Quando Nars lanciò quel blush dal nome peccaminoso, Orgasm, correva l'anno 1999, quello della Christina Aguilera lolita di Genie in a bottle già in contrapposizione semantica con i sussulti virginali e le promesse di castità di Britney Spears; delle Mena Suvari distese su un letto di rose in American Beauty e delle Angelina Jolie in frangia indomita e difficilissima che rubava il palcoscenico all'icona dei Nineties Winona Ryder, in Ragazze Interrotte. Un'annata di passaggio, che ci avrebbe traghettato verso gli eccessi carichi di entusiasmo dei primi 2000, dove a farla da padrone sarebbero state le apparizioni di Paris Hilton a Ibiza, film opinabili ma ultra-pop di Lindsay Lohan prima della conversione in imprenditrice di lidi sulle isole greche, e altre amenità, dai jeans bootcut a vita bassa alle canotte in seta con profili in pizzo a contrasto da indossare universalmente a qualunque evento notturno, anche il più formale. In un'atmosfera così ridanciana e gioiosa, sembrava finalmente possibile celebrare anche la decade più impensabile – complice anche il fatto che erano ormai passati 20 anni, tempistica minima per parlare di qualsivoglia revival. Fu allora che, appunto, il lancio del blush Nars roscapesca che sapeva di primavera e illuminava il viso di glitter ad hoc, citava con un certo romanticismo nostalgico gli anni 80 di Flashdance e dei video tutorial di Jane Fonda.

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Un salto avanti nel tempo di altri 21 anni, e Nars ha deciso di ampliare quella gamma, rimasta iconica negli effetti sulla pelle e nell'onomastica, inserendo dieci nuove varianti, adatte ad ogni tipo di pelle e necessità: si va così da Savage (un marrone luminoso infuso di rosso) a Aroused (un burgundy setoso) passando per Behave (un rosa più matte) e Coral X (versione dell'originale che spinge più sul corallo). Certo, la celebrazione del make up Anni 80 nella moda, è cosa fatta da parecchio tempo, persino ormai sdoganata e liberata dai sensi di colpa di cui ci si era caricati durante gli anni del minimalismo riflessivo, quelli tra il 2008 e il 2016 circa. Pensare però di ri-adottare il massimalismo della decade reaganiana anche sul viso, è sempre parso un po' troppo. O forse no? A ben guardare, i prodromi del ritorno in pompa magna di quel blush acceso, che si abbarbica, in salita, scalando le gote per arrivare fino alle tempie, e poi riparare sulle palpebre, fondendosi quasi con gli ombretti, li abbiamo visti di recente, quando Dua Lipa ha messo online il video di Physical, ultimo estratto dell'album Future Nostalgia, in uscita il 3 aprile. Oltre al video ufficiale, infatti, la cantante ha pensato ad un vero e proprio workout, ambientato in una qualunque palestra americana degli 80s, che ormai si conosce a memoria a qualunque latitudine, nella quale si si allena con il suo team riproducendo passi e movimenti rinominati per l'occasione, come, appunto, l'iconico The Fonda, omaggio alla Jane nel suo periodo wellness. Un tripudio di colori accesi che si ripropone anche nell'approccio, deciso, al make-up.

E dietro ogni omaggio delle celebrity odierne ai favolosi Anni 80 – da cui gli Afterhours di Manuel Agnelli sostenevano, con una certa coerenza, non si uscisse vivi – dietro ogni make up look ispirato a Patti Hansen – oggi pacificata signora Richards, moglie di Keith, ma negli 80's modella ad alto tasso di glam, e ovviamente blush – si nasconde sempre più il sospetto che Nars abbia, di nuovo visto prima degli altri, un trend che diverrà presto ecumenico. Certo, fuori dalle passerelle o dai palchi dei concerti sarà difficile vedere l'adozione di look à la Annie Lennox, ma si può parlare, con una certa cautela, del ritorno al Blush draping. Maestro primigenio della tecnica, che è tornata in sordina prima sulle passerelle delle scorse stagioni, per poi stamparsi sulle guance di celebrity e cantanti, è il make up artist Way Bandy, che negli Anni 80 aveva deciso di miscelare colori e texture per estremizzare l'effetto luminoso, quel "glow"a cui tutte le modelle d'oltremanica ambiscono e sfoggiano agli eventi di rito del calendario sociale, dal Met agli Oscar. Una teoria illustrata anche in un volume Bibbia per gli addetti ai lavori Designing Your Face: An Illustrated Guide to Using Cosmetics .

Capace di scolpire il volto e modificarne i tratti solo attraverso l'utilizzo di diverse tonalità di blush – e quindi distanziamento in parallelo da tutti i contouring e dagli strobing che Kim Kardashian ci ha insegnato negli anni – i lineamenti del volto risaltano, trasformandosi in esperimenti al limite del tridimensionale, poggiando sulla struttura ossea del viso. L'effetto di oggi, certo, tende ad una maggiore naturalezza rispetto ai video dove Simon Le Bon si dimenava sui palchi con i suoi Duran Duran ma, nelle parole di Gilbert Soliz, make up artist che ha riproposto il look sulle passerelle di Marc Jacobs già nel 2017

"il blush draping è il nuovo modo di arrossire"

Se però il fatto che lo abbiano sdoganato, in una versione 2.0, famosi stilisti o altrettanto celebri star della musica e del cinema, non è prova definitiva rispetto alla sua approvazione da parte del grande pubblico, i make up artist chiamati a definire i contorni dei nuovi trend e anche dei volti più importanti della Gen Z, hanno notevole fiducia nelle capacità del blush draping di farsi strada nel cuore delle nuove generazioni. Un esempio? Doniella Davy, truccatrice millennial dietro i volti di alcune pop star e attrici come Barbie Ferreira, e Zendaya, protagoniste di Euphoria, serie già di culto di cui Doniella segue tutto il make up, creando look eccessivi e scenografici su palpebre e gote delle protagoniste, importanti al fine della narrazione tanto quanto le storie personali che si susseguono sullo schermo.

"La Generazione Z usa il make-up non solo per raccontare chi è, ma anche per rappresentare chi si sente di essere in uno specifico giorno" ha raccontato in una recente intervista a Vogue America. "Di conseguenza le cose cambiano in maniera veloce, e a volte, molto visibile". E rispetto ad un lavoro, il suo, che ha avuto un'eco quasi inaspettata, seguita al successo della serie, definita come uno dei pochi prodotti capaci di raccontare la Generazione Z senza ipocrisie, ha commentato. " Sono rimasta commossa dalle ragazze che mi scrivevano su Instagram dicendomi " sono andata in negozio e ho comprato questo make up colorato, con i glitter, lo indosserò adesso, e uscirò di casa così". Ispirare quel tipo di coraggio, nell'espressione di se stessi, è speciale, ma lo è tanto più quando ti rendi conto che tocca persone che non sono addette ai lavori, ma gente reale. E quelli più appassionati sono i ragazzi più giovani, quelli a cui interessano sempre meno i classici canoni di bellezza. Perché non indossare un blush glitter per andare a fare la spesa? In fondo moltissime tribù e popolazioni usano adornarsi il viso e il corpo con del trucco da millenni. Farlo dovrebbe essere naturale, e tornerà presto ad esserlo".