconti del Ballo Pallavicini, “un safari fotografico”, il primo scoop fotografico da lui realizzato “in cui gli uomini sembravano delle mummie, ma anticipatori di stili e tendenze. “Il Gattopardo – aggiunge - è venuto dopo”. A 96 anni, da poco compiuti, oggi Di Paolo sembra aver fatto i conti con il suo formidabile passato, ma la sua idea non è cambiata. Ha deciso di smettere e di ricominciare in tal senso, tra celebrazioni in pompa magna al Museo Maxxi di Roma che gli ha dedicato la sua prima retrospettiva e il backstage realizzato per la sfilata di Valentino, di nuovo con la macchina al collo – questo è vero – ma sempre fedele a se stesso.

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