Il trucco bonne mine di Daphne in Bridgerton, contornato da boccoli educati e abbondanza di crinoline; le lacrime surrealiste disegnate sul volto di Rue, così come gli eyeliner grafici di Jules, le protagoniste di Euphoria; gli occhi di Beth Harmon ne La regina degli scacchi, che esplodono di curiosità verso l'avversario, una certa tendenza alle dipendenze lisergiche, e mascara. A ben guardare delle serie tv che nell'ultimo anno hanno segnato e scandito i nostri ritmi di binge watching, esasperati dalla pandemia e dall'impossibilità di uscire, ciò che ci è rimasto più impresso – e che abbiamo provato a replicare allo specchio, con diversi gradi di successo – per la prima volta, non è stato tanto il loro guardaroba, quanto l'espressività e la personalità che trasudava, letteralmente, dai pori della loro pelle. Una tendenza che nasce e si ramifica in modi diversi, e che è indubbiamente figlia della pandemia, che ci ha privato della necessità, fino a quel momento fondamentale, di vestirsi per andare a lavorare o uscire per un aperitivo con le amiche, introducendoci nell'era del do-it-yourself, degli esperimenti italici di panificazione di massa, dell'adozione di nuove abitudini culinarie o di allenamenti replicati tra le mura in casa seguendo questo o quell'altro tonico personal trainer. Un approccio che non ha escluso i tentativi di tramutarsi in perfette makeup artist, seguendo, letteralmente, i trucchi degli esperti del mestiere, che dai loro profili Instagram propongono tutorial da replicare per ottenere l'eyeliner a nuvola di Jules, come nel caso di Doniella Davy, pennello e blush dietro i look di Euphoria. La trentunenne originaria della California, elargisce abbondantemente dal suo profilo Instagram o da TikTok divertenti video, nei quali usa il trucco anche come elemento apotropaico, combattendo a colpi di fard lo stress causato da un anno di pandemia e chiusure obbligatorie. Autentica nel mostrare la sua pelle imperfetta – e per questo lontano anni luce dallo strobing e dal contouring "siliconici"courtesy della famiglia Kardashian – l'obiettivo è trovare una nuova versione di se stessi, possibilmente divertendosi, capitalizzando su un patrimonio estetico che è di costante ispirazione per la Gen Z, i sempiterni Anni 90, gli stessi nei quali si situa il film Showgirls, che così tanta materia ha fornito alla Davy per ricreare i look della serie tv.

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Nel caso specifico di Euphoria, poi, il settore beauty è letteralmente più fruibile – con le dovute modifiche – alla vita quotidiana rispetto al guardaroba. Se Rue, ancora incerta rispetto alla sua identità, per comodità o per timidezza sprofonda spesso in maxi felpe ben lontane dal glamour, l'identikit stilistico delle altre co-protagoniste non è meno complesso da replicare. Jules, nel suo costante desiderio di essere invece identificata come donna, opta per un armadio iper-femminile, colorato di rosa e tempestato di glitter, con gonne e short dalle lunghezze mini, mentre Kat si tramuta in perfetta dominatrix sfoggiando anche nel look quotidiano harness e choker in pelle, non esattamente ensemble pratici da utilizzare nella quotidianità. Del telefilm più visto di sempre sulla piattaforma di Netflix (82 milioni di spettatori nei primi 28 giorni di programmazione), Bridgerton, è abbastanza lapalissiano il perché il trucco naturale e primaverile della sua protagonista, Daphne, appaia ben più contemporaneo dei suoi abiti, di grande tendenza nel periodo della Reggenza Inglese, tra il 1811 e il 1820. Un effetto fresco, riposato, appena sbocciato, come si confà alla giovane promessa della scena sociale dell'aristocrazia inglese, affamata di debuttanti e di conseguenti scandali. L'apparente semplicità del makeup è divenuto così obiettivo principale durante delle giornate lontane dai palazzi nobiliari e dai giardini all'inglese, ma più vicine alle proprie quattro mura, con lo sguardo piantato sul computer, ingrigito dalla noia e dalla mancanza di vitamina D. Un effetto che la makeup artist Lynda Pearce mostra su Instagram passo per passo, educando le sue accolite ai giusti prodotti da usare per ottenere l'effetto Daphne.

Non da sottovalutare in questo caso però anche l'impatto economico: laddove diviene impegnativo ricreare nella quotidianità l'intero armadio di una serie, replicarne alcuni stilemi significativi, come l'eyeliner sixties di Beth Harmon de La regina di scacchi – fortemente ispirato alle icone dell'epoca, da Twiggy a Penelope Tree e Natalie Wood – può rappresentare un compromesso accettabile. Nel caso di Beth, poi, il makeup, creato da Daniel Parker, ha la funzione di narrare la crescita del personaggio, che conosciamo da bambina, nell'orfanotrofio che la ospita, e vediamo crescere e tramutarsi in una giovanissima talentuosa ma estremamente combattuta su stessa e sul suo ruolo nella società, donna in un mondo dominato dagli uomini. Il momento più celebre è quello nel quale ci appare più emotivamente vicina al nostro stato ben più contemporaneo di prostrazione: dopo aver abbondantemente bevuto, sola in casa, si abbandona alle note di I'm your Venus, brano del gruppo Shocking Blues, decidendo il giorno dopo, di corsa e in preda ai postumi della sbornia, di ricreare l'eyeliner della cantante del gruppo, Mariska Veres, e rifarlo clamorosamente sbagliato.

Se, al netto delle ambientazioni storiche, geografiche, o semplicemente generazionali, distanti dalla quasi totalità delle fruitrici del prodotto finale, il makeup sta riuscendo a far sentire chi guarda lo schermo non solo spettatrice, ma protagonista di un'evoluzione, è perché racconta, tra colpi di fard e puntellature degli ombretti, il percorso difficoltoso e accidentato che, in ogni periodo storico, tocca a chi si fa non solo donna, ma essere umano adulto e pensante, risoluto e consapevole. Un compito che al reparto guardaroba delle serie tv attuali, per difficoltà nella sua abissale distanza con la contemporaneità – il secolo diverso nel quale si ambienta Bridgerton, gli anni 60 de La Regina degli scacchi già tornati di moda poco più di una decade fa, grazie sempre a un prodotto televisivo come Mad Men – riesce molto più difficile. Se persino una stella dello styling da piccolo schermo come Patricia Field, creatrice dei sogni di generazioni di donne con i look di Carrie & co. in Sex and the City, ha mostrato i segni dell'età cinematografica, con l'arrivo su Netflix di Emily in Paris – pagando anche il dazio di dialoghi e personaggi stereotipati che forse non rendevano il giusto tributo all'ironia dei vestiti, tramutandoli in delle mal riuscite parodie – è forse perché, mai come ora, l'abbigliamento e il modo nel quale ci rapportiamo a esso, dopo un anno di pandemia, è fondamentalmente cambiato. Verso quale direzione, non è ancora chiaro, e probabilmente non sarà una serie tv a dircelo.