Nel 1935 Merle Oberon fu la prima donna birazziale a essere nominata come Migliore Attrice agli Oscar, un risultato incredibile nella Hollywood caucasica e segregazionista di quegli anni - se non fosse che nessuno a Hollywood sapeva che Oberon non era bianca. Merle raccontava a tutti quanti, dai confidenti alla stampa, di essere nata in Tasmania e, dopo la morte del padre ufficiale dell'esercito britannico, di essere cresciuta con padrino e madrina indiani e aristocratici. Nulla di più lontano dalla realtà.

Con capelli corvini e sguardo penetrante, dalla bellezza che si fa solo notare e probabilmente meglio ricordata ai nostri giorni per aver interpretato il ruolo di Cathy nel classico del 1939 Cime Tempestose, Merle Oberon ha trascorso tutta la sua vita tenendo nascoste le sue origini, passando per bianca. L'attrice temeva che la verità sulla sua famiglia (appartenente a una bassa casta indiana) e l'etnia (un mix di sangue maori, srilankese e britannico) avrebbe sabotato la sua carriera in anni in cui il pregiudizio razziale dilagava e i volti delle donne sul grande schermo erano bianchi e puri come gigli, eccezione fatta per uno o due domestici dalla pelle nera. Nata a Bombay in estrema povertà nel 1911, la vita di questa attrice è stata dall'inizio un garbuglio di segreti, mezze bugie, mariti e un’ossessione con il controllo della sua immagine che ha mantenuto fino alla morte, dopo la quale, certificati alla mano, si è scoperto tutto sul suo non-essere-bianca.

english actress merle oberon 1911   1979 , in acapulco, mexico, february 1966 photo by slim aaronshulton archivegetty imagespinterest
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Dopo essere stata notata per caso a Nizza e gli inizi di carriera a Londra, incluso un periodo in un night club, Merle Oberon è stata capace di raggiungere velocemente il successo sperato e ha dimostrato una gran tenacia di fronte agli ostacoli: non è da tutti soffiare un ruolo a Vivien Leigh, sposarsi più volte e continuare a recitare dopo essere rimasta sfigurata in un terribile incidente stradale. Per non parlare del flirt con Filippo di Edimburgo. Disposta a sacrificare la propria libertà e a nascondere la sua vera identità in nome del successo, su consiglio del suo agente aveva mentito a tutti, di nuovo, questa volta dicendo che la donna che si era trasferita con lei in America era una domestica quando invece era la madre, indiscutibilmente non bianca.

Il pubblico la conosceva più per il suo aspetto fisico che per la sua recitazione e a Hollywood veniva spesso etichettata come attrice “esotica” (quello che ai casting di oggi chiamerebbero “di razza ambigua”). Benché avesse tenuto nascoste le sue origini anglo-indiane sin da giovane, epidermide e melanina non mentivano, costringendola a fare ricorso a prodotti altamente tossici per candeggiare la pelle. In quegli anni chi soffriva di questo “problema” optava per Light and lovely di Unilever, un miscuglio talmente aggressivo da essere bandito dal mercato americano già nel 1938 e per il quale anche Merle Oberon aveva sofferto diversi effetti collaterali. Dimenticandosi per un momento di premi e candidature agli Oscar, la sua vera vittoria, col senno di poi, è stata invece accaparrarsi il ruolo di protagonista nel remake di L'angelo delle tenebre (1935), dove ha dimostrato di essere perfettamente in grado di interpretare una normale ragazza bianca, casta, naive e devota al suo fidanzato, scrollandosi di dosso il ruolo di femme exotique. Con il successo del film sono arrivati i contratti pubblicitari incluso quello con Max Factor. Nella campagna pubblicitaria, che ai giorni nostri sarebbe impossibile da digerire, due fotografie sono messe a confronto: nella prima l'attrice, secondo la didascalia, aveva un'aria "insolita, leggermente irreale", e nella seconda immagine, grazie ai cosmetici Max Factor, si era trasformata in una "incantevole ragazza dalla bellezza naturale". Solo ora sappiamo che l'attrice faceva uso di ben altri prodotti per sembrare naturale, o come direbbero i copywriter di Max Factor, "più reale" e più ordinaria, perché non bastava un buon fondotinta per essere accettata nell'America di quegli anni.

merle oberon in publicity portrait for the film hotel, 1967 photo by warner brothersgetty imagespinterest
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Ancora oggi i paesi asiatici hanno una morbosa ossessione per la pelle bianca. Prodotti schiarenti come creme, saponi e lozioni per il corpo sono comuni sui comodini asiatici, nonostante numerose inchieste abbiano negli anni dimostrato che molte formulazioni contengono ancora quantità tossiche di mercurio o altri ingredienti pericolosi. Anche quando il governo interviene e ne proibisce ufficialmente la vendita, prodotti simili sono a portata di click su eBay, Amazon e Facebook Groups.

Il movimento Black Lives Matter, entrato nella coscienza collettiva la scorsa estate dopo la morte di George Floyd e Breonna Taylor, non solo ha gettato luce a livello globale sul problema dell'ingiustizia razziale e della brutalità delle forze di polizia, ha anche dato inizio ad animate conversazioni sul razzismo in diversi settori, inclusa l'industria cosmetica. In luoghi come l'Africa, l'Asia e il Medio Oriente ha portato in primo piano il dibattito sul colorismo, ovvero la denigrazione di chi ha un tono della pelle più scuro spesso da parte di persone della stessa razza. Negli ultimi mesi molti marchi di prodotti di bellezza che a lungo hanno pubblicizzato prodotti “schiarenti” stanno cambiando rotta, complice anche il mercato ormai saturo in realtà come il Giappone, dove l'interesse si è spostato verso i prodotti anti invecchiamento.

Ma può un po' di rebranding avere un qualche impatto su secoli di convenzioni sociali che hanno fatto diventare lo sbiancamento della pelle un affare multi-miliardario?

Di colorismo, segreti inconfessabili e melanina se ne riparlerà ancora a breve. Netflix ha da poco acquistato Passing, il primo film di Rebecca Hall - la brunetta romanticamente combattuta di Vicky Cristina Barcelona -, dopo un'ottima accoglienza all'ultimo Sundance Festival. Un progetto profondamente personale per Hall, che si presenta e viene percepita pubblicamente come bianca anche se proviene da una famiglia multirazziale. Questo resoconto sul razzismo americano è visto attraverso gli occhi di due donne nere che passano per bianche nella Harlem degli anni Venti (Tessa Thompson e Ruth Negga), con una delle due che decide di nascondere le sue origini, nonché la razza, anche al marito. Come nel romanzo di Nella Larsen al quale si ispira, il film mette a fuoco la zona grigia che occupa la questione dell’identità razziale, di cui raramente si parla in termini così onesti al cinema. Forse non a caso, è stato girato in un luminoso bianco e nero come i grandi classici con protagonista Merle Oberon.