Gli occhi di Victoria Beckham, brillano di felicità: non si tratta dei vent’anni del matrimonio con David che è sopravvissuto miracolosamente ai numerosi tradimenti di lui, finiti sulle pagine dei rotocalchi di gossip e poi caduti nel silenzio tombale della coppia, e di conseguenza, del disinteresse pubblico – ché, se loro preferiscono affrontare la questione nelle mura private di casa, senza video denuncia su YouTube o confessioni fiume nelle Instagram Stories, al pubblico generalista la notizia non sembra più neanche troppo interessante. E, quel sorriso così raro su quel volto sempre rigoroso, non è neanche dovuto (del tutto) ai successi del suo marchio, fondato ormai più di dieci anni fa e divenuto, contro le aspettative, un successo commerciale (tra i 25 brand più venduti su Net à Porter) e di critica. Gli occhi le brillano forse perchè Vic, ex Posh Spice e oggi designer minimal e pacificata, indossa gli ombretti della sua nuova collezione, Victoria Beckham Beauty.

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Se Rihanna ha lanciato la sua avventura nella moda, partendo, saggiamente, da delle sperimentazioni con rossetti e belletti di Fenty Beauty, e Kylie Jenner è riuscita a smarcarsi dal ruolo di “famosa per essere famosa” grazie proprio al beauty department, Victoria ha fatto il percorso inverso. Ma, d’altronde, il successo di highlighter e fondotinta creati dai ricchi e famosi, e non da qualche maison overpriced e priva di un corpo fisico con il quale identificarsi, ridere e soffrire su Instagram, non si poteva prevedere certo dieci anni fa. Dieci anni fa, nel 2009, Victoria Beckham aveva lanciato il suo brand da poco, e non certo sotto i migliori auspici: nessuno, tra i rigorosi addetti al fashion system, si aspettava molto, da una donna che fino all’anno prima si vestiva - e si abbronzava nei centri solari - come Snookie di Jersey Shore. Certo, Posh Spice, la più ossessionata dalla moda, con i little black dress succinti e il caschetto wannabe Anna Wintour, ma aver fatto parte della girl band più pop degli Anni 90, capace di vendere qualcosa come 86,7 milioni di dischi, nelle redazioni dorate e tra il “chi è chi” dei front row, non rappresentava certo una qualità da inserire nel curriculum alla voce Competenze.

Victoria Beckham, nata Victoria Caroline Adams nel 1974, mamma agente assicurativo e poi parrucchiera, papà elettricista, ha l’intelligenza emotiva di chi arriva dalla provincia, e conosce la cattiveria molto meglio di quanto le fashion editor delle riviste patinate e i press office con i loro infiniti formalismi possono immaginare. A quella sfilata, nel 2008, ci era arrivata dopo diversi tentativi: nel 2005 VB Rocks, una sua linea di jeans, a cui segue nel 2006 VDB Style, jeans e profumi che si avvalgono del fattore D di David Beckham, lo yin al suo yang, compagno e artefice di gioie e (molto paparazzati) dolori. Victoria capisce forse che, se vuole essere presa sul serio dall’industria fashion, deve combattere da sola, e fare a meno, almeno sotto la luce dei riflettori, del compagno calciatore dal piede lesto nel Manchester United. La combo estetica alla quale ha dato vita con lui, tra campagne in underwear per Giorgio Armani e il matrimonio– acme stilistico che si alloca poco fuori da Dublino, nel castello di Luttrellstown, nel 1999, con i due vestiti in outfit viola coordinati di Antonio Berardi, e dosi spropositate di crema abbronzante – in effetti fa gridare all’eresia e causa svenimenti tra la pletora di minimaliste stylist devote alla religione di Martin Margiela e Rei Kawakubo. Meglio ripulirsi, e sfoggiare, di fronte a quei maestri e professionisti a cui guarda con la stessa ammirazione con la quale migliaia di ragazzine guardavano lei, quando anni prima era sul palco con Mel C, Mel B, Geri ed Emma, a cantare Spice up your life, un’inaspettata umiltà. Alla prima sfilata la trovano dietro le quinte a sistemare gli orli, nervosa, eccitata. Ai posti assegnati, a New York, dove debutta, si appollaiano fashion editor annoiati, convinti di vedere l’ennesima baracconata pop-trash, magari anche una colonna sonora ad hoc, un medley dei migliori successi delle Spice: qualche assistente particolarmente premuroso, si immagina, porta con sé una bottiglia di sali in caso di cali di pressione dei superiori.

Sfilano solo dieci vestiti, e poi si affaccia con timidezza lei, l’incarnato al naturale, e diafano, e le mani in tasca, quelle stesse tasche delle quali poi correderà sempre pantaloni e jumpsuit, convinta che regalino una postura diversa alle donne, o forse anche una via di fuga elegante, quando si è in imbarazzo, e in ansia, come lo era lei, alla fine di quella prima sfilata. La fashion crowd già pronta a schizzare veleno dai suoi calamai si ferma con la penna a mezz’aria. I vestiti hanno colori chiari, volumi morbidi ma minimali, stampe micro e sofisticate: non sarà la collezione che rivoluzionerà l’Anno Domini 2008, ma è di certo un’idea di donna molto diversa da quella che si aspettavano. Negli anni, stringendo i denti e lavorando senza posa alla ricreazione di un’immagine pubblica – poi comunque criticata per l’eccessiva magrezza e la glorificazione di un certo ideale estetico – Victoria Beckham è sempre meno Posh, l’appellativo che le aveva dato la casa discografica che aveva creato le Spice a tavolino, con un provino al quale si era presentata con l’amica Emma Bunton, poi diventata Baby Spice, e sempre più classy. Il caschetto rigoroso, sempre della stessa identica lunghezza, è forse metafora tricologica di una donna che negli anni non è mai riuscita a sentirsi pienamente rilassata, nella costante ansia di non essere accettata da un mondo che, in effetti, era già pronto ad accoglierla con freddezza artica.

Non aiutano i tradimenti di David, troppi per essere elencati, e che Victoria Beckham saggiamente non commenta mai, sfuggendo ai flash ai quali solo dieci anni prima si era offerta con gioia: nel 2012 le Spice si riuniscono per la cerimonia di chiusura delle Olimpiadi di Londra, Victoria partecipa forse controvoglia. Il gruppo si è sciolto nel 2001, ma non tutte le sue ex compagne hanno trovato una nuova carriera dalla quale sentirsi appagate: Mel B lotta per il riconoscimento della figlia con Eddie Murphy, Geri ha lasciato il gruppo, dando origine allo scioglimento, per inseguire una carriera inizialmente fruttuosa, e che però non segue le orme del successo di Robbie Williams, l’esule dei Take That, Mel C ed Emma scompaiono dai radar. La famiglia però si allarga, e forse è la creazione di quel clan a cui Victoria sembra essere follemente innamorata, a farla sorridere con una tenerezza materna: Brooklyn, Romeo, Cruz e poi Harper, prole che del DNA esteticamente avvantaggiato di David prende zazzera e sorriso strafottente. I capelli, piano piano si allungano, si ammorbidiscono, Suzy Menkes afferma che nessuno può più considerarla meno che una stilista di successo, nel 2016 riceve l’onorificenza come Ufficiale dall’Ordine del impero britannico per i servigi al paese in materia di moda, non certo di musica, anche se Harry da adolescente sognava solo di conoscere Baby Spice.

Per i primi dieci anni del marchio, serena, si decide a tornare a sfilare a casa, in quella Londra dove si può presentare con l’orgoglio di chi ce l’ha fatta, e però ancora le mani in tasca, ormai vezzo estetico che è una coperta di Linus, ma in seta garzata. Dopo l’estate in Puglia, tra i campi in bicicletta con David – oggi appagato dal suo ruolo di principe consorte – e tutta la famiglia al seguito, escluse le fidanzate dei più grandi – ma poi come potrebbe essere possibile, se il ricambio, come richiede l’età di Brooklyn e Romeo, è velocissimo e a volte sfugge persino al gossip, che era rimasto a Chlöe Moretz e ora non sa più a che santo votarsi, tra influencer e aspiranti modelle – arriva l’annuncio della linea di beauty di Victoria Beckham. Per ora l’occhio vuole la sua parte: e quindi via con ombretti e eyeliner. Il domani apparterrà a fondotinta e skin care, sempre che i risultati diano ragione alle previsioni. Inizialmente distribuita online e nel negozio di Victoria di Dover Street a Londra, la beauty venture nasce da un’indagine di mercato condotta dalla stessa Victoria, cliente segreto alle casse dei grandi magazzini, dove chiedeva ai clienti se sapevano i prodotti contenuti in ciò che stavano acquistando, come ha rivelato lei stessa nell’esclusiva al WWD. Nella maggior parte dei casi, la risposta è stata negativa. Quindi pochi ingredienti, semplici e “clean”, tutti elencati chiaramente nelle descrizioni online, con indicazione specifica nel caso si tratti di ingredienti vegan-friendly. L’attenzione alla sostenibilità non manca: se si è cercato di utilizzare meno plastica possibile, il packaging, realizzato da Ezra Petronio, direttore creativo e fotografo di Self Service, è minimale, capace di entrare (ovviamente) in tasca. I materiali che avvolgono i prodotti, pronti ad essere spediti dopo l’ordine online, sono riciclabili o biodegradabili, oppure addirittura capaci di sciogliersi in acqua. A contenere l’ordine, una borsetta in canvas. Gli smokey eyes di questa prima collezione hanno colori accesi, e che seguono lo stesso filo logico della sua ultima collezione, la SS 20, ispirata agli Anni 70 della disco music. Un inizio che fa brillare gli occhi di Vic, che ammette entusiasta che "è stato come partorire un quinto figlio. Per me è un sogno che si avvera: sono i pezzi che voglio nella mia trousse da trucco, essenziali e bellissimi". Se ci metterà la stessa passione che ci ha messo con i figli, non dubitiamo che il risultato le darà la felicità, senza toglierle, sicuramente, le mani dalle tasche.