"Sono madre di tre figli Michelle, Daniel e Matthew. Ma nel dicembre 2017, quando Matthew e suo marito Elliot mi dissero che erano pronti a mettere su famiglia e che Lea, la sorella di Elliot, si era offerta di donare le sue uova per fare sì che ciò accadesse, mi resi conto che si trattava di un vero e proprio affare di famiglia. Non ci ho pensato due volte e ho detto loro: "Se state cercando qualcuno per porti avanti la gravidanza, io lo farei con tutto il cuore". Con queste parole Cecile Eledge, 61 anni, racconta su Marieclaire.com com'è nata l'idea di portare in grembo la propria nipote. "Mio figlio rise quando glielo proposi. Avevo 60 anni ed ero entrata in menopausa a 52. Mi disse ridendo. "Grazie, ma penso che manchino alcuni pezzi di cui abbiamo bisogno". Il dottore chiese se avevano già una candidata per portare avanti la gestazione e Matthew rispose sorridendo che sua madre continuava a offrirsi, aggiungendo che sapeva che la cosa era impossibile vista l'età. Il dottore non trovò la cosa affatto divertente e chiese subito se la donna avesse subìto un'isterectomia. Lui gli rispose di no e che era in ottima forma, sportiva e con abitudini alimentari sane. Il dottore chiese quindi di poterla visitare.

"Mi ci sono buttata a capofitto. L'unica cosa che mi faceva stare male è che mi ero offerta senza chiedere il parere di mio marito. Quando ho capito il mio errore, mi sono scusata perché ci sarebbe stato un grande cambiamento anche nella sua vita. Mi ha guardato e ha detto: «Ti vedo molto determinata nella tua scelta e sento che è la cosa da fare». Una volta che ho avuto il suo supporto, ho fissato l'appuntamento. Mi aspettavo che il dottore dicesse «È bello quello che vuole fare, ma non è possibile» invece mi disse che potenzialmente ero un'ottima candidata. Mi prescrisse vari esami tra i quali un pap test, delle analisi del sangue e un incontro con il cardiologo. Non mi piace lasciare le cose incompiute, inoltre sapevo che Matthew ed Elliot volevano una risposta il prima possibile, quindi programmai subito tutti gli appuntamenti. Ogni volta che ricevevo approvazioni io e mio marito ridevamo. Non potevamo credere che ogni medico ci ripetesse che non c'era motivo per cui non potessi portare a termine una gravidanza. Ho iniziato a pensare: «Oh mio Dio, forse posso farlo davvero». Mi sono fidata dei dottori; erano cauti, ma anche positivi sul fatto che potesse funzionare.

Entro la fine di gennaio 2018, abbiamo ottenuto il via libera per procedere. Mancava veramente poco al giorno della fecondazione in vitro, una mattina ho guardato mio marito e gli ho detto: "Oh mio Dio, sta accadendo veramente?". Non è stato possibile avviare subito la fecondazione in vitro. Lea, la sorella di Elliot, avrebbe dovuto partorire a febbraio, quindi i medici hanno dovuto aspettare otto settimane per recuperare le sue uova. Matthew dal canto suo ha fatto tutta la trafila come ogni donatore di sperma. Ciò significa che hanno dovuto testare i suoi campioni per tutti i tipi di malattie infettive e metterli in quarantena per sei mesi prima di potere creare gli embrioni. I ragazzi hanno anche chiesto di eseguire test genetici per determinare quali embrioni fossero vitali prima di effettuare il trasferimento. L'unica cosa che dovevo fare, per via della mia età, era assumere ogni giorno estrogeni per avere di nuovo il ciclo mestruale. Il nostro obiettivo era effettuare il trasferimento a luglio, quindi ho iniziato ad assumere estrogeni ad aprile. Alcune persone sperimentano effetti collaterali come crampi e gonfiore durante l'assunzione di estrogeni, non nel mio caso. Il più grande svantaggio è stato riavere le mestruazioni. Non le avevo da sette anni, per fortuna le ho avute solo per tre mesi; l'IVF, in vitro fertilisation, ha avuto successo al primo tentativo. Circa una settimana prima del trasferimento, iniziai ad assumere ogni giorno alla stessa ora anche progesterone. A ricordarmelo c'erano mio marito, Matt o mia sorella, che è infermiera. Quando mi hanno chiamato per il test finale per essere sicuri che fossi pronta per il trasferimento, il dottore definì il mio utero "bello". La definizione mi fece sorridere.

Molte persone che scelgono la fecondazione in vitro trasferiscono più di un embrione alla volta per aumentare le possibilità di ottenere una gravidanza. Così possono capitarti gravidanze multiple, il che ovviamente aumenta il rischio di complicanze sia per la madre sia per il bambino. Matt ed Elliot avevano solo tre embrioni vitali e, data la mia età, il medico decise per trasferirne uno alla volta. L'intera procedura sarà durata forse 10 minuti. Il medico ci disse di tornare dopo 10 giorni per un test di gravidanza in studio. Ma non riuscimmo ad aspettare. Matt aveva comprato i migliori test in grado di rilevare i primi segni di gravidanza. Ne abbiamo fatto uno cinque giorni dopo il trasferimento dell'embrione e rimasi così delusa quando fu negativo. Non ho mai avuto paura degli ormoni o di partorire. La mia paura più grande era di non riuscire a iniziare o portare a termine la gravidanza. I ragazzi si erano fidati di me, avevano investito così tanto tempo e denaro e non volevo deluderli. Come madre, vuoi che le cose vadano sempre bene per i tuoi figli. Quindi, quando Matt mandò un messaggio per sapere l'esito, risposi con una faccina accigliata. Ma sapevo che c'era un'altra settimana in cui l'esito poteva cambiare e ho continuato a sperare.

Avevo fatto una passeggiata quella mattina dopo avere fatto il test e non mi sentivo bene. Mi davano fastidio gli odori. Ero stanca. Pensavo di avere l'influenza. Quando Matt venne a trovarmi nel pomeriggio ero sdraiata su una panchina nel gazebo. Gli dissi che non mi sentivo bene. Eravamo entrambi delusi e dissi a Matt se non avessimo avuto un esito positivo, non avrebbe dovuto sentirsi obbligato di provare di nuovo con me. Sapevo che erano rimasti solo due embrioni, quindi la posta in gioco era alta. Non volevo che sprecassero gli embrioni con me. A un certo punto Matt chiese di potere vedere il test che avevo fatto quella mattina. Glielo mostrai e disse che si vedeva una seconda riga. Il mio primo pensiero fu: "Lo vuole così tanto che si immagina le cose". Mi sentii male per lui. Mi chiese di fare un altro test per sicurezza. Non avevamo detto a mio marito che lo stavamo facendo perché i dottori ci avevano chiesto di aspettare. Quindi parlavamo a bassa voce. Il secondo test parlò chiaro: la seconda linea c'era. Eravamo così eccitati da non riuscire a trattenerci. Lo dissi a mio marito e Matt corse a dirlo a Elliot. Una volta avuto l'esito positivo decidemmo di dirlo ai fratelli di Matthew durante una cena. All'inizio furono davvero scioccati, il che è una reazione naturale. Avevano inoltre avuto la notizia quando io ero già incinta.

Non lo abbiamo detto a nessun altro fino a quando non ho superato il primo trimestre. Dopo quella data lo abbiamo comunicato a zii e zie. Erano scioccati, ma allo stesso tempo molto eccitati per noi. Scoprimmo che una delle mie nipoti era rimasta incinta una settimana prima di me. Non si aspettava certo che anche sua zia annunciasse di essere incinta. La gravidanza proseguiva in modo regolare. Come molte gravide ho avuto il diabete gestazionale intorno al sesto mese. Mangiando in modo sano e facendo attività fisica durante la gravidanza, non ho preso molti chili. Molte persone non si accorgevano nemmeno che fossi incinta fino a quando non ho raggiunto il settimo mese. A quel punto molti guardandomi mi fissavano e si ponevano molte domande. Molte persone ci hanno supportato, almeno così sembra. Sapevo che alcuni non lo avrebbero fatto e li abbiamo evitati. Non cercavo di nascondere qualcosa, ma non volevo sentire negatività intorno a noi. Sapevo che stavo facendo la cosa giusta e non volevo fare sentire nessuno a disagio. L'abbiamo fatto perché era la cosa migliore per la nostra famiglia.

Mio marito, invece, adorava l'effetto shock. Quando vedeva qualcuno che ci fissava chiedeva «ha visto che mia moglie è incinta?». Era così orgoglioso di quello che stavamo facendo e quello era il suo modo per dimostrarlo. Ridevamo quando andavamo dal dottore perché quando mi chiamava ci alzavamo in quattro. C'è stato molto umorismo durante tutta la gravidanza. La data presunta del parto era il 4 aprile 2019, ma la mia pressione si è alzata verso la fine della gravidanza e i medici hanno deciso di fare un'induzione qualche giorno prima. Sono entrata in ospedale domenica 24 marzo e dopo alcune ore di travaglio è nata mia nipote. Il giorno successivo, il 25 marzo, alle 6:06 sono stata la prima a tenerla in braccio e ad avere il contatto skin to skin mentre i medici facevano tutti i controlli post-nascita. 10 minuti dopo, quando stavamo per spostarmi, ho consegnato la bambina a Matthew ed Elliot in modo che potessero fare il contatto skin to skin.

Alcune persone mi hanno chiesto: «Non è stato difficile per te rinunciare alla bambina alla fine?». Questa gravidanza è stata molto diversa rispetto alle gravidanze dei miei tre figli perché questa non era mia. Dal momento in cui abbiamo fatto la prima ecografia, è sempre stata nostra nipote e la figlia di Matthew ed Elliot. Ricordo di averli osservati mentre la pesavano e la misuravano dopo il parto: era quasi come un'esperienza extracorporea. Ho sentito una sorta di sollievo e ho pensato: «il mio capitolo di questa storia è finito, ora tocca a Matthew ed Elliot finire il libro». Sapevo solo che la bambina era dove avrebbe dovuto essere e io ero dove avrei dovuto essere. Cominciano il loro viaggio come una famiglia e io divento solo nonna. E lei avrà sempre "un pezzo di me"; l'hanno chiamata Uma Louise perché Louise è il mio secondo nome. Conoscete il detto: «Ci vuole un intero villaggio per crescere una famiglia»!. Beh, nel nostro caso è stato proprio così. Potremmo non avere fatto le cose nel modo "normale", ma ho sempre detto che il normale è noioso. Quando Uma sarà abbastanza grande, Matt ha detto che le spiegheranno che la zia Lea le ha dato una piccola scintilla di vita e io lo spazio per prosperare e crescere. Penso che sia meraviglioso che lei sappia che era così desiderata e amata che tutta la famiglia si è unita per portarla in questo mondo. Questa è la nostra storia e ne siamo orgogliosi".