I feel pretty, mi sento carina. C’è chi se lo ripete ogni mattina di fronte allo specchio, chi non l’ha pensato nemmeno una volta in vita sua. I feel pretty, ripetiamo noi tra le poltroncine del cinema in compagnia di Amy Schumer. La comica a stelle e strisce che negli ultimi lustri ha conquistato il pubblico americano (e non solo) a suon di sketch e pellicole votate al body shaming, body empowerment, body positivism… Insomma, pressoché tutti i movimenti ed i credo dedicati alla sicurezza interiore e social-e. Sesso femminile in special modo. La “bugia bianca” che sottende il concetto di “mi sento carina sempre e comunque” è il soggetto principale del nuovo film di Amy Schumer I feel pretty. Comedy rosa sì, ma dalle frecciatine mediatiche assestate benissimo. Perché, in questo, la Schumer è una tiratrice scelta. Perché, lei, la sua gavetta da “bruttina” ma che balla, l’ha fatta. E con non poche difficoltà sul suo cammino.

instagramView full post on Instagram

Amy Schumer non incarna propriamente lo stereotipo di bellezza propinato dalla società occidentale: non ha gli zigomi scavati e gli addominali prominenti, non ha uno stacco di coscia angelico e nemmeno una coppa di champagne al posto del seno. Eppure, proprio queste sue caratteristiche le hanno permesso di esaudire il (suo) sogno americano: diventare la voce di una categoria di donne che si sentono o vengono fatte sentire non all’altezza. Di cosa, da cosa, da chi? Di tutti gli standard estetici del Millennio, ovvero quelli che si possono riconoscere banalmente scorrendo il proprio feed su Instagram. E di tutte le ragazze con K su K di follower che popolano (e primeggiano) proprio quello stesso canale social-e. Il pane quotidiano di chiunque, il pane quotidiano di Renée (la Schumer sullo schermo), frustrata impiegata newyorchese che decide di dare una svolta alla sua vita (e girovita) iscrivendosi a una lezione di SoulCycle, una sorta di spinning millennial. Non passa nemmeno un minuto in sella, che viene colta da un malore e sviene. Al suo risveglio? Sarà tutto come prima, tranne che per lei. Complice la botta in testa, Renée inizia a sentirsi pretty, per la prima volta, e questo la catapulta in uno status di estasi e self-confidence tale da risvegliare anche nel resto del mondo la curiosità di conoscerla, darle corda e prenderla in considerazione tanto sul lavoro quanto nelle relazioni.

Come scrive Amanda Hess sul New York Times, le aspettative sul sesso femminile non sono mai state così alte tanto quanto nel 2018. E, se per il resto del mondo ciò è un tabù, per Amy Schumer materia di tutta la sua sceneggiatura. Se negare la pervasività nella società dei cosiddetti beauty standard è cosa buona e giusta per chiunque, per Amy Schumer è invece cosa da analizzare, sviscerare e poi confutare. Con l’aiuto di inquadrature e personaggi forse al limite della caricatura (vedi la presenza di Emily Ratajkowski e Naomi Campbell nei panni delle “bellone di turno”), con dialoghi-monologhi che sottintendono rimproveri ai media, alle case cosmetiche, alle stesse donne che si lasciano mettere con le spalle al muro da un commento sui social o dalla copertina di una rivista.

I feel pretty di Amy Schumer non è un film femminista tout court (o meglio, di quelli che galoppano sui cliché in rosa) ma un resoconto dolceamaro di quello che succede nella tua testa quando un’azienda ti convince a comprare una crema dimagrante con il claim: sei già bellissima, ma con noi lo sarai di più! Oppure quello che succede quando facciamo una spedizione punitiva di shopping per sentirci, per una manciata di secondi, invincibili di fronte allo specchio falsato del negozio. Una sintesi di un’ora e venti minuti di quello che succede nelle vite di chi sulla carta d’identità ha spuntato la casellina F alla voce “sesso”. Pretty per un po’, alla ricerca della felicità (tramite la bellezza) per sempre. Facendo apparire tale sforzo un divertimento, un qualcosa da condividere con gli altri con il sorriso stampato in faccia, durante una lezione di acquagym o l’acquisto di gruppo online di guaine modellanti.

Non se ne parla esplicitamente, ma la bellezza è un bene di lusso. Ci lamentiamo tutti della percentuale con cui viene tassato, ma non vorremmo far altro che permettercelo. Anche rischiando di pensare in continuazione: non sarà mica una totale perdita di tempo?