Mi sto vestendo, metto il solito paio di jeans, una felpa a caso, non ci presto molta cura, devo solo andare al supermercato a comprare qualcosa. Qualcosa. Non so bene cosa ma qualcosa. Vado da sola da quando le direttive per contrastare il Coronavirus in Italia impongono a una persona per nucleo famigliare alla volta di uscire di casa per andare a comprare beni di prima necessità. Sto uscendo io, lui smanetta con il cellulare, non ha mai giocato a un videogioco in vita sua e a quanto pare ha deciso di farlo proprio adesso. Vabbè, neanche io posso parlare, mi ero ripromessa sessioni distruttive di addominali per terra in camera, di fronte allo specchio, ma non ho mai iniziato. Touché per tutti e due. Dicevo, anzi, pensavo, che andare al supermercato da sola, dopo 7 giorni esatti di quarantena, mi farà riflettere sul perché poco fa a colazione me ne sia uscita con una frase un po’ odiosa: stasera scopiamo?. Era il caso di dirlo? Cioè, è veramente il momento di dirlo? Di programmare, di organizzare, quasi, una specie di appuntamento per il sesso quando una pandemia internazionale ti costringe tra le mura di un bilocale milanese? E se gli avessi fatto iniziare la prima telefonata di lavoro della giornata con il piede sbagliato? E se poi, sentendo lesa una qualche sfumatura della sua virilità, si rifiutasse di farlo? Non lo so perché abbia questi pensieri, né tantomeno perché abbia avuto il desiderio impellente di dirgli quella frase, forse per farlo inconsciamente arrabbiare - la quarantena sta andando fin troppo bene, ancora non abbiamo mai litigato - forse per un disperato bisogno di scadenze, in questi giorni in cui perdiamo il conto dei giorni?

Ma il sesso non dovrebbe essere spontaneo?

Sto camminando verso il supermercato, da sola. È arrivata la primavera e nemmeno ce ne siamo accorti, chiusi nelle nostre tane come animali da letargo posticipato. Il bottone dei jeans mi ricorda che sto, stiamo, bevendo troppo per la noia. E io sto andando a comprare altro vino. Ripenso alla discussione di questa mattina, lui non sembrava poi così turbato, mi ha baciato in fronte e mi ha sorriso dopo che ho sputato fuori quella domanda, ha continuato a fare le sue telefonate e tutto è continuato come continua da una settimana. Tranquillo. Forse troppo. Ci si può lamentare per la troppa tranquillità? Meglio di no. Sto pensando che l’ultima volta che abbiamo fatto sesso da quando è iniziata la quarantena è stato quando è iniziata la quarantena. Quasi spinti da una verve di gioia esagitata e, vista la situazione non proprio felice, un filo esagerata. Quasi mossi da una voglia di festeggiare la libertà da treni, tram, metro, scrivanie d’ufficio, inutili riunioni dal vivo. Quasi a voler sancire quella trasgressività che da non si va a lavoro fino a tempo indeterminato a mi strappo i vestiti di dosso fino a tempo indeterminato è un attimo.

Riformulo la domanda odiosa, stavolta mittente e destinatario coincidono, sono io: la convivenza forzata dà per scontato il fare sesso in qualsiasi momento e, quindi, alla fine, va a finire che non lo si fa? Che lo si posticipa a tempo indeterminato? Un po’ come quegli addominali che dovevo/volevo fare, mi lamento sempre di non aver tempo, di tornare troppo tardi dal lavoro, di cenare in fretta, addormentarmi ancor più in fretta. E, adesso che avrei tutto il tempo a disposizione per farli, continuo a passare di fronte allo specchio della camera da letto, sentendomi colpevole, giudicata dallo stesso specchio, ma procrastinando comunque quel momento. Tanto posso farli quando voglio. Tanto possiamo fare sesso quando vogliamo. Al mattino appena svegli, tanto non c’è il broncio del tuo capo da sopportare se arrivi in ritardo. In piena notte, tanto anche se dormo quell’ora in più posso comunque svegliarmi e fare smart working da sotto le coperte. Assolutamente nel bel mezzo del pomeriggio, posso sempre far finta di non aver risposto a quella chiamata di lavoro perché avevo finito l’acqua e poi alle 18 chiudono i supermercati, eh. Insomma, in qualsiasi, proprio qualsiasi, momento.

Il momento per dirci che ci amiamo senza muovere le corde vocali

Sono quasi arrivata all’ingresso del supermercato. Mentre cerco una monetina da usare per prendere il carrello penso che il sesso è sempre stata la nostra chiave di (s)volta in tutti questi anni insieme, forse come tutti. Il rifugio dopo una brutta litigata, il terreno morbido dentro cui affondare la testa come struzzi quando tutto va male, il momento in cui guardarsi negli occhi, sotto-sopra, per dirci che ci amiamo senza muovere le corde vocali, il pensiero fisso che diventa concreta consolazione in uno di quei giorni in cui non facciamo altro che pensare a quanto siamo eccitati. Abbiamo vissuto momenti da dimenticare, totalmente, e momenti che spero di non scordare, per niente al mondo. Abbiamo parlato a lungo di quanto, con le dovute premesse infelici, questa storia del Coronavirus sia affascinante per la nostra generazione. Non siamo nemmeno mai arrivati a pensare come potesse essere avere il timore di una denuncia, di una multa o, addirittura, un arresto perché si è usciti di casa in coppia, senza avere una reale urgenza per farlo. Oggi siamo obbligati dal senso civico a stare in casa, semplicemente. In queste settimane non pronunceremo mai le parole: scusa sono di fretta, non ho tempo, a che ora è l’ultima proiezione al cinema?, ci vediamo davanti al Carrefour ok?, che cocktail prendi?, spero che Mario sia stato felice della festa a sorpresa che gli abbiamo organizzato, e cose così… Il blocco che lega i carrelli fra loro fa click non appena inserisco la monetina, mentre spero che anche il mio cervello faccia click pensando a se questa convivenza forzata stia cambiando i nostri desideri erotici, stia attentando alla nostra vita sessuale, stia procrastinando la nostra libido, al contrario forse di quello che potevamo immaginare all’inizio.

A quale santo delle adsl votarsi, il sesso in video, i vibratori, il sexting non bastano più

Una mia amica mi ha detto che lei e il suo ragazzo hanno deciso di preparare una cena romantica mettendosi i loro abiti migliori, come quando vai al ristorante a festeggiare qualcosa e sai che al ritorno a casa la scopata è quasi d’obbligo. L’ho proposto a lui ridendo, mi ha detto che si sarebbe sentito un malato di mente. Forse ha ragione, forse avevo ragione io a pensare che non l’avrebbe mai fatto. Una mia collega mi ha detto che ha talmente tanta ansia per quello che sta succedendo e pressione sul lavoro (lei, fra i pochi fortunati, sta lavorando il triplo del solito) che il pensiero di “perdere tempo” dietro al sesso quasi la disturba, la fa “sconcentrare”. Una coppia di nostri amici che, secondo me, se potesse fare sesso sei volte al giorno ogni giorno lo farebbe, immagino stia cogliendo l’occasione della quarantena per farlo. Un mio amico, già costretto a un rapporto pendolare Roma-Milano con il suo fidanzato, ora non sa nemmeno a quale santo delle adsl votarsi, il sesso in video, i vibratori, il sexting non gli basta più. Chissà cosa darebbe per poter trascorrere una ventina di minuti buona di preliminari con lui, o un’ora di sesso tutto tranne che virtuale. Chissà cosa darebbe per essere al posto mio, chissà quanto gli sembriamo scemi, pazzi, non innamorati per non fare sesso da giorni nonostante la clausura in 60 metri quadrati. Chissà se davvero l’attesa aumenta il desiderio

oppure ti fa solo passare la voglia dell’altro per farti venire voglia di un’altra persona ancora.

Passo tra i corridoi con il mio carrello, sono sola, come tutte le altre persone attorno a me, o forse sono complici che fingono di non conoscersi, di pagare separatamente e, poi, baciarsi in sordina girato l’angolo. Come se mi vedesse dall’altra parte della città, con la sua palla di cristallo, e vedesse che sono completamente sola, dopo 6 giorni in coppia, il ragazzo per cui ho una specie di cotta mi scrive. Mi manda un direct su Instagram, anzi. È l’unico mezzo di comunicazione con cui ogni tanto ci sentiamo. In un mondo in cui sono più i mezzi di comunicazione che le cose intelligenti da dirsi, forse, abbiamo scelto lo strumento più scomodo per far sapere all’altro che ci pensiamo. I direct su Instagram sono scomodi, diciamocelo. Anche pensare a qualcun altro che non faccia parte della tua relazione lo è, diciamocelo. Io non so che rispondergli, in quel momento stavo pensando a quante vaschette di fragole comprare. Se ne prendo troppe poi maturano tutte in fretta e sono costretta a mangiarne più di quelle che desidero, o a buttarle. Se ne prendo poche poi le finisco subito. Che è un po’ quello che penso quando ci sentiamo. Non voglio far maturare questa “cosa del sentirci ogni tanto” che abbiamo, del flirtare tra un invio e un altro, tra una Story e un’altra. Non voglio nemmeno buttarla. Mi piace stare in questo limbo di un sexting che non è ancora sexting, e che forse non lo sarà mai. Gli rispondo. Attacco l’adesivo con il prezzo alla vaschetta delle fragole e sento che da prima o dopo l’invio della mia risposta non è cambiato niente dentro di me. Nessun micro palpito, nessuno sfriccicore sulla pelle, nessun volo pindarico pruriginoso della mente. La routine della quarantena mi ha fatto diventare un essere orribile incapace di provare qualsiasi emozione? Sistemo la vaschetta delle fragole dentro il carrello. No, avere la consapevolezza di non poter incontrare nessuno, o quantomeno fantasticare sul poterlo fare, ha azzerato la mia voglia di uscire fuori dal tratteggiato, anche solo con il pensiero. E forse è meglio così.

Sto per pagare, guardo l’altarino di alcol, mascherine, guanti usa e getta, carta asciugatutto vicino al nastro che avanza verso di me con la vaschetta di fragole e le bottiglie di vino. Io e la cassiera ci scambiamo un sorriso che non so se è più di rassegnazione o speranza, senza dirci niente. Penso che forse questa è la volta buona per due amanti di uscire allo scoperto o di concludere per sempre la loro relazione. Il non vedersi forzatamente dovrebbe aiutarli nel prendere una decisione, nello schiarire qualche idea, nel riapprezzare un rapporto che credevano sopito ma che, invece, è più vivo che mai. C’è chi scoppierà, confesserà tutto al tradito, scapperà in barba alle disposizioni (non fatelo) a casa dell’amante, per convivere forzatamente sì, ma senza forzare il cuore. C’è chi scoppierà, confesserà tutto al tradito e all’amante, avrà tutto il tempo a disposizione per spiegare e spiegarsi, per tornare sui suoi passi, metaforicamente parlando. C’è chi, anche per questa volta, non avrà imparato assolutamente niente, e aspetterà la fine della quarantena per tornare a dire

“vado a un concerto stasera, non aspettarmi per cena”.

Faccio il giro largo, passo dal parco come sempre quando ho voglia di camminare un altro po’, finire di ascoltare le ultime due canzoni di un disco. Stavolta lo trovo chiuso, lo sarà fino a che qualcuno non dirà che possiamo tornare alle nostre vite a.C., avanti Coronavirus. Quelle in cui l’unica domanda odiosa che mi viene in mente di fare al mattino è fai tu la moka oggi?