Il makeup è un modo per conoscersi, perché ci fa guardare il nostro viso in maniera diversa». Parola di Charlotte Gainsbourg. La figlia di Serge Gainsbourg e Jane Birkin è testimonial di una collezione trucco per Nars e ci ha rivelato che è stata la realizzazione di un sogno.

Ha sempre coltivato l’idea di una bellezza naturale. Cosa l’ha spinta a mettere la sua firma su una linea di makeup? L’idea iniziale è stata proporre qualcosa che avrei indossato io stessa. È stata una scelta egoistica! Dopo anni di lavoro a contatto con i makeup artist ho capito quello che mi piace e mi sta bene e cosa invece non mi si addice. Adoro la trasparenza, leggere le emozioni attraverso la pelle.

Che sentimenti accosta al mondo della bellezza? La parola giusta è nostalgia. Ho avuto un’infanzia molto speciale e i ricordi sono un bene prezioso, specialmente adesso che non ho più accanto persone a cui volevo molto bene.

Cosa la colpisce del processo di creazione del makeup? È un’esperienza molto interessante. Ho sempre lavorato nel mondo del cinema, della musica e della moda e per la prima volta mi trovo in un campo completamente nuovo ed eccitante. È stato divertente aggiungere il mio nome a un logo già affermato. Un altro aspetto che mi è piaciuto tantissimo è trovare i nomi di gloss e ombretti. Molti sono nostalgici e appartengono alla mia infanzia, ma li amo tutti. Per esempio Old Church Street è la via di Londra dove abitavano i miei nonni. Come avere un linguaggio segreto.

Qual è il suo lato British e quando invece si sente una vera francese? Londra e Parigi sono i luoghi per me più importanti. E adesso aggiungo New York, dove mi sono trasferita da due anni e mezzo. Politicamente mi fa paura, ma nello stesso tempo amo questa città che ho imparato a conoscere da poco. Trovo sia meraviglioso scoprire nuovi posti nella maturità della vita, avere altre chance. Anche Venezia è un luogo del cuore. Ho voluto seguire le tracce dei miei genitori che la amavano molto. Una volta sono andata con Yvan (il regista Attal, compagno dell’attrice, con cui ha avuto tre figli, ndr). Avevo diciannove anni e ho chiesto a mia mamma dove potevo portarlo per il primo compleanno che avremmo trascorso insieme e lei mi ha risposto: «Assolutamente a Venezia». Gli ho fatto chiudere gli occhi, abbiamo preso un treno notturno e tutto è stato così romantico... Ci torniamo spesso. L’Italia è il paese dove mi piacerebbe vivere in futuro.

Ritornando a New York: è un luogo dove è più facile perdersi o ritrovarsi? In un certo senso è semplice viverci. Prima di partire tutti mi dicevano: «Sei sicura? È caotica, il ritmo è estremamente stressante», ma in realtà non è così. Amo portare a scuola i miei figli, andare al cinema o a teatro con Yvan, ci sono un sacco di stimoli culturali. Non è una città dove mi sono persa e nemmeno dove mi sono ritrovata. Semplicemente qui mi sento diversa. Sono felice di non essere guardata, mi piace andare in bici senza che qualcuno si accorga di me. Sto bene, anche se naturalmente so di essere molto privilegiata.

Che cos'è la musica? Libertà, lavoro, un legame con le sue origini? Fa parte della mia vita: conosco tutte le canzoni di mia madre, ho imparato a suonare il piano a nove anni e mio padre mi ha cresciuta facendomi ascoltare Chopin e Bach.

Ha appena terminato di recitare ne La promesse de l'aube: qual è l’ultima promessa che ha fatto a se stessa? Sono l’unica persona a cui non farei mai una promessa, perché non sarei capace di mantenerla (sorride).