Calcolo rapido del numero di correttori pastosi anti brufoletti comprati/accatastati nel corso della vita: uno ogni quattro mesi, in media (ma quello verdi che eliminava i rossori, mai imparato ad usarlo). Fondotinta ad alta coprenza acquistati in abbondanza, stesi con le dita, con la beauty blender, col pennello, nel tentativo di dare quel finish Photoshop impossibile da riprodurre, e infine abbandonati perché con la propria pelle, ad un certo punto, tocca farci pace davvero. Truccarsi per il piacere di farlo, non per nascondere necessariamente qualcosa: skin positivity l'hanno definita gli americani, che per ogni corrente o tendenza social hanno l'innata capacità di trovare il nome giusto. Le beauty influencer dello skincare pelle hanno mutuato il termine dal più storic(izzat)o movimento della body positivity, già oggi ampiamente messo in discussione dalla body neutrality, ma hanno centrato il punto: la propria pelle, esteticamente parlando, è l'astuccio protettivo di un corpo che non è mai quello del giorno prima. Mutevolezza garantita che la pelle segue a ruota, ogni variazione viene esternata dalla sua capacità di reazione.

Piccoli, normalissimi difetti temporanei o cronici, possono arrivare a diventare giganteschi problemi con cui convivere serenamente. Le skin positive influencer fanno esattamente questo: si mostrano in purezza, non nascondendo i risvolti psicologici di come stanno in una pelle lontana dai canoni platonici della perfezione. Lo fa Lou Northcote, pioniera fondatrice del movimento Free The Pimple (Libera il brufoletto), attivista e modella, che dopo aver subito la classica acne giovanile si è trovata ad avere un ritorno di infiammazione durante la partecipazione a Britain's Next Top Model, e ha iniziato a chiedere scusa per lo stato della sua pelle fino a comprendere che non era necessario che lo facesse. Non importava. Da lì è nata l'idea di Free the Pimple, che è diventato anche un profilo Instagram di raccordo e racconto collettivo di vita con l'acne. Uno dei suoi hashtag preferiti? #acnebutmakeitfashion. E perché no.

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Idem la svedese Sofia Grahn, che nella foto profilo di Instagram fa fiorire farfalle rosse sulle sue naturali imperfezioni: "normalizzo l'acne un selfie alla volta", dice la acne positivity activist ai suoi 70mila followers con la totale sincerità di chi non ha più necessità/voglia di stratificarsi sotto correzioni eccessive, di make up o di filtri di postproduzione. Le sue confessioni asciutte raccontano un universo di difficile accettazione di sé, di cure e trattamenti, di nuovi breakout e percorsi personalissimi.

Di rosacea parla invece Lex Gillies, inglese dai capelli rossi e dall'humour tagliente. I suoi selfie scrivono la storia di un'estetica che ogni giorno deve adattarsi ad una sfumatura nuova: "Uscire di casa senza trucco mi terrorizza. Perché ci sono gli sguardi, i commenti, le battutine scheeeerzose. Ma soprattutto perché la rosacea non è immobile, può passare da leggera a viola scuro, gonfiarsi, bruciare, pizzicare nel raggio di pochi secondi" racconta Lex sotto una delle sue foto più apprezzate. Niente prima e dopo scioccante, ma solo la vita quotidiana di un trucco leggero per sentirsi meglio, adattandolo alla propria pelle e alle esigenze del di quel preciso momento. E niente filtri: "Postare una foto senza trucco non deve essere considerato un atto radicale, anche se lo sembra. Prima le persone accettano la loro vera pelle online, prima possiamo accettare tutti il ​​fatto che ogni singola persona ha "difetti" come macchie, rughe, arrossamenti, capelli, cicatrici, consistenza, pigmentazione... Non esiste una pelle perfetta" ha raccontato Lex a Vogue India parlando dello skin positivity movement.

C'è chi, come Kadeeja Sel San di @emeraldxbeauty, si definisce orgogliosamente acne model: 24 anni e numerosi selfie alla Due Facce di Batman per lottare contro la correzione continua dei propri difetti (e l'implacabile giudizio prima/dopo), Kadeeja ama dire "porto la realtà sui social media". Ed è una realtà di ovaio policistico, ormoni fuori controllo che portano acne da cisti ovariche, disagio psicologico superato grazie ad un incessante lavoro su se stessa, e lo stop definitivo al trucco pesante e correttivo. "Ho capito che il make up serve a sottolineare ciò che c'è già, non a nasconderlo. Vale con o senza trucco. Non lascerò che mi definisca, in futuro".

Modella dal sorriso che merita un hashtag a sé (#TheWhitneySmile), Whitney Madueke non è esattamente una acne activist dura e pura. Le foto ritoccate da magazine sono numerose, ma quel che conquista è la naturalezza nel raccontare i problemi della sua pelle, tra macchie e ispessimenti. Un viaggio quotidiano sulla comparsa di brufoletti, la skincare che la aiuta a tenere le imperfezioni sotto controllo, e un'infinità di tutorial make up dove la parola chiave è indubbiamente be yourself.

Ma anche per la pelle si comincia a virare verso il concetto di skin neutrality, più che positivity: la pelle, insomma, è l'ennesima parte del corpo femminile che deve giustificare una continua attenzione morbosa e giudicante. Come per la body neutrality, il passo per accettarsi e amarsi è personale, ondivago, variabile e senza alcun dubbio in eterna costruzione. L'attivismo delle skin influencer e delle acne models insegna una cristallina verità: la pelle non può e non deve un argomento di scontro sociopolitico, è semplicemente pelle. Valorizzarsi, curarsi, amarsi è una scelta personale. E il naturale processo evolutivo del movimento skin positivity/neutrality, forse, riuscirà a portarci in uno spazio sicuro in cui la pelle non sarà più l'ennesimo centro di attenzione per dissacrare il corpo femminile.