Grasse. Molto grasse. Ciccione. Non “curvy”, parola ipocrita che “va bene per definire un pupazzo di neve”. Eppure hanno deciso di fare esattamente le stesse cose che fanno le altre: su Instagram postano selfie, anche in bikini, anche se si vedono i rotoli di ciccia dappertutto, anche se i vestiti stringono, anche se il primo piano mette in risalto il triplo mento, anche se le gambe si toccano e la carne ballonzola. Il messaggio? Non c’è bisogno di essere Emily Ratajkowski per mettersi in mostra nude.

Arrivare a questa sfacciata libertà non è stato facile. Ci sono stati pianti, diete, bullismo e anche peggio.

Qualcuna, da bambina, è cresciuta in una famiglia dove se perdevi un chilo ti davano un premio in denaro. C’è chi aveva un padre alcolista e depresso. Chi è stata molestata da un amico dei genitori e non ha mai avuto il coraggio di dirlo. Ma c’è anche chi dice “nessuno ha sbagliato, nessuno mi ha fatto del male, sono grassa e basta”. Tutte lottano ogni giorno per imparare a non odiare (più) se stesse.

Racconta queste storie il documentario Fat Front, uno dei titoli presentati al Biografilm Festival, quest’anno in edizione virtuale, dal 5 al 15 giugno, sul sito Mymovies.it. Due registe danesi, Louise Unmack Kjeldsen e Louise Detlefsen, hanno raccolto le testimonianze di quattro giovani donne scandinave “stufe di mettere la vita in pausa in attesa di dimagrire”. Si chiamano Helene, Marte, Pauline e Wilde. Non vogliono essere trattate bene perché “è politicamente corretto condannare il fat shaming” ma perché vogliono diffondere un atteggiamento body positive per tutti e tutte. Non vogliono essere considerate carine o sexy “nonostante siano grasse” ma vogliono che la loro ciccia sia guardata e apprezzata quanto i loro occhi e i loro sorrisi.

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Marie Hald

Come ogni influencer che si rispetti, anche il Fat Front ha i suoi bravi hater. Chi le insulta per il loro corpo e chi va oltre, chi ne fa una questione di civismo: “vi ammalerete se non dimagrite, e il medico ve lo dovremo pagare noi contribuenti” e “promuovete uno stile di vita malsano”.

Già. Certo che essere obesi è malsano ma impedire agli obesi di essere felici così come sono non è forse peggio? Infatti le ragazze rispondono e vanno avanti, attiviste della causa.

Il film racconta i momenti migliori e i momenti orribili delle loro vite “grasse”, per esempio la dieta riuscita (meno 30 chili per la svedese Pauline) e poi fallita miseramente. Mentre i chili tornavano, il fidanzato la abbandonava. Adesso Pauline, 21 anni, studentessa di moda, ha organizzato un mercatino di abiti di seconda mano dedicato alle taglie forti e fortissime che faticano a trovare quel che cercano nei negozi e che spesso si vergognano di entrarci. La danese Helene dopo lunghi periodi in cui si era chiusa in casa e non frequentava nessuno, oggi tiene conferenze nelle scuole per spiegare che si può stare bene anche con un corpo che non corrisponde agli standard convenzionali. Marte Nymann, 31 anni, di Oslo, che lavora come pedagoga per bambini sordi, dice: “Non ho mai avuto un ragazzo. Su Tinder si trovano i feticisti delle ciccione ma io non mi fido: sono interessati a me perché sono grassa o sono interessati a Marte? Forse sono nata nel periodo sbagliato: in passato, donne con un corpo come il mio erano ritratte da grandi pittori. Io oggi mi sento un’opera d’arte che nessuno vuole guardare, ecco perché voglio costringervi a farlo”.

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Marie Hald